Fabrizio Roncone per il ''Corriere della Sera''
alessandro di battista con il franco delle colonie
Sapeva di essere molto atteso, molto visto, Alessandro Di Battista — domenica sera — a Che tempo che fa, da Fabio Fazio. È stata una mezz’ora piuttosto indicativa. Due o tre cose, restano. Partiamo dall’ultima. Dall’ultima scena.
Quando Di Battista si alza dalla poltroncina e fa per andarsene: il suo volto è tirato in un sorriso di circostanza. Niente a che vedere con quei sorrisoni che invece è sempre stato bravissimo a sfoggiare, belli e spavaldi, sicuri ai limiti dell’arroganza. Probabilmente, non si è piaciuto. Quando sei davanti a una telecamera, in tivù, certe cose le avverti, te le senti addosso da subito. E lui, da subito, ha qualcosa che non funziona come al solito.
FABIO FAZIO E ALESSANDRO DI BATTISTA
Intanto: è sbarbato, profumato, stretto stretto dentro un abito blu, tipo agente immobiliare. Un figurino. Solo che quello tutto perfettino, nel M5S, c’è già ed è Luigi Di Maio. Di Battista ha invece sempre funzionato mediaticamente perché fin dall’inizio s’è messo nella parte del gruppettaro, con il barbone e i jeans, i basettoni anni Settanta, guardatemi i basettoni, e poi i modi ciondolanti, piacioneschi, un po’ Che Guevara di piazza dei Giochi Delfici, Vigna Clara, Roma — come nell’ultimo viaggio con moglie e figlio al seguito, dal Messico al Nicaragua, passando per il Guatemala, scrivendo reportage per Il Fatto — un po’ «Cuore di panna», il soprannome con cui animava i villaggi turistici prima di presentarsi a Gianroberto Casaleggio e trovare, così, un lavoro.
FABIO FAZIO E ALESSANDRO DI BATTISTA
Strizzato in un vestito non suo, va bene: però poi anche legnoso nelle risposte, senza la retorica spumeggiante che pure ha in dono (quando, lo scorso autunno, si collegava in diretta Facebook da luoghi imprecisati del Chiapas — come il subcomandante Marcos, ma senza passamontagna — a centinaia commentavano eccitati invocando il suo ritorno, «perché lì starai pure studiando la coltivazione del mais, ma qui la Lega ci sta facendo a pezzi»).
FABIO FAZIO E ALESSANDRO DI BATTISTA
Stavolta, il pubblico dello studio è gelido. Su Twitter, a tratti, va peggio. Specie quando dice: «Toninelli è il miglior ministro che abbiamo». Dice proprio così. Allora Fazio prima fa la faccia incredula, poi capisce che dietro deve esserci qualche accordo politico interno al Movimento, magari in vista d’un rimpasto di governo che Salvini, fortissimo nei sondaggi, potrebbe chiedere: e allora la butta sul ridere, ricordando soltanto la storia del tunnel del Brennero, che Toninelli, ministro dei Trasporti, pensava fosse già operativo e che invece — forse — verrà completato nel 2025. Solo che Di Battista non è disposto all’ironia.
ALESSANDRO DI BATTISTA ANIMATORE
È nervoso, iroso, guardingo. Risponde male a Fazio, che lo definisce «uno studioso». Poi propone di raccogliere i migranti alla deriva nel Mediterraneo e di portarli a Marsiglia: «Serve un incidente diplomatico» (lasciando così intendere — involontariamente, chiaro — di voler invadere la Francia).
Dopo aver rivisto tutta la mezz’ora esatta del suo intervento da Fazio, la domanda è: serve davvero al M5S un Di Battista così? Così vestito, così irascibile, così banale? Aveva un suo fascino forte il Dibba che pure Il Foglio definì un «mitomane a 5 stelle» e che il New York Times inserì nell’elenco dei migliori politici «ballisti» del 2015. Era uno che, nonostante tutto, trascinava, spostava, entusiasmava. Adesso dice che la Tav «è la più grossa sciocchezza che si possa realizzare» e suggerisce, piuttosto, di rifare la tratta ferroviaria Roma-Viterbo (curiosamente, l’azienda di famiglia gestita dal padre Vittorio — cuore politico nero con i conti in rosso — è a Fabrica di Roma: in provincia, appunto, di Viterbo).
ALESSANDRO DI BATTISTA IN GUATEMALA alessandro di battista in messico alessandro di battista e sahra in viaggio 2 di battista di battista di battista