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    FARINETTI FA IL “FICO”: CI PENSA IL “GUARDIAN” A MASSACRARE IL SUO PARCO AGROALIMENTARE - A DISPETTO DEI SOLITI PEANA DELLA STAMPA ITALIANA, "FICO EATALY WORLD" PER IL QUOTIDIANO BRITANNICO TRADISCE LA NOSTRA GASTRONOMIA - CHI VISITA I PADIGLIONI SI SENTE IN AEROPORTO O IN UN GRANDE MAGAZZINO. L’ITALIA E’ ALTRO…


     
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    Alessia Pedrielli per la Verità

     

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    Che cosa porti, nel 2017, a celebrare come un evento straordinario l' apertura di un parco divertimenti, dove le tradizioni produttive e culinarie di un Paese, miniaturizzate e stereotipate, si vendono un tanto al chilo a visitatori guidati lungo percorsi monodirezionali, a pensarci bene, non è così facile da capire. Eppure, non c' è stato spazio comunicativo, in Italia, in cui l' inaugurazione di Fico Eataly world, il parco agroalimentare più grande del mondo, nato da un' idea di Oscar Farinetti e allestito a Bologna, avvenuta mercoledì alla presenza del premier Paolo Gentiloni e di vari ministri, non abbia trovato parole di elogio.

     

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    Tutti a sperticarsi, quantomeno, per dimostrare l' unicità del progetto e la magnificenza delle proporzioni (100.000 metri quadrati di esposizione) che evidentemente, ancora colpiscono la fantasia infantile di tanti. In ogni caso, visto il battage pubblicitario messo in piedi dal patron di Eataly e dai suoi partner (tra cui Alleanza 3.0, Unindustria Bologna, Banca Intesa Sanpaolo, Monrif group e tanti altri tra istituti di credito, fondazioni e ordini professionali) è difficile ipotizzare che potesse andare diversamente.

     

    oscar farinetti oscar farinetti

    Per trovare una voce fuori dal coro, qualcuno che non ripeta a papera come nell' ex mercato ortofrutticolo della città emiliana si sia realizzato un «miracolo italiano», tirato su «a tempo di record» e capace di strabiliare «sei milioni di visitatori l' anno» (tanti se ne è posti come obiettivo chi ha finanziato il progetto) bisogna allontanarsi dal circuito della promozione a pagamento, o ancor meglio, attraversare la Manica. È il Guardian, infatti, autorevole quotidiano britannico, a dare alla trovata di Farinetti la definizione più azzeccata: «Fico è un megamart in stile americano, un Wholefoods (supermercati a catena che vendono prodotti di origine controllata e naturale, nda) con steroidi», nel quale «i visitatori sono diretti attraverso le aree come in un aeroporto» e dove risalta «la cultura dei consumatori di massa che sta alla base del progetto».

     

    Lo scorso 15 novembre il salone del gusto (120 milioni di euro di costo, 40 fabbriche alimentari attive in loco, 47 punti ristoro, un centro congressi, un cinema, campi coltivati, recinti per animali e tutto il resto) ha aperto i cancelli al pubblico.

     

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    Tanto per capire quanto la sua nascita sia slegata dalla politica del Pd, il taglio del nastro è stata l' occasione per uno spot a favore dello ius soli. Farinetti, sul palco accanto alle autorità, per prima cosa ha tributato un applauso agli immigrati, che «con il loro lavoro nei campi sostengono l' agricoltura italiana». E «se non avessimo accettato i due più grandi immigrati della nostra storia, il grano e il pomodoro, non avremmo la nostra cucina.

     

    Meno male che non abbiamo fatto tante questioni allora, gli abbiamo dato subito lo ius soli», ha aggiunto il presidente del Centro agroalimentare di Bologna, Andrea Segrè, tra i padri del progetto. E anche il premier non è andato per il sottile: «Se mi domandassero cos' è Fico, io direi che Fico è l' Italia», ha detto Gentiloni.

     

    A sottolineare come, invece, l' Italia sia altro e stia altrove, per esempio «nei vicoli del Mercato di mezzo di Bologna - che è pieno di locali, negozi di alimentari a conduzione familiare», dove la tradizione non è stata tirata su a colpi di sponsor, ma negli anni con sacrifici e fatiche, è la giornalista Sophia Seymour, grande estimatrice del nostro Paese, che nell' articolo del Guardian definisce Fico (Fabbrica italiana contadina) come «un progetto in diretto contrasto con il fascino tradizionale della gastronomia italiana», fatto anche «del piacere di vagare per i mercati dei contadini nelle piazze rinascimentali, o assaggiare le delizie dei piccoli produttori nelle remote città collinari».

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    E aggiunge: «È facile perdere il senso del luogo e dello scopo nei corridoi illuminati. Certo Fico può essere giustamente lodato come un museo interattivo e un centro educativo», in quanto all' interno degli spazi «c' è un' eccezionale dimostrazione di produttori, che offrono corsi per adulti e bambini per far conoscere la storia del cibo». Ci sono «caroselli ambientali che raccontano in modo innovativo il rapporto tra l' uomo e la natura e l' importanza di mangiare bene, utilizzando un approccio high tech all' apprendimento: touch screen, ologrammi e multimedia interattivi». Ma si tratta di un luogo simile «all' Ikea, uno sbocco in periferia dove puoi fare una gita di un giorno», che nulla però ha a che vedere con una visita alla città di Bologna, vera culla della cucina italiana.

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    «Nonostante molti degli spazi del ristorante siano magnificamente concepiti e nonostante la presenza di un forte impulso educativo ed etico, guardare la mozzarella nascere e cagliare sotto le luci lampeggianti o mangiare una cucina di qualità Michelin mentre i visitatori sfrecciano su tricicli sponsorizzati (la storica ditta Bianchi ha messo a disposizione mezzi a tre ruote per percorrere i grandi spazi del salone), mi fa pensare che Oscar Farinetti abbia evocato una visione distopica del futuro, piuttosto che un omaggio al ricco patrimonio e alla cultura del cibo italiano», prosegue Seymour nell' articolo.

     

    E conclude. «Prima di lasciare il parco, ho preso un espresso perché proprio come dopo una gita a Ikea il mio corpo è stato assalito da un sovraccarico sensoriale. Ed è stata la cassiera, chiacchierando, a riassumere il concetto: "Eataly vuole celebrare la storia della cultura alimentare italiana, ma lo fa in un modo decisamente non italiano"».

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