Ferruccio De Bortoli per “L’Economia - Corriere della Sera”
FERRUCCIO DE BORTOLI
Due recenti episodi di cronaca ci dicono molto - più di tanti grafici e cifre - su quanto sia complessa la transizione ecologica. La rivolta popolare di Almaty, nel Kazakistan, scatenata anche, non solo, dall'aumento del prezzo del gas di cui peraltro l'ex repubblica sovietica è grande produttrice.
E, in scala politicamente minore, la decisione dell'Indonesia di vietare (mai accaduto) l'esportazione di carbone pur essendo ricca di miniere. Ma ne ha troppo bisogno. Le fonti fossili - che dovremmo sostituire al più presto per combattere il riscaldamento climatico - non sono mai state così desiderate e pagate profumatamente da chi ne ha necessità vitale, e gelosamente custodite e valorizzate. Persino negate all'acquisto da chi ne ha tante.
ENERGIA NUCLEARE
Ciò vuol dire subito una cosa. Spiacevole, ma purtroppo vera. La sensibilità ecologica è direttamente proporzionale al nostro grado di benessere. Quando si rischia di restare al freddo, o di dover pagare troppo il combustibile, i destini del pianeta passano inevitabilmente in secondo piano.
In queste ultime settimane, ed era inevitabile, si è discusso tanto su come alleviare (giustamente) le bollette del gas e della luce. Le tariffe nonostante il deficit aggiuntivo deciso dal governo, sono aumentate mediamente nel 2021 di quasi il 30%. Otto miliardi di nuovo debito per un sollievo però del tutto apparente.
URSULA VON DER LEYEN CON LA FELPA DELL UNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO
Quasi simbolico vista l'ondata di rincari, speriamo temporanea, dei prezzi del petrolio e del gas naturale. Si è parlato invece poco dei necessari investimenti nelle fonti rinnovabili, in particolare solare ed eolico, come se avessimo tempo, come se la transizione ecologica non fosse un'emergenza quotidiana, come se non ci fossero scadenze serrate e vitali legate alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
L'attenzione sul Green New Deal europeo si è ravvivata solo dopo la presentazione, da parte della Commissione, della proposta sulla tassonomia, ovvero la classificazione delle fonti energetiche necessarie alla transizione. E al raggiungimento, nel 2050, della net zero emission che non significa il traguardo idilliaco di un mondo pulito, ma l'equivalenza fra l'anidride carbonica che si emette e quella che si cattura.
Si continuerà a sporcare (meno) anche dopo quella data. Amaro poi notare come dopo l'incerto risultato della Cop26 di Glasgow, i temi più urgenti sulla transizione siano passati in secondo piano. Le ipocrisie in materia sono tante. Nocive.
Leonore Gewessler
E alcune di queste si sono manifestate anche nelle reazioni al documento della Commissione europea che «promuove» il gas naturale e soprattutto l'energia nucleare nella tassonomia della transizione. «Sono entrambi dannosi per l'ambiente», ha detto la ministra austriaca, responsabile per la protezione climatica, Leonore Gewessler.
Vienna minaccia di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea se il documento non verrà modificato. Contrari finora anche Spagna e Lussemburgo. La bozza di delegated act è aperta alle osservazioni degli stati membri. C'è tempo fino al 12 gennaio, mercoledì prossimo, per osservazioni e modifiche.
UNA DELLE TRE CENTRALI NUCLEARI TEDESCHE CHIUSE IL 31 DICEMBRE
Il documento ufficiale - indispensabile per l'avvio del processo di Green New Deal - sarà poi inviato al Consiglio europeo e al Parlamento per l'approvazione finale. Molto dipenderà dalla posizione tedesca. La Germania decise l'uscita dal nucleare dopo l'incidente di Fukushima nel 2011. Otto tedeschi su dieci sono contrari alla produzione di elettricità attraverso l'atomo.
Tre centrali sono state recentemente chiuse e altre tre - come ha spiegato il portavoce del cancelliere Steffan Hebestreit - cesseranno di essere operative a fine 2022. Il governo Scholz, che comprende anche i verdi, sembra orientato ad astenersi. Il no al nucleare significa però un sì all'uso del gas e al Nord Streem 2, il metanodotto, tanto temuto sotto il profilo strategico, che alimenta l'Europa grazie ai giacimenti russi. Da una parte c'è il consenso, la scelta politica, dall'altra le ragioni dell'economia.
mario draghi vittorio colao
Rifiutare subito nucleare e gas naturale è impossibile. E se l'atomo è degli altri - in particolare i francesi - allora va bene. Lo tolleriamo.
