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ipotetici pareggi tra trump e clinton
Che succede se i due candidati pareggiano? In America non vince chi incassa più voti in assoluto, ma chi conquista la maggioranza dei Grandi Elettori, rappresentanti dei singoli Stati in proporzione (imperfetta) alla popolazione. Il cosiddetto 'Collegio Elettorale' è formato da 538 Grandi Elettori, e per vincere bisogna incassarne almeno 270.
Cosa succede se i due candidati ottengono lo stesso risultato nel Collegio Elettorale? Sulla carta ci sono 97 possibili pareggi, nella realtà è un'evenienza molto, molto improbabile: la maggior parte degli Stati sono blindati, dunque non si possono usare per immaginare fantapolitici zero a zero.
si vota a brooklyn
Eppure stavolta le cose non sono così nette: in alcuni scenari che vedono Trump vittorioso, il candidato repubblicano incassa solo 271 voti, dunque il margine di un pareggio esiste. Il sito http://www.270towin.com/ spiega cosa prevede in questi casi il diritto statunitense.
Bisogna a questo punto fare una premessa fondamentale: il casino ci sarebbe non solo davanti a un ipotetico pareggio. Il risultato non è valido anche se nessuno dei due raggiunge la soglia di 270. Quindi un terzo candidato che riesce a strappare una manciata di Grandi Elettori vincendo uno o più Stati può sottrarre voti a chi incassa una maggioranza relativa (ma non sufficiente). Quest'anno c'è il bizzarro caso di Evan McMullin, un mormone ex Cia che è sulla scheda elettorale in 11 Stati e ha una chance di sfilare lo Utah a Trump.
evan mcmullin
Se nessuno arriva ai fatidici 270, la palla passa al Congresso: la Camera dei Rappresentanti elegge il Presidente, il Senato il Vicepresidente. Ma non con la maggioranza dei membri: le singole delegazioni statali all'interno della Camera esprimono un solo voto. Dunque la delegazione della California, composta da 53 deputati (in maggioranza democratici), e quella del Wyoming, che ne ha solo uno, avranno lo stesso peso. Con 26 di questi voti si decide il nuovo Presidente, tra i primi tre candidati per numero di Grandi Elettori.
Questo 'squilibrio federalista' ricopia quello del Senato, già perfettamente ripartito tra gli Stati (due senatori ciascuno), e dove quindi si vota normalmente: 51 senatori decideranno il Vice, ma da scegliere solo tra i primi due arrivati.
bill e hillary clinton al seggio
Altro avvertimento: un pareggio domattina sarebbe solo apparente. L'elezione del presidente non si perfeziona nei prossimi giorni. I Grandi Elettori si riuniranno il secondo mercoledì di dicembre (in questo caso il 19) per esprimere il loro voto effettivo. E solo metà degli Stati impone un vincolo di mandato ai delegati. Perciò può capitare che uno o più Grandi Elettori di uno Stato in cui ha preso più voti il candidato repubblicano, voti invece per quello democratico, e viceversa.
donald trump make america work again
E' capitato che Grandi Elettori abbiano cambiato la loro preferenza, l'ultima volta nel 1968 (Nixon vincitore). Ma in quel caso non c'era nessun rischio di pareggio.
Se anche con cambi di casacca non ci fosse un candidato che arriva a quota 270, il Congresso in seduta plenaria si riunisce il 6 gennaio, decreta l'assenza di una maggioranza di Grandi Elettori, e s'incarica di votare il nuovo presidente. Con l'attuale configurazione, Trump sarebbe favorito: i repubblicani hanno la maggioranza sia dei deputati, sia nelle delegazioni statali.
Congresso americano
Ultimo caveat: non è l'attuale Congresso a votare Presidente e Vicepresidente, bensì quello che emergerà dal voto di oggi, e che si insedierà il 3 gennaio. Ma è storicamente improbabile che si ribalti la situazione: i repubblicani hanno un numero schiacciante di Stati 'sicuri'.
Lo scenario più positivo (e di fatto impossibile) per i democratici sarebbe un 24 a 24, con due delegazioni 'spaccate a metà' tra repubblicani e dem. Ma se i democratici conquistassero un numero impressionante di Stati, in un'ondata storica, non ci troveremmo davanti a un pareggio per la Presidenza...
Congresso Americano