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    IL CORPO E' POLITICO – LA "BARBICAN ART GALLERY" DI LONDRA DEDICA UNA MOSTRA ANTOLOGICA ALL'ARTISTA AMERICANA CAROLEE SCHNEEMANN – ANTONIO RIELLO: “È LA SACERDOTESSA DI UN MODERNO CULTO FEMMINILE, VISCERALE E PENO DI FISICITÀ. SOSTENEVA CHE È L’ANATOMIA (E SOPRATTUTTO FISIOLOGIA ORMONALE) DEL MASCHIO UMANO LA CAUSA DEI MOLTI MALI DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE. MA LA CELEBRAZIONE DEL TRANSGENDER COME NUOVA FRONTIERA DEI DIRITTI UMANI HA PORTATO CON SÉ UN EFFETTO COLLATERALE PER IL CREDO FEMMINISTA..."


     
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    Antonio Riello per Dagospia

     

    carolee schneemann mostra body politics carolee schneemann mostra body politics

    Carolee Schneemann (1939-2019) è un caso esemplare di come arte, gender, salute e politica si possano intrecciare fra loro. All’artista Americana, che nel 2017 vinse alla Biennale di Venezia il Leone d’oro per la carriera, la Barbican Art Gallery di Londra dedica una bella mostra antologica (Londra EC2Y 8DS, Fino all 8 Gennaio 2023). E’ bene ricordare comunque che il suo lavoro è stato a lungo conosciuto quasi esclusivamente in ristretti circoli di intellettuali, solo nel 1996 alcune importanti gallerie cominceranno finalmente ad occuparsi seriamente del suo lavoro.

     

    Figlia di un medico di campagna (nasce a Fox Chase, in Pennsylvania) si abitua fin da piccola agli arti rotti e ai relativi rimedi. Carolee, carattere ribelle, inizia fin da ragazzina, a sua volta, ad aggiustare e riparare oggetti. L’idea di fondo del “ricomporre i frammenti” accompagnerà, in vari modi, tutta la sua ricerca artistica. I suoi “Life Books” sono infatti composizioni/collage di semplici elementi di vita quotidiana: fotografie, appunti, disegnini infantili, scontrini della spesa, schizzi, volantini pubblicitari e molto altro ancora.

     

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    Precoce nel disegnare (viene espulsa dal Bard College per “turpe condotta” perchè ritrae il proprio corpo completamente nudo) passa poi, negli anni ’50, alla pittura. Dipinge come si dipingeva allora in America: seguendo i dettami dell’Espressionismo Astratto. La costante presenza del suo amatissimo gatto, Kitch, fa capolino nei suoi quadri e ovviamente nei “Life Books” (rimarrà per tutta la vita un’appassionata gattofila).

     

    Si sposta negli anni ‘60 a New York dove frequenta gli ambienti artistici giusti: dal venerato Robert Rauschenberg al giovane Andy Wharol, passando alla partecipazione in una performance di Claes Oldenburg (“Store Days” del 1962). In questo contesto il passo dalla pittura all’installazione (e agli altri media) è una faccenda rapida e naturale.

     

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    La performance la intriga in modo particolare, entra a far parte del celebre Judson Dance Theater dove sviluppa il cosiddetto “Kinetic Theatre”. Il suo spettacolo “Meat Joy” (1964) fonde pittura, ritmo e acrobazie. Corpi umani, pesce crudo, polli, carta, salsicce, colori acrilici ne sono gli ingredienti. Ma si dà da fare anche con il cinema sperimentale: “Fuses” (1964-67) è un ardito lavoro sul proprio piacere sessuale. Molto lontano in verità da aspetti seduttivi o pornografici, è piuttosto uno show di politica corporea, tecnica e polemica allo stesso tempo. Forte, geniale e (come si diceva un tempo) molto “sconveniente”.

     

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    Sposta casa e studio nella Schneemann’s Huguenot House di New Paltz (un paio di ore a Nord di New York) dove passerà il resto della sua vita. La ricerca artistica si focalizza sempre più sul corpo femminile, mentre il suo impegno politico la porta a contestare l’impegno degli USA nella Guerra del Vietnam (“Viet-Flakes”, 1962) La sua è arte politica nel senso più radicale ed impegnato del termine: “personale” per lei significa sempre anche “politico”.

     

    Sostiene che è l’anatomia (e soprattutto la correlata fisiologia ormonale) del maschio umano la causa dei molti mali della società occidentale, e in particolare la responsabile delle guerre. La supposta razionalità maschile produrrebbe schemi comportamentali tossici e pericolosi, mentre l’intuitiva (meglio dire: diversamente organizzata) mente femminile potrebbe essere la soluzione per migliorare il Mondo, o almeno risparmiargli gli orrori più brutali (e un po’ di ragione la nostra artista alla fine ce l’aveva…).

     

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    Il corpo delle donne è un fattore centrale nell’Arte di quegli anni. Per qualcuno diventa colore e pennello: Yves Kline inizia a dipingere le sue famose grandi tele con le natiche alcune modelle (dopo averle ben ricoperte della sua iconica tinta blu). Per altri, come Valie Export o Gina Pane, il corpo diventa il sofferto campo di battaglia delle rivendicazioni della condizione femminile.

    Carolinee Schneemann, sul piano pratico, lavora in entrambe le direzioni. Crede caparbiamente che l’arte possa servire a raggiungere una reale parità di diritti e che il processo debba partire proprio dalle specificità del corpo femminile. E’ la sacerdotessa di un moderno culto femminile, viscerale e peno di fisicità.

     

    Ma la carne è, per definizione, non solo potente ma anche fragile. La morte precoce di amici cari come Derek Jarman e una forma tumorale che la colpisce la fanno riflettere sulla caducità dell’esperienza umana. L’opera “Mortal Coils” (1994-95) ne è la profonda e sincera testimonianza.

     

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    Anche LE idee comunque possono morire (di “fuoco amico” in questo caso): la incalzante celebrazione del Transgender come nuova frontiera dei diritti umani ha portato con sé un imprevisto effetto collaterale per il credo femminista più carnale ed anatomico (almeno nell’Impero Occidentale). Nella nuova prospettiva il nemico non è più solo il corpo di “Lui” ma anche quello di “Lei”. E’ tutta la cosiddetta “sessualità binaria” (con il portato di identità che le è propria) ad essere messa in discussione e poco importa riguardi attitudini eterosessuali o omosessuali.

     

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    Tanti decenni di dure battaglie è come se si fossero annullati, in quanto sorpassati da un nuovo punto di vista ancora più radicale. Il dibattito nato sui media circa alcune posizioni pubbliche di J.K. Rowling (la scrittrice della saga di Harry Potter) spiega abbastanza bene come stanno andando le cose. La Rowling è assolutamente in linea con le posizioni femministe, ma rifiuta la base del credo Transgender, e cioè che l’anatomia del corpo umano sia mobile e relativa. Il risultato: sui media c’è chi boicotta apertamente i suoi libri e non viene più invitata nei salotti letterari più impegnati. Lei dice: “pazienza, me ne frego, sopravviverò lo stesso” (c’è da crederci: è stata a lungo la prima contribuente del Regno Unito, davanti anche alla Royal Family).

     

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    Ma quello che sta accadendo è di sicuro un tragico paradosso per chi, come la Schneemann, ha dedicato tutta la sua vita (e il suo talento artistico) alla mistica del corpo delle donne.

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