Marco Conti per "il Messaggero"
mario draghi giuseppe conte
Il primo ad aver compreso l'obiettivo di Giuseppe Conte quando ha mandato i ministri 5S a sostenere la tesi dell'astensione sulla riforma Cartabia, è stato Giancarlo Giorgetti. «Qui in gioco non c'è la riforma ma il governo» e mi sembra che Conte abbia in testa di logorarne l'efficacia», ha sostenuto in Consiglio il ministro ed l'esponente leghista, dopo che Mario Draghi era tornato a chiedere a tutti un segnale di responsabilità perché ognuno rinuncia a qualcosa, ma lo fa per rendere l'Italia più forte e credibile.
dario franceschini
Neanche mezz' ora e il consiglio dei ministri si interrompe e poichè la questione da tecnica era diventata politica, scendono in campo i big dei partiti. Dario Franceschini si precipita alla Camera per incontrare Conte che prima del consiglio dei ministri aveva riunito i sui ministri, e la sottosegretaria Macina, dettandogli la linea: «Senza le nostre richieste ci asteniamo e poi decidiamo che fare in Aula». Messo alle strette dalla tempistica imposta da Draghi con la richiesta del voto di fiducia, l'ex premier aveva ieri deciso che era il momento di iniziare a mettere una prima pietra sull'uscita del M5S dalla maggioranza.
MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI
Il voto sulla Rete, che dovrebbe incoronarlo leader del M5S, è alle porte e iniziare a rompere difendendo la riforma Bonafede rappresentava un buon volano. Forte dei mugugni, dei distinguo interni al M5S, del sostegno di alcuni organi di stampa e ingolosito per l'avvicinarsi del semestre bianco che impedisce a Sergio Mattarella lo scioglimento delle Camere, per Conte ieri era il momento di passare alla stagione del governo amico dove si decide di volta in volta cosa e se votare.
GIUSEPPE CONTE MARIO DRAGHI
Con l'astensione dei ministri grillini in Consiglio sarebbe stato gioco facile trasferire analoga scelta sui gruppi parlamentari e l'astensione avrebbe messo il M5S dallo stesso lato di FdI, partito che si è infatti astenuto al momento del voto di fiducia. Franceschini raggiunge Conte nella Sala Siani di Montecitorio e gli spiega che l'astensione in Consiglio dei ministri 5S non sarebbe stata accettata da Draghi. Analogo ragionamento lo ripetono i ministri pentastellati. Di Maio è il più attivo e continua ad avere una fortissima presa sul gruppo parlamentare della Camera.
provenzano
Un'onda di telefonate e di sms che coinvolge anche il vice segretario del Pd Provenzano e l'attuale ministro Orlando. Tutti e due latori di un messaggio arrivato direttamente dal Nazareno secondo il quale mettersi contro le riforme del Pnrr, giustizia compresa, significa dire addio a qualunque possibile intesa con il Pd. Solo dopo questo chiarimento si cerca una via d'uscita che permetta a Conte di salvare la faccia. Tocca a Giorgetti tenere a freno Matteo Salvini, che non intendeva concedere una virgola in più ai 5S rispetto a quanto gli aveva spiegato lo stesso Draghi qualche giorno prima, e Forza Italia.
ANDREA ORLANDO
Alla fine Lega e FI accettano di poter dare a Conte la bandierina dei tre anni di regime transitorio per i reati di stampo mafioso. Quando Conte si presenta davanti le telecamere sa di avere poco in tasca rispetto a quanto promesso. Non è passata la proposta di abrogare la norma che prevede l'indicazione di criteri generali per l'azione penale rivolta dal Parlamento alle procure, nè quella di portare il limite massimo di durata per tutti i reati contro la Pa, anche dopo il periodo transitorio, a 4 anni e tutta un'altra serie di proposte vergate da Conte per accompagnare i 916 emendamenti.
andrea orlando zingaretti