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Damiano Basso per la Stampa
Questo Mondiale fin dalla sua prima partita, Russia-Arabia Saudita, ha indicato un trend: non andare via prima del fischio finale dell' arbitro, perché si segna fino all' ultimo secondo. Ad esempio il cronometro sabato sera al Fisht di Sochi segnava 49'42" quando la punizione pennellata da Kroos ha sorpreso il portiere Olsson. Evitando alla Germania l' onta di una probabile eliminazione.
È stato il 15º gol sui complessivi 85 segnati nelle prime 32 partite di questo Mondiale a essere realizzato negli ultimi cinque minuti più recupero. Una percentuale decisamente alta, il 17,64%, e comunque la più alta nella storia della massima competizione calcistica per nazionali. Per gol in zona-Cesarini, il Mondiale che si è avvicinato di più a quello in corso è stato il 2006, con 19 su 147 (12,93%). Poi viene il 1998, 20 su 171 (11,70%).
Partite aperte fino alla fine Uruguay, Portogallo, Iran, Inghilterra, Brasile (quello di Neymar al Costa Rica al 96'49" è il più tardivo dal 1966 in una partita della prima fase), Svizzera, Germania. Già sei Nazionali hanno vinto e una pareggiato (Portogallo) con un gol tra l' 85' e la fine.
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Cinque di queste reti sono state realizzate sfruttando situazioni di palla inattiva: due punizioni-gol (Ronaldo e Kroos), una punizione laterale (autogol in Marocco-Iran), due calci d' angolo (Gimenez e Kane). Per Russia, Polonia, Belgio, Tunisia, Corea del Sud e Croazia si è trattato invece di marcature ininfluenti ai fini del risultato. Non si tratta di un dato nuovo in assoluto, in Serie A ad esempio i minuti finale sono sempre tendenzialmente prolifici. Ma lo è per un Mondiale.
Studi, commenti e analisi, le teorie più proposte, chiamano in causa soprattutto i cali fisici e l' attitudine di certe squadre a chiudersi in difesa nei minuti conclusivi, anche con dieci uomini, rinunciando alla gestione del risultato attraverso il possesso palla. Ma un paio di anni fa un tecnico rivoluzionario come Pep Guardiola ha proposto una tesi mai vista. E lo ha fatto dopo un Juventus-Bayern di Champions, nel febbraio del 2016, quando subì una rimonta di due gol, incassando il 2-2 di Sturaro nell' ultimo quarto d' ora, al 76': «So bene che la condizione fisica è una delle cose più importanti, ma per me non c' entra niente. Quando prendi un gol nel finale, la questione "animica" diventa importante, la loro è più alta, la nostra è più bassa».
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La tesi rivoluzionaria di Pep Ecco forse il punto. Uno stato spirituale che va oltre la qualità, che coinvolge tutto: corpo, spirito, tecnica. Le situazioni mentali che cambiano nell' arco dei novanta minuti in base agli eventi che accadono. In questo caso il fattore che incide è il tempo per raggiungere il risultato sperato, che si va via via riducendo sempre più. Che si converte in ansia: «Eravamo in superiorità numerica contro i tedeschi - ha raccontato lo svedese Guidetti sabato sera -, ma non riuscivamo più a giocare come prima. Continuavamo a arretrare, a concedere terreno».
I sostenitori della teoria animica hanno anche un' altra convinzione: prendere un gol nei minuti finali non è mai un buon segno per la salute della squadra. Brasile, Portogallo, Francia, Inghilterra e Germania ad esempio non ne hanno ancora presi. Belgio, Spagna e Argentina invece sì.
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