Martina Pennisi per www.corriere.it
mark zuckerberg nick clegg
«Capiamo che chi ci critica è arrabbiato per la retorica di fuoco di Trump sulla nostra e sulle altre piattaforme e ci vorrebbe più aggressivi nella rimozione delle sue dichiarazioni. Da ex politico, so bene che l’unico modo per obbligare i potenti a rispondere è attraverso il voto. Ecco perché vogliamo usare la nostra piattaforma per dare la possibilità a chi deve votare di decidere in autonomia, il giorno delle elezioni».
DONALD TRUMP FACEBOOK
Questo è il passaggio più importante della lettera aperta di Nick Clegg, vice presidente degli affari globali e della comunicazione di Facebook.
In sostanza: nonostante il numero crescente di aziende che ha annunciato di voler ritirare sospendere la pubblicità sulle piattaforme di Menlo Park e su altri social network per prendere le distanze dalla diffusione di contenuti d’odio, Facebook non intende cambiare approccio.
team trump censurato da facebook
Stando alle parole di Clegg, piuttosto chiare, il colosso continuerà tendenzialmente a considerare le esternazioni di Trump notiziabili e dunque intoccabili e lavorerà soprattutto per far circolare informazioni pratiche sul voto (gli americani visualizzeranno un messaggio sulle modalità di registrazione).
MARK ZUCKERBERG
Venerdì scorso, Mark Zuckerberg ha aperto all’etichettatura di post, anche dei politici, che violano le regole del social ma ha anche chiarito che le situazioni dubbie si verificano «una manciata di volte all’anno» e di continuare a pensare che «le persone dovrebbero generalmente essere in grado di ascoltare i politici autonomamente sulle nostre piattaforme» come accade per i notiziari in tv.
COPERTINA WIRED MARK ZUCKERBERG
Nella lettera di Clegg, che con l’ok di Mark Zuckerberg all’incontro con gli organizzatori della campagna di boicottaggio (ci sarà anche il capo del prodotto Chris Cox, che è tornato all’ovile) ha fatto tornare e azioni al livello pre-scivolone di venerdì: 236 dollari, c’è un altro concetto importante: «Con così tanti contenuti pubblicati ogni giorno, sradicare l’odio è come cercare un ago in un pagliaio».
Questo non c’entra (solo) con Trump, ma con l’impossibilità per il binomio umani-macchine di Menlo Park di controllare tempestivamente i più di 100 miliardi di messaggi quotidiani e con la percezione degli errori, proporzionale alle dimensioni di piattaforma e scambi (ce lo aveva spiegato qui uno degli ingegneri che lavora agli algoritmi che individuano e gestiscono i contenuti problematici.
Un esempio attualissimo? L’errato blocco degli utenti che avevano condiviso le immagini del mausoleo di El Alamein. «Stiamo facendo progressi», ha scritto Clegg, sottolineando come secondo un recente rapporto della Commissione europea Facebook ha analizzato il 95,7% dei discordi d’odio in meno di 24 ore.
il cippo della battaglia di el alamein
Il social sostiene inoltre di aver eliminato quasi il 90 per cento dell’hate speech prima che chiunque ci si sia imbattuto. È su quei 4,3% e 10% restanti che si gioca la vera partita: c’è margine di miglioramento? Quanto? In che tempi? «Forse non riusciremo mai a impedire del tutto che l’odio circoli su Facebook, ma stiamo migliorando», ha chiarito Clegg. E ha risposto all’altra grande domanda: chi decide cosa va rimosso? «Abbiamo una grande responsabilità nella decisione di dove tracciare i confini». Loro, quindi.
facebook censura il cippo di el alamein
Cosa non ha menzionato? L’altro sassolino nella scarpa degli inserzionisti: le metriche. Nel 2016 è emerso che Facebook sovrastimava il tempo medio di visualizzazione degli annunci video e un audit condotto da Ernst & Young nel 2019 ha confermato che le preoccupazioni sulla correttezza e la trasparenza sui dati relativi a quanto vengono visti gli spot video permangono.
Però. Perché c’è un però ed è il solito: le entrate di Facebook derivanti dalla pubblicità — praticamente tutte — non ne hanno risentito. Dai 1,7,1 miliardi del 2015 ai 55 del 2018 ai 69,7 dell’anno scorso (Unilever, per rendersi conto delle proporzioni, mette su Facebook 42,2 milioni all’anno.
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E il colosso ha 8 milioni di inserzionisti, soprattutto medio piccoli, motivo per cui anche la possibile presa di posizione di un terzo dei grandi preoccupa fino a un certo punto). Non ci sono, pallottoliere alla mano, multe o scandali sulla privacy o Cambridge Analytica che tengano, per ora.
E alcuni investitori bollano come temporaneo il danno del boicottaggio perché la posizione assunta da molte delle aziende coinvolte è, appunto, temporanea. E fanno notare che Facebook avrebbe comunque registrato un calo post pandemia e che in questo momento per le aziende è quasi conveniente tagliare i costi e schierarsi per una causa significativa. Insomma, è ancora presto per vendere la pelle dell’orso.