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    LO ''STATE A CASA'' PER LE DONNE C'È SEMPRE STATO  - FLAVIA PERINA: ''SÌ, ABBIAMO PAGATO. SÌ, LEI SI È CONVERTITA. MA AL POPOLO DEL WEB NON SONO PIACIUTE MOLTE ALTRE COSE. QUESTO TIPO DI RAGAZZE NON CI PIACCIONO, CI INSOSPETTISCONO, FORSE METTONO IN DIFFICOLTÀ UNA CULTURA CORRENTE DOVE IL RISCHIO NON È PIÙ CONTEMPLATO. SIAMO IL PAESE DI ANITA GARIBALDI, CHE CAVALCA E SPARA IN MEZZO A TRE O QUATTRO RIVOLUZIONI, MA SE VIVESSE OGGI LE DIREMMO: CHI TE L’HA FATTO FARE? POTEVI RESTARTENE A CASA, COME TUTTE''


     
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    Flavia Perina per www.linkiesta.it

     

    conte di maio silvia romano conte di maio silvia romano

    Sì, abbiamo pagato. Sì, lei si è convertita all’Islam. Il ritorno in Italia di Silvia Romano è accompagnato dalle consuete polemiche sul riscatto ma soprattutto dallo choc culturale di vedere la ragazza scendere dalla scaletta dell’aereo con un goffo tabarro e una gonna lunga fino ai piedi: insomma, vestita da perfetta musulmana.

     

    Quanto ci sia di autentico e quanto di circostanziale nella sua scelta religiosa lo capiremo in futuro. Quasi due anni in balia del peggior radicalismo islamico dovrebbero invitare alla cautela nel giudizio e nel commento. Ma al popolo del web non sono piaciute anche altre cose. Il sorriso di Silvia, ad esempio («Non sembra una che se l’è passata male»). E poi le dichiarazioni generose sul trattamento che ha subito («Se l’hanno trattata bene, se non ha da lamentarsi, poteva restarci»). 

     

    silvia romano arrivata a roma silvia romano arrivata a roma

    Non è una novità. Le ragazze e signore italiane vittime di sequestro all’estero sono sempre state oggetto di uno specifico e occhiuto esame estetico-morale durante e dopo le loro drammatiche avventure: non ce n’è una che sia stata promossa. Simona Parri e Simona Torretta, per tutti “le due Simone”, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano, rientrarono a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo nelle mani dei guerriglieri di El Zawahri.

     

    flavia perina flavia perina

    Erano vestite con lunghi caftani colorati, anche loro ridevano abbracciando i loro cari e le autorità. Ai giornalisti dichiararono l’intenzione di tornare a lavorare per la cooperazione. Apriti cielo. “Oche giulive”, titolò Il Giornale, dando voce a un sentimento collettivo di riprovazione e sdegno: l’idea generale era che due donne, dopo una pessima avventura di quel genere, dovessero rientrare a occhi bassi, modestamente vestite, contrite e pronte a giurare di non farlo mai più (in realtà entrambe hanno continuato a lavorare a progetti umanitari in Libano e Sudamerica).

     

    Peggio andò a Greta e Vanessa (i cognomi erano Ramelli e Marzullo, ma non venivano quasi mai citati). Loro, dopo sei mesi in mano alle milizie siriane e un drammatico video in cui supplicavano l’Italia di aiutarle, tornarono palesemente sotto choc, infagottate nelle giacche a vento, col cappuccio tirato sulla testa.

     

    E tuttavia si discusse moltissimo delle loro foto precedenti, quelle pubblicate su Fb ad Aleppo prima del sequestro che le mostravano allegre, con abiti un po’ hippy e fasce colorate tra i capelli: macché volontariato, si disse l’italiano medio, questo è un happy hour, una festa, un’avventura scombinata. 

     

    GRETA E VANESSA - I SOLDI DEL RISCATTO GRETA E VANESSA - I SOLDI DEL RISCATTO

    Il sospetto fu che fossero d’accordo con i rapitori, per finanziare la loro causa attraverso il riscatto. Un sito di fake news rivelò: sono tutte e due incinte. Incauti parlamentari del centrodestra ritwittarono la notizia. Altre fonti le dichiararono ripetutamente abusate: quando loro smentirono, sostenendo di essere state trattate con umanità, scatto il solito coro: «Se stavate così bene, potevate rimanerci».

     

    Adesso la vicenda di Silvia allunga la casistica delle rapite inadeguate al ruolo che il comune sentire vorrebbe assegnargli, qualunque esso sia: Marie Maddalene pentite, testimonial della lotta al terrorismo o all’Islam, Sante Marie Goretti del sacrificio estremo. 

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    Non c’è niente da fare: l’uomo che si impegna in un’impresa pericolosa – che si arruoli nella Legione Straniera o coi curdi del Rojava – è un eroe; la donna che aderisce a una causa morale di qualunque tipo è una sventata, una scema, una poveretta inconsapevole e manipolata anche se, come le due Simone, ha trent’anni, è un’adulta e ha fatto una scelta di vita. 

     

    Questo tipo di ragazze non ci piacciono, ci insospettiscono, forse mettono in difficoltà una cultura corrente dove il rischio non è più contemplato. Siamo il Paese di Anita Garibaldi, che cavalca e spara in mezzo a tre o quattro rivoluzioni, ma se vivesse oggi le diremmo: chi te l’ha fatto fare? Potevi restartene a casa, come tutte.

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