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    “FALCONE AVEVA LE ORE CONTATE, E NON ERA IL SOLO” – FILIPPO FACCI RICOSTRUISCE GLI AVVENIMENTI CHE PORTARONO AL MAXIPROCESSO E QUINDI ALLA MORTE DI GIOVANNI FALCONE: “PUR OSTRACIZZATO, CREÒ TUTTI GLI STRUMENTI PER SCONFIGGERE LA MAFIA, COME ACCADDE: UNA DISSOLUZIONE CON TERRIBILI COLPI DI CODA A CUI NON POTÉ ASSISTERE, PERCHÉ FU AMMAZZATO IL 23 MAGGIO 1993, CHE FAN TRENT’ANNI DOMANI” – “DIVERSI PENTITI ANNI DOPO DIRANNO CHE TOTÒ RIINA, ALLA NOTIZIA DELLA SENTENZA, PRATICAMENTE IMPAZZÌ. IL PASSAGGIO ALLA STRATEGIA DELLO STERMINIO STAVA PER COMINCIARE”


     
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    Filippo Facci per “Libero quotidiano”

     

    FILIPPO FACCI FILIPPO FACCI

    Giovanni Falcone spiegò per la prima volta che cos' era la Mafia - anzi: Cosa Nostra - e ne portò i vertici a un "Maxiprocesso" che le assestò un primo colpo durissimo, dopodiché il magistrato, pur ostracizzato, creò tutti gli strumenti per sconfiggerla, come accadde entro la fine degli Anni Novanta: una dissoluzione con terribili colpi di coda a cui Falcone non potè assistere, perché fu ammazzato il 23 maggio 1993, che fan trent' anni domani.

     

    Era arrivato a Palermo nel 1978 e Cosa Nostra ai tempi era chiamata genericamente «mafia», concetto inafferrabile anche se intanto giudici, segretari politici, generali e poliziotti cadevano assassinati.

     

    GIOVANNI FALCONE GIOVANNI FALCONE

    Falcone divenne quel che era: aveva individuato i filoni economici e di riciclaggio come strumento per risalire ai vertici di Cosa Nostra, e la sua testarda convinzione (che oggi pare ovvia) era che il denaro finisce sempre per lasciare qualche segno del suo passaggio.

     

    giovanni falcone paolo borsellino giovanni falcone paolo borsellino

    Aveva focalizzato una nuova mafia imprenditrice capace di inserirsi in ogni anfratto offerto dallo sviluppo economico e aveva insegnato a fare le indagini secondo il motto «follow the money». Aveva capito che la vecchia mafia aveva archiviato la lupara e si era confusa con la società civile. I figli dei capi-cosca non ereditavano il prestigio mafioso, ma soldi da continuare a investire. Alla fine degli anni Ottanta oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo era frutto di attività criminose, e la mafia, i suoi nemici, li uccideva.

     

    giovanni falcone giovanni falcone

    INVENZIONE

    Ma c'era chi sosteneva ancora che la mafia non esistesse: che poi era la verità, visto che il nome dell'organizzazione - lo spiegò Tommaso Buscetta- era solo «Cosa Nostra», mentre «mafia» era un'invenzione giornalistica.

     

    tommaso buscetta tommaso buscetta

    Non si conosceva neppure l'esistenza dei Corleonesi (o Greco-Corleonesi) che ormai rappresentavano il cuore dell'organizzazione; gli apparati dello Stato erano fermi all'esistenza delle cinque grandi famiglie occidentali (Gambino-Bontade-Spatola-Inzerillo-Badalamenti) che dominavano i mercati illeciti e i rapporti col mondo politico: si riteneva pure che queste famiglie fossero le sole responsabili degli omicidi di autorità pubbliche e che il loro declino fosse legato a un semplice cambio generazionale. Ma era tutto sbagliato.

