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    FINALE DI PARTITA IN TELECOM - TRA TRE MESI IL VERDETTO: O TELEFONICA SE LA PAPPA IN UN BOCCONE (COMPRESA TIM BRASIL), O DIVENTA UNA PUBLIC COMPANY, COMANDATA DA TUTTI GLI AZIONISTI - ORA PATUANO CERCA DI SGANCIARSI DA ALIERTA


     
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    Giovanni Pons per "Affari e finanza" di Repubblica

    Telecom Italia cambia ancora pelle e cerca di trasformarsi nella prima vera public company italiana per non cadere nella rete spagnola. Come spesso succede - nella vita e negli affari ma soprattutto in Italia - quando si tocca il fondo poi si trova la forza per cambiare e aprirsi a una nuova fase.

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    La scorsa estate per Telecom si erano aperte le porte del precipizio, con il titolo che sfondava al ribasso la soglia dei 50 centesimi e l'allora presidente Franco Bernabè che chiedeva un aumento di capitale per evitare il declassamento del debito. In effetti, vista la liquidità presente sui mercati finanziari, allora come oggi, l'idea di raccogliere risorse fresche sul mercato da dedicare agli investimenti e all'abbattimento del debito, era sicuramente la soluzione principe per la travagliata società di tlc.

    Ma si scontrava con l'ostruzionismo degli azionisti di controllo, racchiusi in Telco, che non avevano alcuna intenzione di aprire il portafogli. Anzi. I soci italiani, come si è visto di lì a poco, avevano tutta l'intenzione di uscire dalla compagine azionaria alle migliori condizioni possibili.

    E il socio industriale, Telefonica, già oberato da un elevato indebitamento, voleva continuare nella sua strategia di attesa per agire al momento opportuno con l'intento di mettere al sicuro la preda più ambita, cioè Tim Brasil controllata al 67% da Telecom Italia. L'accordo raggiunto tra i soci Telco il 24 settembre per un rafforzamento di Telefonica e un'uscita progressiva di Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali, e le conseguenti dimissioni di Bernabè hanno provocato il classico effetto a catena.

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    Saltato il tappo, tutte le problematiche che covavano da tempo sono improvvisamente venute allo scoperto. Telefonica per prima è stata costretta a fare un passo in avanti, fatto che ha poi determinato una presa di posizione dell'antitrust brasiliano, il Cade, il quale ha posto come condizione agli spagnoli l'uscita da Telco o la vendita a un partner del 50% di Vivo, il primo operatore brasiliano acquistato nel 2010. I soci italiani, dal canto loro, hanno dovuto manifestare le loro reali intenzioni sul destino di Telecom, cioè l'abbandono della nave al suo destino seppur al costo di perdite per centinaia di milioni.

    Ma anche Marco Fossati, socio al 5% con la finanziaria di famiglia Findim, è stato costretto dagli eventi a rompere gli indugi. Gravato da una minusvalenza di circa il 50% sul suo investimento iniziale, messo da parte nel corso degli anni e anche nella recente vendita a Telefonica dalle manovre dei grandi soci, Fossati si è infine rivolto al mercato rivestendo i panni del socio attivista. Il suo merito, finora, è stato quello di andare a toccare un nervo scoperto, cioè il conflitto di interesse di Telefonica rispetto alla doppia presenza brasiliana, con Vivo direttamente e con Tim Brasil via Telecom.

    E così l'assemblea del 20 dicembre scorso ha sancito che il 23% del capitale di Telecom considera Telefonica in conflitto di interessi e dunque bisognerà attrezzarsi al riguardo. Ma anche il giovane manager Marco Patuano, rimasto improvvisamente orfano dell'ombrello protettivo di Bernabè, ha dovuto prendere in mano la situazione e mostrare il suo vero valore.

    Non gli è mancato il coraggio, avendo portato a termine in poche settimane la vendita di Telecom Argentina, l'emissione di un bond convertendo (in pratica un aumento di capitale a termine) da 1,3 miliardi, l'annuncio di una serie di altre dismissioni e la ritirata strategica dello scorporo della rete. La reattività di Patuano è stata notevole, anche se il manager si è dovuto accollare gli strali della Consob e della magistratura per le procedure un po' frettolose e a volte non troppo trasparenti riguardanti sia l'operazione argentina che il convertendo.

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    In questo contesto così tumultuoso e a tratti assai travagliato non poteva mancare il fondo americano speculativo in grado di vestire più parti in commedia. L'enorme liquidità a disposizione del fondo Blackrock gli ha permesso di salire prima oltre il 5% in Telecom Italia e poi un po' in sordina superare anche il 10%, innescando scenari di scalate o di "azioni di concerto" con gli spagnoli di Telefonica. Giunti a questo punto la domanda che viene spontanea è la seguente: dove andrà a finire Telecom Italia?

