Fabrizio Peronaci per corriere.it
franco de gese renatino de pedis
C’era 40 anni fa, in prima linea sul fronte dei morti ammazzati. E lo è ancora oggi, anche se i delitti sono molto diminuiti. Tutti i giorni alle prese con faccende macabre e alquanto repellenti, come vestire una salma, spingere a forza un braccio dentro una cassa se il defunto era obeso, spiegare a una donna fresca di vedovanza che «con tutto il rispetto, signo’, la buonanima se l’è cercata, fare l’amore in quel modo, a una certa età, ti porta dritto al Creatore...»
Però lui, «Franchino er cassamortaro», come lo chiamano a Trastevere, al secolo Franco De Gese, 71 anni ottimamente portati, il sorriso non lo perde mai. Elegante come un figurino, lo scambieresti per un direttore di banca o per un funzionario del vicino ministero dell’Istruzione, se non fosse che se ne sta lì da mattina a sera, impettito e di ottimo umore, in attesa di clienti davanti all’impresa funebre affacciata su piazza San Cosimato. Qualcuno, vedendolo, fa il gesto delle corna e si tocca, e lui non gradisce per niente... «Sì, di str... che quando passano davanti al negozio si mettono la mano in tasca ce ne sono ancora. Per fortuna sempre meno... Il nostro è un servizio serio».
renato de pedis agguato
Lei iniziò quando il lavoro non mancava. La «mala» qui attorno si ammazzava che era un piacere.
«Alcuni erano amici veri, come Giorgio Paradisi...»
Detto «Er Capece», uno dei fondatori della banda della Magliana, coinvolto nel sequestro del duca Grazioli, attivo nel settore rapine e spaccio di droga.
«E che vuol dire? Uno mica lo sa, da ragazzino, come si diventa poi! Io so’ nato a Campo de’ Fiori, dove i miei c’avevano un banco, e dove negli anni ‘60 altro che Trastevere, la polizia nun entrava proprio. Sa qual era la tecnica? Per mandare indietro una Volante, ai Cappellari, ‘na donna stese una neonata sull’asfalto, davanti alle ruote. ‘Se avete coraggio venite avanti!’strillava».
Paradisi, dicevamo.
«Con me si comportava da brava persona, corretto, gentile. Gli so’ stato vicino fino all’ultimo. Il tumore lo faceva entrare e uscire dal carcere e l’unico che andava a trovarlo a Villa Tiberia ero io».
DE PEDIS
Gente verace.
«Un pezzo di Roma, umanità vera. Gente che sbagliava, certo. Ma quando ti chiamano per un funerale, mica chiedi la fedina penale. All’inizio facevo il commesso nei negozi, in via Giubbonari. Nel ramo entrai grazie a un cognato, un Chiericoni...»
Onorate pompe funebri.
«Sì, quelle di una volta, Zega, Scifoni... Professionisti veri. Non come oggi, che su Internet ti rifilano bare cinesi a 100 euro, ma quando si solleva la cassa il fondo si stacca e il morto finisce sul pavimento della chiesa. È già successo tre o quattro volte...»
Cose dell’altro mondo.
«Appunto. Qui a Trastevere ne ho viste di tutti colori. Mi misi in proprio a inizio anni Ottanta, periodo di fuoco...»
In tempo per seppellire Franco «er Negro», detto anche «Fornaretto» per il suo primo impiego da panettiere?
Franchino l’impresario guarda 30 metri più giù, in direzione dell’edicola, all’imbocco di via Dandolo. Lo stesero a pistolettate, al volante della sua R5, davanti all’ingresso laterale del Regina Margherita. Che tempi... «No, fu ammazzato nel settembre 1980, poco prima. Il funerale glielo fece la ditta Olimpica. Io arrivai l’anno dopo, al posto di un negozio di fotografia. Comunque lo conoscevo bene, Giuseppucci: un signore, persona educata, bella presenza, bel sorriso. Ripeto, io parlo dell’impressione che dava all’esterno».
Un po’ come il boss, Enrico De Pedis. Sempre acchittato, inserito in ambienti ecclesiastici, finanziari...