     

    TOTO RIINA E TOMMASO BUSCETTA TOTO RIINA E TOMMASO BUSCETTA

    La battaglia di Falcone era cominciata nel 1983 con l'arresto in Brasile del mafioso Tommaso Buscetta. Il giudice volò oltreoceano e mise le basi per farlo collaborare: cominciò a farlo il 15 luglio 1984, nello scetticismo generale, quando Buscetta fu estradato in Italia e iniziò a raccontare al giudice quello che sapeva- moltissimo- sulle regole di Cosa nostra e sui mandanti ed esecutori di vari omicidi. Buscetta non era un boss: era un «soldato» carismatico e rispettato che aveva in rigetto i metodi crudeli dei corleonesi.

    strage di capaci strage di capaci

     

    IDEA RIVOLUZIONARIA

    Da quasi dieci anni - spiegò Buscetta- i Corleonesi deviavano le indagini sulle altre famiglie e sovvertivano ogni vecchia regola senza rispettare le sovranità territoriali: i loro contatti altolocati intanto permettevano loro di vivere da cittadini rispettabili mentre le forze di polizia davano la caccia ai loro avversari perdenti. Falcone fece oltre 2600 riscontri delle dichiarazioni di Buscetta e fece luce su 120 omicidi: fu allora che gli balenò la folle idea di processare l'intero gotha di Cosa Nostra, come neppure i suoi amici e collaboratori ritenevano possibile.

     

    giovanni falcone giovanni falcone

    Cominciò a raccogliere anche le dichiarazioni del mafioso Salvatore Contorno che si incrociarono perfettamente con quelle di Buscetta.

     

    Nacque un pool antimafia composto da Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta a Giuseppe Di Lello, coadiuvati da Giuseppe Ayala, intenti a incanalare tutte le indagini nel rapporto «Michele Greco + 161» e poi nel gigantesco Maxiprocesso.

     

    PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO

    I corleonesi non restarono a guardare: ammazzarono il commissario Giuseppe Montana e il vicequestore Ninnì Cassarà. Poi, con preavviso di due giorni, Falcone e Borsellino furono trasferiti con le famiglie nella foresteria del carcere dell'Asinara in compagnia delle 499mila pagine di atti che dovevano trasformare nel rinvio a giudizio contro i 476 indagati del Maxiprocesso; un periodo, quello all'Asinara, che passerà alla cronaca anche perché si ebbe il fegato di chiedere ai due magistrati un rimborso per il soggiorno blindato nell'isola: diecimila lire al giorno più i pasti, conto finale 415mila lire.

     

    CORAGGIO E CAPACITÀ

    giovanni falcone giovanni falcone

    Il Maxiprocesso era pronto. Giudice a latere: Pietro Grasso, futuro presidente del Senato. In pochi mesi era stata costruita la gigantesca aula bunker che a tutt' oggi affianca il carcere dell'Ucciardone. I reati ipotizzati contemplavano omicidi, stragi, traffici di droga, estorsioni e associazioni mafiose.

     

    Giudici e funzionari tra i più coraggiosi e capaci condussero quel Maxiprocesso lungo binari formalmente più che accettabili proprio perché un precario rispetto delle garanzie poteva rappresentare un tallone d'Achille: ma a fare la differenza sarà proprio l'accuratezza dei magistrati nel dribblare le trappole dilatorie disseminate nel dibattimento, questo, peraltro, adottando un Codice di procedura assai più farraginoso e garantista rispetto a quello che la giurisprudenza «rivoluzionaria» (da Mani pulite in poi) avrebbe progressivamente stravolto. Si era distanti da quella disinvoltura legislativa che le corti europee ci contesteranno regolarmente: non esisteva ancora l'articolo 41bis (il detto carcere duro) e il «concorso esterno in associazione mafiosa».

    TOTO RIINA IN OSPEDALE TOTO RIINA IN OSPEDALE

     

    Il processo fu vinto grazie a migliaia di testimonianze e di riscontri concessi dal vecchio Codice Rocco: senza leggi speciali e solo grazie al coraggio e all'intelligenza e all'olio di gomito di magistrati eccezionali. Non c'erano neanche computer: altro che droni e software trojan.

     

    Un processo così incredibile non si sarebbe visto mai più: 349 udienze, 1314 interrogatori, 4 giudici togati, 16 giudici popolari, 2 pubblici ministeri, 500 giornalisti da tutto il mondo, 475 imputati di cui 208 detenuti in trenta gabbie, 44 agli arresti domiciliari, 102 a piede libero, 121 latitanti, circa 200 avvocati che pronunceranno 635 arringhe difensive, centinaia agenti di polizia e carabinieri, le tribune stipate di pubblico. A ciò si aggiunse l'inaspettato ingresso, il 20 febbraio, del capo della Cupola Michele Greco, appena catturato.

