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    FIGLI D’ARTE ALL’OPERA – ISOTTA: "MUTI NON PRESCINDE DALLA  FIGLIA CHIARA: AL SAN CARLO IL ‘COSI’ FAN TUTTE’ E’ DIVENTATO SOPORIFERO - DOMANI SI APRIRÀ LA STAGIONE DELL'OPERA DI ROMA COL ‘RIGOLETTO’ DI VERDI CON LA REGIA DI DANIELE ABBADO. NON CE L’HO CON LUI, CHE FA IL MESTIERE DI REGISTA, COME OGGI LO SI INTENDE, OSSIA DI DISTRUGGERE I TESTI CHE RAPPRESENTA, MA CON LO CHAILLY, CHE IL 7 DICEMBRE A LA SCALA DIRIGERA’ L"ATTILA’ DI VERDI..." - VIDEO


     
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    Leonetta Bentivoglio per “la Repubblica”

     

    così fan tutte muti così fan tutte muti

    Dall'"Attila" alla "Carmen", i registi stravolgono la tradizione con allestimenti legati alla contemporaneità Sarà un successo o un' inaccettabile dissacrazione?

    Come verrà accolta la messinscena forse scandalosa e di sicuro attualizzata dell' Attila di Verdi che il 7 dicembre apre la stagione della Scala? Tenendo conto dell' odierna diffidenza verso la cultura, termine che richiama mondi detestati dalla maggioranza, il quesito può sembrare irrilevante. Eppure vi gira intorno il futuro della lirica.

     

    riccardo chiara muti riccardo chiara muti

    Meglio un contesto ligio alla tradizione o forzature che rendano i soggetti più eccitanti?

    Diretta da Riccardo Chailly e allestita da David Livermore, che ha inserito la regia "in un Novecento distopico fra le due guerre" (parole sue), Attila è un melodramma risorgimentale sulla riscossa di un popolo (i romani) contro i suoi invasori (gli Unni). Ambientata nel quinto secolo, è una parabola sui tradimenti, le bugie e gli opportunismi della politica, dunque si adatta benissimo all' oggi.

     

    E in molti penseranno al crollo avvenuto a Genova guardando la sua scenografia dominata da un gigantesco ponte rotto in due. Comunque vadano le cose, i melomani più conservatori dovranno rassegnarsi: oggi è raro che negli spettacoli di lirica manchino messaggi riferiti alla modernità.

    carlo fuortes carlo fuortes

     

    All' Opera di Roma debutta domenica un Rigoletto diretto da Daniele Gatti e con la regia di Daniele Abbado che lo ha spostato "negli anni della Repubblica di Salò per sottolineare il nucleo politico dell' opera". Risale a non molti mesi fa la presentazione a Bologna di un Ratto del serraglio che Martin Kusej riempì di allusioni al terrorismo del califfato islamico con sventolio di bandiere dell' Isis. E a Roma, in estate a Caracalla, la Carmen è stata situata dalla regia di Valentina Carrasco sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico, là dove Trump desidera quello che i messicani chiamano "il Muro della vergogna".

     

    Della stessa opera di Bizet è stata appena ripresa a Firenze la versione di Leo Muscato con finale posticcio di morte all' inverso: Carmen, invece di farsi ammazzare, uccide Don José, scansando l' ennesimo femminicidio. Alla Fenice di Venezia la stagione è stata inaugurata pochi giorni fa da un Macbeth verdiano la cui regia ha diviso il pubblico per l' audacia di Damiano Michieletto, provocatore di lunga esperienza che in passato ha concepito, tra l' altro, un Così fan tutte con scambi di coppie in un design-hotel, un Elisir d' amore con bagnini che rimorchiano in spiaggia e un Ballo in maschera tuffato in una campagna elettorale americana. Stavolta ha inventato le ipotesi di una paternità perduta di Macbeth e di una maternità mai vissuta della Lady. Lacune dolorose trasformate in motori di ossessive presenze infantili.

     

    rigoletto rigoletto

    «Ho puntato sul lato privato di Macbeth, sulla sua sofferenza e le sue allucinazioni», segnala Michieletto, «e i bambini in scena rendono più terrificante, per contrasto, un' opera già di per sé feroce». Sostiene di non credere alle riletture moderne fini a sé stesse: «Conta lavorare in ottiche integrate con la percezione della vita di adesso. Ma non basta che i costumi e le scene siano attuali: è necessaria una visione coerente.

    Una regia brutta è antiquata pur se immessa nel nostro tempo».

     

    Addirittura obbligatorio, in vista della credibilità, è l' aggiornamento scenico secondo l' americano Peter Sellars, convinto che il teatro debba "vivere nel presente".

    Firmò negli anni Ottanta una trilogia Mozart-Da Ponte in salsa newyorkese che ispirò molta estetica successiva: all' epoca sembrava sconvolgente rilanciare Le Nozze di Figaro nella Trump Tower, Don Giovanni tra i pusher di Harlem e Così fan tutte in un coffee-shop alla Edward Hopper.