    Gli scenari che si aprono, viste le premesse, sono sostanzialmente due. Il primo vede Telefonica riuscire nel proprio disegno di sfilare Tim Brasil dal portafoglio di Telecom rafforzandosi ulteriormente in Brasile, ridurre il debito della società italiana investendo sulla rete di nuova generazione il meno possibile, trovare una combinazione strategicamente interessante o con un altro operatore di tlc o con un attore importante del settore media. Il secondo vede invece Telecom Italia trasformarsi in una vera e propria public company, con un consiglio di amministrazione votato in maggioranza dal mercato e composto prevalentemente da consiglieri indipendenti.

    Una nuova governance permetterà di valorizzare al meglio gli asset esistenti, Tim Brasil verrà venduta solo se il prezzo sarà veramente allettante e se esisterà in quel momento una strategia alternativa di crescita altrettanto interessante. Il management nominato dall'assemblea avrà in mano i destini dell'azienda e nessun azionista, seppur forte, potrà influenzare più di tanto i passi futuri dell'azienda. Sono due scenari evidentemente contrapposti che dipendono dagli eventi delle prossime settimane, a questo punto determinanti.

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    Lo scenario Telefonica prevede infatti che in un tempo non troppo lungo, si dice entro fine gennaio ma potrebbe essere anche febbraio, si concretizzi un'offerta per Tim Brasil. Sembra ci stiano lavorando sia la banca d'affari Pactual sia la America Movil di Carlos Slim. L'offerta dovrà essere super allettante in termini di prezzo visto che né i soci istituzionali né l'attuale cda ha intenzione di svendere il proprio gioiellino. Inoltre dovrà passare attraverso una procedura speciale che verrà varata il 6 febbraio e che prevede che qualsiasi approccio al management debba essere monitorato da vicino da un comitato formato da consiglieri indipendenti.

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    Fossati ha inoltre alzato l'asticella del prezzo arrivando a definire tra 25 e 30 miliardi il prezzo giusto per cui Telecom possa separarsi da Tim Brasil. Tutto ciò rende il percorso non proprio agevole per Telefonica, anche perché se non riuscisse nel suo intento sarà costretta a dismettere entro 18 mesi o la partecipazione in Telco o il 50% di Vivo appena conquistato.

    L'acquisto di Tim Brasil da parte di un terzo faciliterebbe invece il successivo spezzatino della società a vantaggio degli altri tre operatori carioca esistenti, cioè Vivo, Claro (America Movil) e Oi Telemar (il campione nazionale) e un incasso consistente per Telecom Italia. A quel punto Telefonica potrebbe scegliere o di fondersi lei stessa con Telecom, o di fonderla con un altro operatore tlc come l'olandese Kpn (uno dei pochi rimasti orfani in Europa), oppure di procedere a un'alleanza o fusione con Mediaset, andando a esplorare i confini della tv su banda larga le cui prospettive sembrano oggi interessanti.

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    Con il gruppo di Silvio Berlusconi il gran capo di Telefonica, Cesar Alierta, sta lavorando bene in Spagna, dove sono soci in Digital Plus e dove potrebbero salire in maggioranza acquistando il pacchetto in vendita del gruppo Prisa. Dando vita a una convergenza tlc-tv italo-spagnola sulla scia di ciò che sta facendo Bt in Gran Bretagna. Ma se l'offerta per Tim Brasil non dovesse mai arrivare o non dovesse essere accettata dal board di Telecom allora si aprirebbe uno scenario completamente diverso.

    Il cantiere sulla revisione della governance, avviato dal cda del 16 gennaio, potrebbe trovare sbocco in un'assemblea straordinaria che autorizzi le modifiche allo statuto nel senso di una nomina del consiglio su basi proporzionale ai voti presi, e che non assegni i 4/5 del cda alla lista di maggioranza. Se ad aprile Telecom riuscirà ad avere un nuovo consiglio espressione del mercato e non della lista Telco-Telefonica, una nuova era si schiuderà davanti alla tormentata società telefonica che nel febbraio 1999 fu scalata a debito dalla cordata Colaninno-Gnutti.

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    Il principale sostenitore di una soluzione simile dovrebbe essere Fossati che con il suo 5% potrebbe convocare un'assemblea straordinaria anche prima di quella del 16 aprile che dovrà approvare il bilancio. Ma anche Patuano, in quanto capoazienda almeno fino ad aprile, avrà un peso nell'indirizzare l'azienda in un senso o nell'altro. In un primo momento il manager sembrava appoggiarsi a Telefonica, visto che la vendita di Telecom Argentina ha favorito gli spagnoli che così hanno eliminato almeno un conflitto dall'agenda di Telecom.

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    Poi però la trincea progressivamente costruita intorno a Tim Brasil ha indispettito Alierta che all'assemblea del 20 dicembre ha inserito in lista Gabriele Burgio, un manager che ha lavorato in passato alla spagnola NH Hoteles e che potrebbe diventare l'ariete di Telefonica nel cda Telecom prendendo il posto proprio di Patuano. Se quest'ultimo, nelle prossime settimane, farà di tutto per modificare la governance a scapito di Telco, vorrà dire che ha deciso di giocarsi tutte le sue carte proponendosi come paladino del mercato nella prima public company all'italiana.

     

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