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    'FRIEZE'! LE OPERE DA NON PERDERE BY RIELLO NELLA MIGLIORE FIERA DI LONDRA DEDICATA ALL’ARTE CONTEMPORANEA – LA #METOO DELL’ARTE CON HELEN CHADWICK CHE FA PIPI’ PER PROTESTA – E POI L’INSTALLAZIONE SIMBOLO DELLA KERMESSE DI TATIANA TROUVE’, LA GRANDE SCULTURA DI URS FISHER, CON UN SIGNORE INTENTO A RIMIRARE IL SUO SMARTPHONE, IL SUPERBO EROTISMO DEI DISEGNI DI SERGEI EISENSTEIN. E UN SACCO DA PUGILE CON I COLORI E LE STELLE DELL’UNIONE EUROPEA FATTO DAL DUO DRAGSET & ELMGREEN - VIDEO


     
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    Antonio Riello per Dagospia

     

    L’affollato delirio della settimana di Frieze porta, come ogni anno, l’Arte Contemporanea al centro della mondanita’ londinese. Molti usano questa occasione per esibire la propria “creativita’” - per lo piu’ bizzarra - nel vestire e nell’acconciarsi. E’ una fiera di personaggi ancora prima che di opere d’arte.

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    Nell’edizione 2018: piu’ colore del solito (il rosa e il rosso sembrano avere la meglio) equilibrio tra i vari generi (tecnologia, materiali tradizionali, foto e pittura sembrano aver trovato stavolta un gentlemen agreement), molto Giappone, i prezzi tengono e nell’insieme sembra procedere tutto con una certa baldanzosa disinvoltura. Le gallerie nelle fiere fanno ovviamente il loro lavoro: vendere arte. Cercano ovvero di intercettare (quando possibile anche di influenzare) le tendenze di un mercato capriccioso e vivaciotto che sembra comunque risentire poco delle inquietudini legate all’incipiente Brexit e ai vari grattacapi della scena internazionale.

    Tra il pubblico valanghe di italiani, molti francesi, relativamente pochi gli orientali.

    Quest’anno il motto adottato dagli organizzatori (Victoria Sidall, Jo Stella-Sawicka, Nathan Clements-Gillespie) e’ stato: “bisogna che il mondo dell’Arte dia piu’ spazio alle donne artiste”. Una specie di  #MeToo dell’arte. Helen Chadwick fa la pipi’ per protesta, Havy Kahraman fa una specie di “donazione genitale” e Sarah Lucas (a modo suo) gioca con il corpo maschile. Tra i VIP dell’opening c’era perfino la ormai celebre Rose McGowan.

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    Ci potrebbe stare, siamo tutti d’accordo. Ma in sostanza cosa si puo’ fare? Istituire le famigerate “quote rosa”? Ma poi che senso ha? L’appetibilita’ commerciale di un opera d’arte e’ un fenomeno complesso che non si puo’ certamente controllare (almeno completamente) a tavolino con proclami e slogan. Ed e’ assolutamente normale immaginare che un’artista donna vorrebbe essere celebrata e apprezzata piu’ per il proprio talento che per la propria appartenenza di genere. Un tema tra l’altro gia’ abbondantemente discusso piu’ volte negli anni passati in varie sedi. Da aggiungere il paradosso che ci sono in mostra, tranquillamente, parecchie opere sul filo del rasoio della pornografia, dove il corpo femminile viene trattato, elegantemente o meno elegantemente, come una forma di “merce”. Insomma sembra ancora una volta piu’ la solita “bella figura” (da giocarsi con ipocrisia sui media) che la sostanza coerente delle cose. L’Arte Contemporanea e’ (e rimane) una realta’ elitaria e privilegiata che, anche se si paluda di tematiche sociali/umanitarie, di fatto e’ materialmente piuttosto distante dalle tribolazioni (vere e non fictional) delle masse e dei diseredati.

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    Campeggia subito una grande installazione di Tatiana Trouve’ alla Galerie Kamel Mennour. E’ un po’ il simbolo di questa fiera: un grande albero vivo con una forza quasi sciamanica. C’e’ disperazione, cinismo, senso dello spettacolo.

    L’altra immagine forte e’ “Francesco” la grande scultura di Urs Fisher, esposta da Sadie Coles. Un signore imponente, con la pelle rossa, gloriosamente intento a rimirare il suo smartphone. Un monumento non-banale alla banalita’ quotidiana.

    La galleria Victoria Miro ha in mostra una delle opere piu’ manifestamente legate alla realta’ politica attuale: un sacco da pugile con i colori e le stelle dell’Unione Europea fatto dal duo Dragset & Elmgreen (i due artisti hanno in corso, proprio in questo stesso periodo, una mostra alla Whitechapel Gallery). Probabilmente l’opera preferita dai ministri dell’attuale Governo Italiano…

    L’artista Camille Henrot ci propone una serie di telefoni da parete (molto “design”). Archeologia della comunicazione, molto interessante e pure interattiva.

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    Joyce Pensato alla Lisson Gallery propone dei disegni su carta magistrali. Tradizione efficace.

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    Nella galleria giapponese Taro Nasu c’e’ “FairlyTales I”, una bellissima opera (che ricorda un po’ certe realizzazioni di Lorna Simpson) di Simon Fujiwara.

    Il progetto di sculture all’esterno, Frieze Sculpture 2018, occupa come sempre la parte Sud-Est di Regent’s Park e riassume un po’ le virtu’ e i limiti della manifestazione. Sono venticinque i lavori all’aperto. Rimarchevoli: il pinguinone di John Baldessari, lo stupendo cottage giallo/nero di Richard Woods, la torre in vetro e ferro di Kimsooja, l’idolo eclettico di Bharti Kher, le lepri di Barry Flanagan. Inutili: gli uccelli in bronzo di Tracey Emin, la infelice Alice in Wonderland di Kiki Smith.

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    La fiera continua a mantenere anche la sua “costola” un po’ piu’ snob, Frieze Masters, con la quale finisce per essere comunque in una strana e sottile competizione.  Chi viene fin qua (verso lo Zoo di Londra) dove la pratica del collezionismo viene elegantemente vezzeggiata con studiata enfasi e britannico pragmatismo, la sa (o pensa di saperla) un po’ piu’ lunga degli altri. Si sente spesso dire in giro: “Frieze ? no per carita’….io vado solo a vedere Masters!”

    Sempre tanti - forse anche troppi – i “tagli” di Lucio Fontana mentre non stancano mai i Boetti, soprattutto quelli di grandi dimensioni. Il superbo erotismo dei disegni di Sergei Eisenstein (si’, e’ il regista russo) e’ superbo. Qualche bel lavoro del duo Fischli & Weiss risalta nello stand della galleria newyorkese Matthew Marks. Troviamo non lontano un bel Rotella d’annata che curiosamente sembra quasi aver previsto le strane e convulse nostalgie italiane di questi ultimi anni. Paul Hughes con i suoi rari tessuti andini e una ricchissima retrospettiva di Gagosian su Man Ray rimangono anche sicuramente impressi in mezzo ad una moltitudine labirintica e quasi inesauribile di oggetti.

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