Enrico Franceschini per “La Repubblica”
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Tutti sanno che il Galles è famoso per il rugby. Molti sanno che vanta anche splendidi castelli e una selvaggia, incontaminata natura. Pochi tuttavia conoscono questa piccola, orgogliosa regione- nazione come la culla dell’industria del giocattolo britannica. E la ragione dell’ignoranza in merito è che l’industria del giocattolo gallese, un tempo floridissima, con migliaia di dipendenti, praticamente non esiste più.
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È rimasto però, in Galles, il Museum of Childhood, un museo pieno di giocattoli. La cui direttrice, Hilary Kennelly, ha lanciato ieri un allarme attraverso i microfoni della Bbc: «I bambini moderni crescono troppo in fretta per divertirsi con i giocattoli tradizionali. Ma è un peccato, perché senza giocattoli di quel tipo non sempre cresce la loro fantasia ».
Beninteso, non è che l’industria globale del giocattolo sia in crisi. Negli Stati Uniti, il gigante del settore, ha avuto nel 2015 un fatturato di 24 miliardi di dollari, con una crescita del 7 per cento sull’anno precedente. Se a Londra un visitatore si affaccia ad Hamleys, l’immenso negozio di quattro piani di giocattoli su Regent street, potrebbe pensare che sia sempre Natale. Ma dietro le cifre globali si sente qualche scricchiolio.
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Molti negozi indipendenti sono costretti a cessare l’attività. Qualche grande produttore, come Hasbro e Mattell, alterna anni buoni ad altri in calo. La Barbie ha provato a diversificarsi, offrendo una versione “con le curve”. A New York ha chiuso Fao Schwarz, il più vecchio negozio di giocattoli d’America (aveva aperto nel 1862). E le aziende che continuano a fare affari d’oro investono sempre di più in videogiochi, giochi online, giocattoli intelligenti.
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E’ questo il punto del lamento della direttrice del Museo dell’Infanzia gallese. «Se basta premere un pulsante e il giocattolo ti fa giocare, la fantasia non si mette in moto», dice Hilary Kennelly. «A lungo andare, anche un videogioco è ripetitivo. Se un bambino gioca con un orsacchiotto, invece, non esiste limite al numero di scenari che può immaginare». Il problema, secondo lei come secondo psicologi ed esperti, è che i bambini di oggi crescono «troppo in fretta». A 2 anni, talvolta anche prima, hanno già in mano uno smartphone e un tablet, imparando rapidamente come usarli.
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«L’altro giorno una bambina di 7 anni mi ha detto che è ormai troppo grande per giocare con la Barbie», osserva la direttrice del museo. Una volta i bambini passavano lunghi pomeriggi con trenini, automobiline, soldatini, Meccano, bambole e animali di pezza: ora preferiscono tuffarsi nel web.
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Naturalmente è anche giusto così, avvertono i produttori di videogiochi: ogni bambino è figlio del suo tempo, sarebbe sbagliato proclamare «fermate il mondo, voglio scendere» e tornare ai giochi degli anni ’60 o di ancora prima. La fantasia si sviluppa anche online. «Ma il mio timore », osserva Kennelly, «è che, senza giocattoli tradizionali, i bambini vengano privati troppo presto dell’infanzia».
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