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    FALLITA LA FUGA, GIACOMO BOZZOLI PROVA A GIOCARSI LA CARTA A SORPRESA – IL 39ENNE, CONDANNATO ALL’ERGASTOLO PER L’OMICIDIO DELLO ZIO E CATTURATO DOPO 11 GIORNI DI LATITANZA, CHIEDE LA REVISIONE DEL PROCESSO – DAVANTI AL PROCURATORE ANNUNCIA UN MEMORIALE E SOSTIENE DI AVERE “UN TESTIMONE AUSTRIACO CHE PRONTO A SCAGIONARMI” – IL PUNTO CRUCIALE DEL CASO SONO I 4.400 EURO IN CONTANTI CHE FURONO RITROVATI A CASA DI GIUSEPPE GHIRARDINI, OPERAIO DELLA BOZZOLI, MORTO SUICIDA POCHI GIORNI DOPO LA SPARIZIONE DEL SUO TITOLARE...


     
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    Estratto dell’articolo di Mara Rodella per il “Corriere della Sera”

     

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    Non si arrende e ribadisce la sua innocenza, Giacomo Bozzoli. E nonostante una sentenza definitiva dal primo luglio di condanna all’ergastolo per l’omicidio e la distruzione del corpo dello zio Mario nella fonderia di Marcheno, in provincia di Brescia (era l’8 ottobre 2015) chiede che il suo caso non sia chiuso.

     

    Perché «lei non può mandare in galera un innocente» ha detto giovedì sera dopo l’arresto al procuratore della Repubblica Francesco Prete, annunciandogli un memoriale in arrivo dall’estero, mentre era latitante, in cui parla di «un testimone austriaco pronto a scagionarmi». […]

     

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    […] è tutto già negli atti e nelle sentenze, che Giacomo ha studiato bene. C’è un punto che lui (e la sua difesa) ritiene non sia stato sufficientemente approfondito. E parte da quei 4.400 euro in contanti che furono ritrovati a casa di Giuseppe Ghirardini, operaio della Bozzoli, addetto al forno grande in fonderia, morto suicida pochi giorni dopo la sparizione del suo titolare.

     

    Per i giudici ha concorso «quantomeno» nella distruzione del cadavere. E quei soldi sarebbero la prova della sua ricompensa o di un acconto. Da parte di Giacomo. Le banconote, da 500 e 50 euro, in serie, furono emesse dalla Banca centrale austriaca.

    Nessuna impronta digitale.

     

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    «Il denaro ricevuto per il tradimento della persona amica finisce per ricalcare inevitabilmente scenari evangelici e comprova che l’operaio ha agito su mandato di un’altra persona», scrisse la Corte d’assise. Cioè Giacomo.

     

    La Corte d’assise d’appello ricorderà poi l’analisi del traffico telefonico dell’utenza a lui in uso. Da cui emerge avesse «contattato tre utenze austriache, due fisse e un cellulare» tra il 27 maggio e l’8 giugno 2015, «associate a un’azienda che lavorava nel settore dei metalli, la Montanwerke Brixlegg». Quattro scambi, bilaterali, tentati o riusciti: negli ultimi due l’utenza austriaca fu localizzata in provincia di Brescia.

     

    Quindi, «l’ipotesi che le banconote provengano dall’imputato può legittimamente formularsi in ragione del rapporto commerciale che, sulla scorta di quei contatti, può aver intrattenuto con l’impresa austriaca», aggiunsero i giudici di secondo grado, definendoli «significativi»: elementi indiziari — in un processo altrettanto indiziario — che pur non provando da soli la dazione diretta di denaro, furono poi «superati» dal quadro complessivo a carico di Giacomo, assumendo «indubbia valenza probatoria».

     

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    Nessun altro, insomma, avrebbe avuto interesse a consegnare tale somma a Ghirardini prima che Mario Bozzoli sparisse. «Mai avuto rapporti con l’Austria. Mi sono permesso una volta di contattare una rappresentante che lavora per la Montanwerke» disse Giacomo al pm nel 2019, salvo poi ammettere che i contatti furono quattro. Ecco, lei, la rappresentante, per Giacomo è pronta a giurare di non avergli mai dato soldi. La testimone con la T maiuscola. [...]

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