Niccolò Celesti per “La Verità”
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Dopo 38 giorni di guerra ci siamo chiesti come vivono le loro vite sessuali questi soldati e questi volontari, d'altronde si sa da sempre che il sesso è una attività della quale non si può fare a meno neanche in guerra.
Kiev è una grande metropoli e qui la prostituzione è accettata come in tutti i Paesi dell'Est, passando per il centro si possono vedere alcuni locali di striptease, club privé dalle insegne rosse e le silhouette dalle sinuose forme femminili.
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Così veniamo a sapere da un giovane coppia di volontari che il loro primo appuntamento è stato in un ristorante sadomaso a Kiev e parlando con altri ragazzi e ragazze capiamo che qui l'argomento sesso è molto meno tabù che in Italia.
Nelle trincee da quasi 40 giorni, per i giovani del 206° battaglione, molti dei quali lontani da casa e fidanzate, l'unico svago e sfogo è il cellulare. Alcuni affermano seccamente che il sesso in questo momento non interessa, altri sghignazzano. Si avvicina Vlad e con un pacca sulla spalla ben assestata ci dice «relax, man!» («rilassati, ragazzo!»).
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Non capiamo e lui ride: «Yes, relaxkiev.com». Ci mostra sul cellulare un sito di escort nel quale puoi inserire la città e addirittura il filtro per scegliere che tipo di ragazza, che fascia di prezzo, che servizi e che misure. Sembra di essere sulla schermata dei prodotti di Amazon ma ci sono decine di immagini di belle ragazze in lingerie con il numero di telefono sotto.
Ce ne sono tante di ragazze, certo molte sono andate via ma se hai la giornata libera non c'è problema. Ride ancora: «Il problema ce l'hanno i miei amici che combattono nei villaggi e nelle campagne, ma credo che loro davvero abbiano altro a cui pensare».
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Così ci mettiamo alla ricerca di qualche ragazza con cui cercare di parlare almeno per messaggio, e scriviamo a una decina di profili fino a quando non riceviamo risposta.
Si fa chiamare Nat. Quando gli spieghiamo che siamo giornalisti italiani in cerca di informazioni, e che siamo vicino a Hostomel con i ragazzi del 206° battaglione, ci risponde in italiano: «Magari un altro giorno, ma mi piace parlare italiano, non faccio mai pratica».
La conversazione va avanti tra un messaggio e un altro.
Scopriamo una frizzante donna che ci racconta spontaneamente di avere 42 anni, di essere tornata dalla Svizzera due anni fa per la pandemia perché il lavoro si era bloccato e di aver imparato l'italiano a Lugano perché ha lavorato tanti anni nei bordelli vicino all'Italia, dove è venuta tante volte in vacanza. Nelle foto si vede una ragazzona molto alta dal seno rifatto e grandi tatuaggi su cosce e natiche, capelli corti a spazzola, ossigenati, in un completo oro.
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Le chiediamo perché ancora non abbia lasciato la città: «Perché dovrei? Ancora i russi non sono arrivati in città e io ho fiducia nel nostro esercito, i russi non entreranno, piano piano stanno tornando in città molti uomini. Non ho intenzione di andarmene».
Più tardi su un altro sito incontriamo Masha, parla solo inglese ed è sbrigativa, si insospettisce di tutte le nostre domande. Le spieghiamo che vogliamo capire perché non è ancora scappata, se lavora o se fa parte della resistenza.
È molto sospettosa, così dobbiamo inviarle le fotografie di alcuni reportage, praticamente affrontiamo la stessa procedura che con i permessi militari. Le inviamo le foto, chiede di vedere i soldati russi morti, le chiediamo perché: «Perché sono invasori bastardi».
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Masha nelle foto che ci mostra è bionda, giovanissima, e sembra - da come parla - assai spregiudicata. Ci rifiutiamo di mandarle le foto dei soldati russi, non vogliamo alimentare l'odio che in questo Paese è già a livelli altissimi. Le chiediamo un'intervista e risponde chiedendo denaro per un'ora di chiacchiera: 3.500 grivnie (un po' più di 100 euro).
A uno dei nostri messaggi risponde anche Julia, ci manda subito delle fotografie con il messaggio: «This is me!». Anche a lei facciamo le stesse domande, ma è lei a farcene di più quindi ci dichiariamo subito e sembra accettare la nostra richiesta così ci dice di avere 26 anni e di essere arrivata da Erkasy, una cittadina nel sud dell'Ucraina dove lavorava come venditrice di prodotti estetici in un call center.
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«Era un lavoro terribile, pagato malissimo, come gli altri del resto. Non c'è cosa più dolorosa che un lavoro pagato male. La mia famiglia era ultra tradizionale: mia madre non mi ha fatto incontrare ragazzi fino a quando avevo 23 anni, non potevo uscire se non con amiche e solo in determinati posti. Poi me li sono trovata da sola e ho capito presto che forse è meglio ricevere soldi, tanto per la maggior parte i ragazzi non ci sanno fare».
I messaggi continuano ad arrivare veloci sullo schermo del cellulare, Julia continua a raccontarci che dopo aver lasciato il lavoro e la sua cittadina ha trovato un contatto a Kiev, una di quelle conoscenze che ti trova un posto sicuro dove poter lavorare: «Sono arrivata in un bordello abusivo, un residence con molte stanze e molte ragazze. Lavorava principalmente con uomini d'affari, ricchi stranieri».
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Ma lei non andava d'accordo con le altre ragazze e una sera ha conosciuto la sua attuale manager che ora le gestisce gli appuntamenti e l'account sul sito.
«Dopo che è scoppiata la guerra i clienti sono spariti, per i primi quindici giorni sembra che tutti si fossero scordati del sesso, invece poi il flusso è ricominciato ma principalmente con militari e con quelli che tornano in città dopo aver portato le famiglie verso ovest».
Ora va spesso a lavorare fuori città vicino ai posti dove ci sono più militari, ma deve sempre stare fuori tutta la notte perché c'è il coprifuoco e sembra molto contenta di questo perché per 12 ore si guadagna molto bene e i ragazzi a volte hanno la notte libera, trovano delle case vicino agli accampamenti e le usano come posto per rilassarsi. Molti invece sono di Kiev e hanno casa in città.
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Le chiediamo in che maniera contribuisce alla resistenza, se pensa che il suo lavoro sia utile al morale delle truppe e se fa sconti per i ragazzi più giovani, come aveva confidato Nat.
«Non faccio sconti a nessuno, io sono una delle poche ragazze rimasta in città, tutte le altre se ne fregano, sono già andate a guadagnare un sacco di soldi in Ungheria o in Polonia, una è anche arrivata in Italia».
Mentre parliamo con lei sentiamo alcuni ragazzi dietro di noi che sghignazzano guardando il cellulare e ci avviciniamo; stanno sfogliando anche loro quei siti in cerca di qualche ragazza e cercano di convincere l'unico del gruppo che è di Kiev a prestare la casa per la notte agli altri che hanno libera uscita. Abbiamo risvegliato gli animi e li lasciamo a sognare sugli schermi dei loro cellulari.
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