Gianmaria Tammaro per Dagospia
MARK ZUCKERBERG
Mentre da questa parte Disney, Apple, Netflix e Amazon, e ora anche la nostra Raiplay e Sky si tirano i capelli e si azzannano le chiappe a colpi di annunci, conferme e nuove produzioni nella fantasmagorica guerra dello streaming, da quest’altra, zitta zitta, Facebook fa il suo, piccolo e contenuto, stringe qualche accordo (l’ultimo, che ci riguarda da vicinissimo, con l’italiana Ciaopeople) e manda in streaming le sue serie.
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Una delle più belle, partita nemmeno un anno fa, e con una straordinaria Elizabeth Olsen protagonista (quella di “Avengers”, per intenderci; ma anche del magnifico, e troppo poco consigliato, “Wind River” di Taylor Sheridan) è “Sorry for your loss”.
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La storia è, nella sua tragicità, semplicissima. C’è lei, interpretata dalla Olsen, che deve superare (o accettare?) la morte del marito (da qui il titolo: mi dispiace per la tua perdita, condoglianze). Torna a vivere con sua madre e con sua sorella, prova a rimettere insieme i pezzi della sua vita, e a conservare il suo lavoro in un giornale online post-buzzfeediano (tanti quiz, pochi veri contenuti di spessore). E poi prova a fare i conti con il fratello del marito, che dalla seconda stagione in poi, dopo che si è rivelata la magagna (lui l’amava, e per questo aveva cercato di convincere il fratello a non sposarla), scompare e non si fa più trovare.
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“Sorry for your loss” è un drama, o se preferite la dicitura italiana, sorprendentemente più originale: un dramma. E però conserva un taglio e una forma ridotta, con episodi striminziti (ma nel modo migliore), di trenta, trenta-e-qualcosa minuti, e un andamento perfetto per una serie che – dai, su, diciamoci la verità – è stata pensata non per il piccolo schermo, ma per quello piccolissimo: lo smartphone. La Olsen è davvero brava. Durante un’intervista con Seth Meyers, ha ammesso che è quasi una gioia tornare sul set di “Sorry for your loss”, per l’esperienza lavorativa che rappresenta: è come, ha spiegato, girare un film indie ogni settimana, e dopo gli schiamazzi della Marvel va benissimo; è un toccasana per l’anima e per il muscolo recitativo.
Il suo personaggio ha la mania del controllo, e questo, nella relazione con il marito, era diventato un peso. Lui le teneva nascoste alcune cose, come il fumetto che aveva fatto, solo per non essere giudicato. E quindi ecco: c’è anche il senso di colpa, l’angoscia di aver sbagliato, l’idea che si fa via via più convinta che se lui è morto, se è caduto da quel dirupo, forse, un po’ o un bel po’, è stato per noi.
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Tra le cose più intelligenti – e no, non sorprendenti – di “Sorry for your loss” c’è la sua rappresentazione dei morti e dei sopravvissuti: nessuno è perfetto, tutti hanno sbagliato; nessuno è come ce lo ricordiamo (o come, più spesso, vogliamo ricordarlo). C’è una sacrosanta demistificazione di chi ci ha lasciati, ed è costruita in modo preciso, mai esagerato o morboso, dando spazio ai dettagli, ai ricordi, alle sensazioni di toccarsi e di respirare.
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Altra cosa interessante di questa serie è che, tra gli spettatori, si è creata una community: una community di persone che hanno perso parenti, amici, amanti, e che dalla prima stagione commentano insieme (una cosa che Facebook Watch permette, rispetto alle altre piattaforme, è di lasciare post live, proprio sotto al video, mentre si guarda) ogni puntata. Serialità per il sociale.
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