    ALEXANDRE PEREIRA ALEXANDRE PEREIRA

     

    «Autenticità non vuol dire una rigida osservanza del libretto», dichiara, «ma restituire allo spettatore impressioni che egli può riconoscere».

     

    Ancora più estremo è lo spagnolo Calixto Bieito, il quale rifiuta censure e regolette storiche: «I miei spettacoli sono aggressivi, è vero, ma solo perché seguo lo spirito degli autori. Verdi ha musicato una trama sadica nel Trovatore e ha dipinto una povera puttana nella Traviata. Addobbarla come se recitasse in Via col vento è osceno». Fece arrabbiare il pubblico di Londra un suo Ballo in maschera dove il re di Svezia si barcamenava fra prostitute, travestititi e cortigiani seduti sui gabinetti coi pantaloni scesi: «Era un' immagine rigorosa in quanto fedele al senso della politica che nel mio paese fa schifo, come da voi in Italia».

    daniele gatti daniele gatti

     

    2 - L'OPERA DEI FIGLI DI

    Paolo Isotta per il “Fatto quotidiano”

     

    Sabato si aprirà la stagione dell' Opera di Roma col Rigoletto di Verdi diretto da Daniele Gatti con la regia di Daniele Abbado. È figlio del famoso direttore d' orchestra; il padre non è mai salito sul podio avvalendosi d' una regia del figlio, come invece fa Riccardo Muti.

     

    Ha la sua Chiara, attrice e regista, e ormai i suoi allestimenti operistici non possono prescindere dalla rampolla: com' è avvenuto il 25 novembre per l' inaugurazione del San Carlo con un corretto e soporifero (mi dicono) Così fan tutte di Mozart. Tutti i giornali, stampati e "in Rete", hanno detto mirabilia di padre (settantasettenne, ma corvino di capelli) e figlia, sebbene si tratti d' un lascito del (politicamente) defunto Nastasi. Anche dei morti hanno paura.

    DANIELE GATTI DANIELE GATTI

     

    La Scala s' inaugurerà con l' Attila di Verdi. Direttore Riccardo Chailly (egli, sessantacinquenne, i capelli li porta mogano-rame), regista Davide Livermore. L' allestimento sarà "di rottura" e, com' è ovvio, si svolgerà nell' epoca attuale. Il Maestro a tal punto teneva all' esattezza storica della produzione che, assente da Roma, incaricò l' amico Luccardi di mandargli uno schizzo del sublime affresco di Raffaello nella Stanza di Eliodoro dipingente Leone Magno che ferma il re unno alle porte di Roma: e se ne ispirarono Alessandro Algardi per il rilievo allocato nella Madonna della Colonna, Girolamo Muziano per l' affresco pure vaticano e il probo Francesco Borgani. Il quadro di tale pittore si trova nella piccola pieve di Governolo, sul Mincio: pare che fin lì, e non presso il Tevere, il Papa si fosse spinto per trattare col monarca invasore, scena capitale dell' Opera. Gl' interpreti attuali di Verdi lo ignorano.

     

    daniele abbado daniele abbado

    Non ce l' ho con Abbado junior: fa il mestiere di regista, ossia, come oggi lo si intende, di distruggere i testi che rappresenta: ma con lo Chailly, al quale, locupletatissimo e responsabile artistico della Scala, conviene che l' opera del compositore nazionale venga dilacerata.

     

    Il maestro Gatti (da castano, oggi corvino) promette un Rigoletto "innovatore".

    Tale sarebbe se riuscisse a rispettare la partitura di Verdi per com' è effettivamente scritta; ne ho qualche dubbio. Ma accetta che il regista ambienti la vicenda sotto la Repubblica di Salò.

     

    isotta isotta

    Verdi vuole una Mantova rinascimentale, scrive danze in stile antico per ambientare storicamente la vicenda, e il Mincio te lo fa sentire con pochi tratti durante una tempesta notturna. Gatti, a differenza di Chailly, ha studiato composizione: chi glielo fa fare? Difendesse l' opera drammatico-musicale di Verdi, e assumerebbe un ruolo "innovativo". Ma i giornali, le televisioni, i blog, non parlerebbero di lui. I volgarissimi del "generone" e gli arricchiti vecchi e nuovi di regime andranno ad applaudirlo, come a Milano Chailly, come a Napoli Muti e figlia. Dice Flaubert, nell' epitaffio del visconte Dambreuse dell' Educazione sentimentale, ch' era così avido di soldi e di riconoscimenti, che "avrebbe pagato per vendersi".

     

    Ancora mi ripeto. Perché dalle nostre tasse debbono prendersi i soldi per sostenere costoro e consentire a quattro cretini sfaccendati di applaudir loro e correre ad abboffarsi, neanche finiti gli applausi, ai pessimi cocktails-cena in piedi che seguono?

    Non ci sono Taranto e Bagnoli, atroci piaghe sociali ed ecologiche da risanare?

    Non c' è la disoccupazione giovanile al sud? Non ci sono i cosiddetti critici musicali da inviare negli altoforni ad apprendere che cos' è il vero lavoro, invece di campare con le cronache rosa sui miracoli dell' accoppiata padre-figlia?

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