Suzanne Vranica e Jack Marshall per “www.milanofinanza.it”
ZUCKERBERG
Dopo aver appreso che Facebook ha enormemente sovrastimato il tempo medio di visualizzazione degli annunci video notificato sulla propria piattaforma per due anni, chiaramente i grandi inserzionisti non l’hanno presa molto bene.
Il social network diretto da Mark Zuckerberg ha rivelato in un post, pubblicato sul proprio "Centro assistenza per gli inserzionisti", che il parametro sul tempo medio trascorso dagli utenti a osservare un video è stato artificiosamente gonfiato in quanto teneva conto solo di visualizzazioni di oltre tre secondi di durata.
Le visualizzazioni inferiori a tre secondi non erano prese in considerazione, gonfiando così la media. In aggiunta, il messaggio specificava che sarà introdotta una nuova metrica per risolvere il problema.
Alcuni esponenti dell’industria della pubblicità, informati direttamente da Menlo Park della modifica, hanno voluto scavare più a fondo, riportano fonti vicine, e hanno così spinto la società a provvedere a un resoconto più dettagliato.
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Stando a una lettera di fine agosto inviata da Publicis Media ai propri clienti e visionata dal Wall Street Journal, l’agenzia pubblicitaria è stata messa al corrente da Facebook che il metodo di conteggio precedente probabilmente aveva sovrastimato il tempo medio di fruizione dei video tra il 60% e l’80%. In base alle stime della società di ricerca Recma, nel 2015 è riconducibile a Publicis l’acquisto di circa 77 miliardi di dollari di spazi per conto di operatori marketing di tutto il mondo.
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Secondo quanto trapelato anche GroupM, media investment company del gruppo Wpp, è stata avvisata in linea diretta della discrepanza. "Recentemente abbiamo rilevato un errore nel sistema di calcolo di uno dei nostri indici sui video", ha dichiarato lo stesso social.
"L’errore è stato corretto, non ha inciso sulla fatturazione, e l’abbiamo comunicato ai nostri partner sia attraverso i nostri cruscotti di gestione del prodotto, che tramite il supporto vendite e publisher. Inoltre abbiamo rinominato il parametro per chiarire cosa misura. Questo dato è uno dei tanti che i nostri partner utilizzano per valutare le proprie campagne video ".
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La notizia è motivo di imbarazzo per Facebook, che negli ultimi anni sta promuovendo a gran voce la rapida crescita del consumo di video mediante la propria piattaforma. A causa degli errori di calcolo, gli inserzionisti potrebbero avere interpretato scorrettamente la performance della pubblicità video acquistata negli ultimi due anni. È da segnalare anche l’impatto sulle decisioni in fatto di spesa allocata a campagne video su Facebook rispetto a altri venditori di annunci video, come per esempio YouTube, Twitter o le reti televisive.
Sono parte lesa anche le società di media e gli editori che hanno ricevuto dati inesatti circa il consumo dei propri contenuti attraverso questo canale. Molti si appoggiano a queste informazioni per definire la tipologia di contenuti da pubblicare. Negli ultimi due anni il social network ha conteggiato solamente le visualizzazioni di video della durata di oltre tre secondi nel calcolo del parametro denominato "Durata media di Visualizzazione del Video".
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Le visualizzazioni inferiori a tre secondi, come detto, non erano prese in considerazione, gonfiando così la media. La nuova metrica ribattezzata "Video Average Watch Time”, letteralmente tempo medio di osservazione, rifletterà le visualizzazioni di contenuti video di qualsiasi durata e andrà a sostituire il precedente strumento.
Nella nota ai clienti Publicis ha affermato che la modifica rappresenta un manovra per offuscare precedenti errori di calcolo. "Nel tentativo di prendere le distanze da rilevamenti errati, Facebook sconsiglia [i vecchi parametri] e ne introduce di 'nuovi' nel mese di settembre. In sostanza, si inventa nuove diciture per quello che avrebbe dovuto misurare fin dall’inizio", recita il documento.
L'errore di calcolo potrebbe peraltro alimentare preoccupazioni tra gli inserzionisti e le media company circa i cosiddetti "walled gardens", gli spazi protetti che le aziende come Facebook e Google spesso sono accusate di gestire. Entrambi i player mantengono uno stretto controllo sui dati, e consentono l’accesso ai propri sistemi solo a una ristretta cerchia di terze parti.
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In un’intervista dello scorso anno Keith Weed, chief marketing officer di Unilever , ha paragonato la prassi delle aziende di tecnologia che non permettono a terzi di valutare la propria piattaforma a "lasciarle libere di esprimere un voto sui loro stessi compiti a casa". E, secondo la nota di Publicis, "Questo chiarisce ancora una volta l'assoluta necessità di una terza parte incaricata del monitoraggio e della verifica della piattaforma Facebook. Due anni di dati sulle performance gonfiati sono inaccettabili".