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    TARIFFA URBANO - FELTRI: “IL CORRIERE HA UN PADRONE CHE NE SOSTITUISCE CENTO DANNOSI PERCHÉ INCAPACI. SI CHIAMA URBANO CAIRO, UN TIPO DURO. UNA VOLTA DISSE DI VOLER ENTRARE IN ‘LIBERO’: IO SGANCIAI 2-300 MILIONI MA QUANDO SI TRATTÒ DI CHIUDERE, SI TIRO’ INDIETRO. CI RIMISI UNA BELLA SOMMA CHE SI GUARDO’ BENE DAL RESTITUIRMI...”


     
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    Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”

     

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    Era ora. Il Corriere della Sera ha un padrone che ne sostituisce cento dannosi perché incapaci. Si chiama Urbano Cairo, un tipo duro, nonostante l' aria mansueta, dal quale ci si aspetta un miracolo che può compiere: salvare da morte certa il giornalone di via Solferino 28, tecnicamente già nella tomba.

     

    Tanti auguri all'ex segretario di Silvio Berlusconi. Ho fatto il tifo per lui quando si iniziò la gara con Bonomi per l' acquisto del gruppo editoriale più importante d' Italia e sono contento che l' abbia vinta il migliore, l' uomo che si è fatto da sè, partito dalla provincia (Alessandria) e approdato a Milano con l' obiettivo di laurearsi in economia. Tempi lontani. Conseguito l'agognato diploma, egli non so come conobbe il Cavaliere, quando questi era un imprenditore disinvolto, di cui divenne subito stretto collaboratore.

     

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    Si vede che ad Arcore Urbano imparò molto, dato che alcuni anni più tardi fu promosso al vertice della organizzazione pubblicitaria della Mondadori, dalla quale dipendeva anche il Giornale, allora indegnamente diretto da me. Era il 1994. Si dà il caso che il quotidiano fondato da Indro Montanelli, nonostante fosse guidato dal sottoscritto, avesse guadagnato molte copie, circa centomila in un anno soltanto. A quel punto pretesi che Cairo raddoppiasse il cosiddetto minimo garantito da versare alla nostra azienda.

     

    Richiesta legittima, giustificata appunto dal fatto che gli introiti pubblicitari sono sempre stati commisurati alle vendite di una testata. Urbano ed io ci incontrammo per discutere della faccenda. Mi trovai davanti a un muro. Benchè avessi ragione, egli non mi concesse una lira di più delle poche che ci consegnava: dodici milioni ogni dodici mesi. La conversazione durò alcuni minuti. Lo mandai all'inferno e mi proposi di cambiare concessionaria, pur sapendo che incassare una somma maggiore non sarebbe stato facile. In attesa di pescare una ditta più generosa, maturai la convinzione che quel ragazzotto fosse un genio. Perché?

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    Non aveva convenienza a sprecare energie per rimpolpare un quotidiano, quando i periodici Mondadori erano assai più redditizi. Lo maledissi, però la mia stima di lui aumentò. Fui assistito dalla fortuna. Infatti Torresani della Seat mi offrì oltre il doppio di Cairo, che pertanto salutai con uno sberleffo. Più tardi salutai anche il Giornale. È qui viene il bello. Urbano, smisuratamente ambizioso, lasciò a sua volta Berlusconi e si mise in proprio acquisendo la Giorgio Mondadori.

     

    Sulle prime pensai che fosse un temerario, anche un po' scemo. Poi mi ricredetti in fretta perchè la sua baracca appena comprata andò subito alla grande. Altro che scemo.

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    Un fenomeno. In un periodo in cui la carta stampata cominciava ad annaspare, lui aveva successo. Come mai? Impugnava la bacchetta magica? Macchè. Il suo non era neanche un segreto, ma solo senso comune ed era abile nel conto della serva.

     

    Faceva prodotti poco costosi e popolari (organici ridotti all'osso) e quindi ad alta diffusione. L'uovo di Colombo. Un giorno Urbano mi telefonò. Voleva entrare nella società di Libero, considerandolo una buona opportunità. Avviammo le procedure di rifondazione e mi impose di sganciare non ricordo se duecento o trecento milioni di lire. Ubbidii. Quando si trattò di concludere l' affare, cioè di formalizzarlo, lui si ritrasse con una scusa e io la presi in saccoccia. Temeva che Libero fosse un bidone. Non lo era, ma questo è un altro discorso. Il problema è che personalmente ci rimisi una bella sommetta che Cairo si guardò bene dal restituirmi.

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    Altra prova che l' ex segretario di Silvio è dritto mentre io sono storto. In effetti, passano i lustri e Urbano si trasforma in un gigante dell'editoria, ed io rimango un nano. Lui crea una rivista dopo l'altra e la piazza sul mercato che conquista con intuito prodigioso: prezzi bassi, tirature enormi. Ormai lui è l'editore numero uno, il solo in Italia che non sia frenato dalla conclamata crisi. È un mago. Punto e basta.

     

    Nelle more si assicura anche la proprietà di una squadra di calcio, il Torino, tra le più blasonate, e la gestisce come fosse un rotocalco, guadagnandoci. Roba da matti.

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    Per rintracciare un sacramento bravo quanto lui bisogna risalire a fuoriclasse come Angelo Rizzoli (il nonno) e a Edilio Rusconi.

     

    Dimenticavo La 7, la televisione. Si è intascato anche questa che, grazie alle sue cure - e al rispetto del conto della serva - è al presente l'emittente nazionale meno cretina. Mi pare che questo pur stringato racconto dimostri che Urbano non sia l'ultimo arrivato bensì il primo in classifica, meritevole di entrare senza soggezione in via Solferino 28.

     

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    Il Corriere nelle sue mani fatate può rifiorire; fosse restato in quelle dei fighetti della finanza chic dovrebbe prepararsi a consegnare i libri in Tribunale. Anche una impresa ciclopica quale il quotidiano della borghesia patria se non viene amministrato come una bottega è destinato ad abbassare la saracinesca. E che Cairo sia il miglior bottegaio del circondario non vi è dubbio alcuno. Forza Cairo, te lo dico col cuore e non col portafoglio che piange ancora quei duecento o trecento milioni di lire che mi sfilasti.

     

     

     

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