     

    grasso falcone grasso falcone

    LA MAZZATA

    Cosa Nostra - fu l'assioma -era una società segreta costituita da una «Commissione» di vertice che decideva secondo regole non scritte ma note a tutti. La Commissione decideva gli omicidi: farne parte comportava una responsabilità penale. La sentenza di primo grado del 16 dicembre 1987 comminò 19 ergastoli, 2665 anni di carcere, 346 condannati, 114 assolti e 11 miliardi di lire di pene pecuniarie. Una mazzata.

     

    Sembrò impossibile. Il giudice Grasso, da solo, in nove mesi scrisse le 7000 pagine delle motivazioni della sentenza.

     

    La mafia non la prese bene. Il giudice designato per il processo d'Appello fu crivellato da 47 colpi di pistola assieme al figlio disabile, e a sostituirlo fu Alfonso Palmegiano. Le accuse furono rafforzate dalle testimonianze di due nuovi pentiti e c'era da ben sperare, ma nella sentenza d'Appello del 10 dicembre 1990 gli ergastoli passarono da 19 a 12 e le pene detentive furono ridotte di più di un terzo. Fu anche indebolita la funzione verticistica e unitaria della Cupola. Ora restava la Cassazione.

     

    GIOVANNI FALCONE GIUSEPPE AYALA GIOVANNI FALCONE GIUSEPPE AYALA

    Il primo presidente della Corte, Antonio Brancaccio, era stato sollecitato dal pidiessino Luciano Violante e da guardasigilli Claudio Martelli affinché introducesse un criterio di rotazione tra le sezioni che giudicavano i processi di mafia: era l'unico modo per evitare che anche il Maxiprocesso finisse nelle mani del giudice Corrado Carnevale, andreottiano e dominus assoluto della prima sezione, un primo della classe, il presidente più giovane nella storia della Suprema corte, primo a ogni concorso, instancabile cultore di codici e codicilli, un siciliano che non aveva fatto mistero di non credere alla «Cupola» come centro unificato criminale e di non credere a Buscetta e ai maxiprocessi.

     

    ilda boccassini giovanni falcone ilda boccassini giovanni falcone

    INTIMIDAZIONI

    Con gran fatica si riuscì a designare il giudice Antonio Scopelliti, sostituto procuratore generale della Cassazione. In attesa della prima udienza, il magistrato trascorse le vacanze nella natìa Campo Calabro, in provincia di Reggio Calabria: ma mentre tornava dal mare la sua Bmw sbandò e finì in un terrapieno: morto sul colpo. Più tardi si accorsero che gli avevano sparato con dei fucili a pallettoni. Alla fine il prescelto fu Arnaldo Valente detto «Papillon», 64 anni, avellinese con fama di magistrato autonomo ma imprevedibile, ritenuto pure lui rispettoso delle procedure fino al cavillo.

     

    giovanni falcone e paolo borsellino giovanni falcone e paolo borsellino

    Lui non lo ammazzarono, e non solo: il 30 gennaio 1992 confermò le condanne di primo grado e rivalutò appieno il «teorema Buscetta» sulla Cupola: ergastoli come se piovesse. Nessun adepto o capo di Cosa Nostra era mai stato condannato con «fine pena mai».

     

    Anni dopo, diversi pentiti diranno che Totò Riina alla notizia della sentenza praticamente impazzì. Il passaggio alla strategia dello sterminio stava per cominciare. Falcone aveva le ore contate, e non era il solo.

    giovanni falcone e marcelle padovani giovanni falcone e marcelle padovani GIOVANNI FALCONE GIANNI DE GENNARO GIOVANNI FALCONE GIANNI DE GENNARO foto di letizia battaglia giovanni falcone foto di letizia battaglia giovanni falcone maurizio costanzo giovanni falcone maurizio costanzo giovanni falcone giovanni falcone paolo borsellino giovanni falcone paolo borsellino giovanni falcone giovanni falcone giovanni falcone sergio mattarella giovanni falcone sergio mattarella claudio martelli giovanni falcone claudio martelli giovanni falcone

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