Giovanni Sallusti* per Dagospia
* autore del libro ''Politicamente Corretto - la dittatura democratica'' - Giubilei Regnani editore
POLITICAMENTE CORRETTO GIOVANNI SALLUSTI
Caro Dago,
Niente spiega meglio le follie del Politicamente Corretto che la testimonianza dei suoi funzionari caduti nelle purghe interne.
Prendiamo il caso di Elena Tebano, giornalista del Corriere che sul sito del medesimo così si descrive: “Si occupa in particolare di questioni di genere e diritti Lgbt... La sua sensibilità verso i diritti di genere l’ha portata ad approfondire l’argomento dell’omofobia in tv...”. Non una bieca reazionaria dal cognome sospetto che scrive su Libero, per capirci.
Ebbene, un paio di settimane fa la collega ha rendicontato la “transizione di genere” (qualunque cosa voglia dire tale supercazzola arcobaleno) dell’attrice canadese Ellen Page, la quale ci ha tenuto a far sapere al mondo che d’ora in poi il suo nome sarà Elliot, e i suoi pronomi di riferimento, con tanti saluti all’analisi logico-grammaticale, “lui/loro” (quest’ultimo utilizzato dalle persone “non binarie”, in lotta dura con l’insopportabile fascismo linguistico che prevede un maschile e un femminile).
ellen elliot page
Solo che quel giorno la Tebano è forse stanca, forse distratta, e infrange il tabù: per informarci che Ellen è diventato Elliot scrive... Ellen! Non solo: il discriminatorio nome femminile per indicare l’attore non più attrice (no, scusate, omo-bi-transofobi che non siamo altro, non è mai stato attrice, nemmeno quando fu candidato all’Oscar come Miglior Attrice per “Juno”), compare anche nel titolo corrieresco “Ellen Page annuncia...”.
Quanto basta per far scattare l’accusa deviazionista di “deadnaming”, uno psicoreato gravissimo secondo il Soviet politically correct, consistente nella pratica - citiamo dal successivo pezzo della Tebano - di “usare il nome di nascita di una persona transgender (cioè un nome che è «morto») senza il suo consenso” per “respingere e rifiutare aggressivamente l’identità di genere di una persona trans”. Come aveva preconizzato Orwell, la storia, anche quella personale, è ormai “un palinsesto che può essere raschiato e riscritto tutte le volte che si vuole”.
La giornalista, appunto, è costretta il giorno dopo a vergare un altro articolo in cui respinge il capo d’imputazione e spiega i motivi della sua scelta, filosofeggiando che “nominare chi era in passato, riconoscendo chi è adesso” Ellen/Elliot serve a “dare la misura di quel percorso. Permette alle persone (anche a quelle che non ne sanno niente) di capire cosa significa la sua transizione. Non la nega, la onora”.
ellen elliot page con la moglie emma portner
Giuro, vostro onore, nessuna eterodossia, era una deroga per “onorare” il cambio di genere, e contemporaneamente instillare un po’ di neolingua pride a quei buzzurri che “non ne sanno niente” e magari praticano ancora la vetusta e criptosovranista copula tra il maschio e la femmina, al massimo un caso flagrante di scrittura più realista del Re Lgbt.
Fine della (tragi)commedia. Non fosse che oggi una lettrice non ancora del tutto rieducata, Sara Gamba, scrive alla posta di Beppe Severgnini, chiedendo in soldoni perché mai il più prestigioso (?) quotidiano italiano aderisca così tanto alle turbe correttiste da scusarsi per aver dato un’ultima volta a Elliot della Ellen.
ELENA TEBANO
Severgnini cede cavallerescamente la penna alla stessa Tebano (ma non sarà un rigurgito maschilista-paternalista?), che bacchetta la signora: “Chiedere di essere chiamati in un determinato modo, significa chiedere di riconoscere la propria identità attuale. Adeguarsi è una forma di rispetto: dietro al fantomatico “politicamente corretto” c’è solo questo, il tentativo di rispettare gli altri”. A pensarci, è giusto. Al momento la mia “identità attuale”, ad esempio, è quella di un afroamericano alto un metro e 98 centimetri che ha vinto 6 anelli Nba, quindi vi pregherei di rispettarmi e chiamarmi Michael Jordan.
ELENA TEBANO ellen page con la moglie emma portner