RENATO DE PEDIS
«Ah, già, anche lui un signore. Mai sentito una parolaccia sulla bocca di Renatino. E chi se lo scorda il funerale? Febbraio 1990: vennero da me gli amici. ‘Franchi, nun bada’ a spese’. Io allora ordinai una cassa modello extralusso, stupenda. Il top: una baccellata di mogano intarsiata a mano, con le colonnine sui fianchi, le zampe di leone e il coperchio decorato a conchiglie. Un capolavoro! A San Lorenzo in Lucina, durante la messa, faceva un figurone. Vedesse quante guardie che c’erano...»
Prima destinazione Verano, giusto?
«Certo, uno dei riquadri a destra, dopo l’ingresso in auto. Poi, mesi dopo, non di notte, come fu insinuato, ma alla luce del giorno, in totale regolarità, fui chiamato per il trasferimento nella basilica di Sant’Apollinare. Quante str... avete scritto, voi giornalisti! Che la famiglia aveva versato tre miliardi, che io avevo preso chissà cosa...»
franco giuseppucci
Invece?
«Il giusto: mi pare tre milioni e mezzo di lire. Ci occupammo di tutto: estumulazione, assistenza sanitaria, decreto per l’estero e anche del rivestimento in piombo, imposto dal Vaticano. Infilammo la prima cassa in una più grande, pesantissima. Portarla nella cripta fu uno sforzo immane, a momenti 8 persone non bastavano».
Lavoro sprecato. Nel 2012 la Santa Sede diede l’ok allo spostamento della salma, per far tacere le polemiche, e Renatino finì cremato...
«Non me ne occupai io. La moglie si rivolse ad altri».
All’epoca, durante i lavori a Sant’Apollinare, si disse che il corpo di De Pedis era integro, perfettamente conservato.
«E lo credo. Lavoro preciso, a regola d’arte. E tenuta stagna perfetta, con la doppia cassa piombata».
franco giuseppucci er negro
Solo delinquenti, nella sua carriera?
«Negli anni ‘80 ci fu anche il periodo dei morti ammazzati sul Tevere, all’altezza della Magliana. Noi andavamo e ci toccava aspetta’ l’ok del magistrato, dopo l’autopsia...»
Ma l’eterno riposo a gente perbene?
«Ovvio, tantissimi. Quante volte so’ stato a piazza del Popolo, alla chiesa degli Artisti! Fu io ad andare a prendere a Fiumicino Gian Maria Volontè, che era morto in Grecia, e Sylva Koscina, alla Quisisana, disfatta da un tumore, poverina. Delle esequie di Renato Salvatori, quello di ‘Poveri ma belli’, si occupò l’ex compagna francese, fu lei a pagarmi...»
Nostalgia del «vespillone» di una volta? Il vecchio agente della mortuaria che controllava la sepoltura e, per esser sicuro del trapasso, girava con uno spillone e dava una puncicata al piede...
Franchino «er cassamortaro» si fa serio. «Mi stia a sentire. Al di là dei pochi imbecilli che ancora si grattano, noi facciamo un mestiere importante. Invece a Roma il settore è diventato uno schifo: da un lato c’è l’Ama, che spilla tasse a non finire. Duecento euro per aprire un loculo e vedere se c’è spazio per un’urna: 5 minuti di lavoro in tutto. Oltre duemila euro per aggiungere una salma in tombe già piene. Settecento per le cremazioni. Sembra un ministero: il sabato niente inumazioni e durante la settimana alle 16 spaccate chiudono, obbligando i familiari che arrivano anche con 5 minuti di ritardo ad attese dolorose».
renato salvatori
Le pompe funebri non sono più quella di una volta. Gli Zega, gli Scifoni, eccetera...
«Purtroppo è così. Oggi a Roma operano 700 agenzie, un’enormità. Alcune si appropriano dei cognomi storici, non essendo eredi. Ci sono cause in corso. Altro esempio: tu chiami un ragazzo pe’ fa’ ‘na spallata, come diciamo in gergo, quello si presenta in chiesa, porta fuori la bara e dopo tre volte si monta la testa, compra una scrivania, attacca il telefono e apre un’agenzia».
No, così non va.
«Certo che no. Diceva Foscolo: All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne...»
Franchino, ci risparmi «I sepolcri»!
«La saluto. A presto. In senso buono, eh?»
SYLVA KOSCINA E HELMUT BERGER IN UN FOTOROMANZO
5 - continua
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