«Se non ci fosse il nucleare - ha scritto su La Stampa Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia - l'Europa sarebbe da tempo al buio». Negarlo è una fuga dalla realtà. Da noi L'Italia ha rinunciato al nucleare con il referendum del 1987. Ma acquista dai francesi, e lo ha fatto la stessa Germania sebbene in misura minore, il 10 per cento del proprio consumo di elettricità. L'equivalente della produzione annua di tre centrali nucleari. «Il nostro vero nemico è la CO2 - commenta Giuseppe Zollino, docente di Tecnica ed economia dell'energia e di impianti nucleari all'università di Padova - visto che l'80% dell'energia primaria mondiale viene dai combustibili fossili.
annalena baerbock robert habeck
Sarebbe suicida non impiegare tutte le tecnologie disponibili adatte a combattere le emissioni. Io sono assolutamente favorevole agli investimenti nelle rinnovabili, ma non agevoliamo certamente la transizione se ci nascondiamo alcune scomode verità. Il sistema elettrico va considerato nel suo insieme e deve garantire la potenza necessaria in ogni momento, non solo l'energia che serve in un anno.
L'eolico e il solare sono puliti ma variabili e certamente abbiamo margini per aumentare la capacità installata in Italia. Non so se ce la faremo ad aggiungere 70 Gw (Gigawatt) entro il 2030, ma è certo che le difficoltà maggiori verranno dopo. Sarebbe infatti davvero arduo soddisfare il 100 per cento delle domanda elettrica prevista al 2050 con i soli solare ed eolico.
GIUSEPPE ZOLLINO
Un po' più facile, e meno costoso, se utilizzassimo anche una fonte continua e priva di emissioni di CO2 come il nucleare a fissione o, un po' più avanti, la fusione. E ancora peggio sarebbe se il nucleare non ci fosse non solo in Italia ma in tutta l'Unione europea, perché allora l'intero sistema elettrico continentale sarebbe a forte rischio di blackout».
annalena baerbock robert habeck 2
Come quello, ricorderemo, del 28 settembre del 2003 che paralizzò l'Italia. Zollino è l'ex presidente della Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare i vecchi impianti e trattare (e mettere dove?) le scorie del nucleare italiano. Non crede che il Paese possa riconsiderare in tempi brevi la scelta del 1987. Ritiene che il nucleare sia fatto di processi complessi che richiedono continuità di gestione in un quadro regolatorio chiaro e stabile.
«E soprattutto servono competenze - aggiunge - per le quali, da Enrico Fermi a Felice Ippolito eravamo un tempo all'avanguardia nel mondo. Ma se qualcuno pensa che in pochi anni si possano costruire nuove centrali nucleari in Italia è fuori strada. Prima va riavviata la macchina».
umberto minopoli
Insomma, c'è un populismo energetico (promettere ciò che è irrealizzabile) in entrambe le direzioni. Nel pensare che le fonti energetiche siano esposte in un ideale scaffale di un supermercato e si possa passare da un prodotto all'altro. E, al contrario, che la scelta nucleare equivalga, per complessità, alla costruzione di un'autostrada.
Un altro grande esperto in materia è Umberto Minopoli. «L'84% dell'energia primaria che consumiamo nel mondo, pari a 136 mila Tw (Terawatt), è di origine fossile - afferma l'ex numero uno di Ansaldo Nucleare e attuale presidente dell'Associazione nucleare italiana (Ain) -: possiamo liberarcene in pochi anni? No, un'utopia. Il carbone è la fonte più inquinante. In Europa ci sono 162 centrali a carbone attive, nel mondo circa 8 mila.
Avremo sempre bisogno del nucleare, non solo quello di quarta generazione quando verrà, con rischi ancora più ridotti e fortemente controllati, ma anche e soprattutto di quello esistente. Il nucleare costituisce il 28 per cento delle energie no carbon europee, se riuscissimo, con tutte le garanzie e grazie alle nuove tecnologie, ad allungare la vita degli impianti esistenti, in particolare di quelli costruiti negli anni Settanta, riusciremmo ad ottenere in tempi molto brevi una quota maggiore di energia pulita e un abbattimento più forte della CO2 già in questo decennio.
centrale nucleare 2
Gli americani sono arrivati a 80 anni. È stato calcolato che sarebbe possibile aggiungere ogni anno, entro il 2040, 10 Gw all'attuale produzione che è di 399 Gw. E dopo il 2040, 20 Gw l'anno». Minopoli non si nasconde gli enormi problemi legati ai costi, alle difficoltà di insediamento, al delicato tema delle scorie, all'opposizione popolare. Ma i dati sono questi. Mettere la testa sotto la sabbia non serve a nulla, se non ad appesantire la già titanica lotta al riscaldamento climatico. L'ultimo paradosso è quello di Paesi, come il nostro, che non vogliono più sentir parlare di nucleare ma sono nella condizione di sperare che gli altri - francesi, inglesi per esempio - non li imitino. Altrimenti sarebbero guai.