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    “QUANDO BERLUSCONI MISE LA FIGLIA BARBARA A CAPO DEL MILAN MI DIMISI. ERA IL GIORNO IN CUI ALFANO LASCIÒ FORZA ITALIA. SILVIO MI DISSE: “NON PUOI ANDARTENE ANCHE TU”. RISPOSI: “OBBEDISCO”, COME UN NOVELLO GARIBALDI” – LE CONFESSIONI DEL “CONDOR” GALLIANI: "LA MIA VITA INSIEME AL CAV È STATA COME NEL FILM "FUGA PER LA VITTORIA” MA NON CI DIAMO DEL TU - L’INCAZZATURA DI SILVIO PER L’ACQUISTO DI DESAILLY – IL NO ALLA CANDIDATURA A SINDACO DI MILANO: “IL CALCIO MI PORTA VIA TROPPO TEMPO” (IL SENATO GLIENE PORTA VIA DI MENO?)


     
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    Claudio Bozza per 7 – Corriere della Sera

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    Siamo nel cuore di Brera. La casa di Adriano Galliani è un museo del calcio. Un fiume di ricordi e aneddoti. Lui, classe ‘44, quasi saltella. Ancora non ha smaltito l’adrenalina: «Dopo 110 anni ho realizzato il sogno di mia madre Annamaria: portare il Monza in Serie A. E ho pianto a dirotto».

     

    Poi riavvolge il nastro e racconta l’istante in cui la sua vita cambiò per sempre: l’incontro con Silvio Berlusconi (e un miliardo delle vecchie lire). Senza contare la battaglia contro il Covid: «Sono vivo per miracolo. Ma non sono più lo stesso di prima, in meglio».

     

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    Chiuda gli occhi: il suo primo ricordo?

    «A 5 anni mia mamma mi portò per la prima volta allo stadio: da bambino dicevo che da grande volevo fare il presidente del Monza, e così è stato. Ho imparato a leggere sulla Gazzetta dello Sport. Mia madre aveva una piccola azienda di trasporti. Aspettavo che gli autisti andassero in pausa pranzo: salivo sul camion, rubavo la Gazza e la leggevo tutta».

    Lei è il più vincente dei numeri due. Si ritrova in questa definizione? 

    «Assolutamente. Io ho avuto una grande fortuna nella mia vita: essere sì il numero due, ma di Silvio Berlusconi».

     

    Qual è stato il suo segreto per diventarlo?

    «Ho grande empatia e grande ammirazione per il presidente. Fare il suo numero due è perfetto per la mia psiche e la mia anima».

    Mi racconta il momento esatto in cui la sua vita è cambiata?

    «Lo ricordo come fosse ora: 1 novembre 1979. Berlusconi mi invitò a cena ad Arcore. Mi chiese se con la mia Elettronica industriale, piccola azienda che portava in Italia il segnale delle televisioni straniere (Telemontecarlo e Tv Svizzera) fossi in grado di costruire tre reti nazionali.

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    Io dissi di sì. Lui mi rispose: “Bene, il prezzo lo faccia lei”. Pagò un miliardo delle vecchie lire per il 50% della mia azienda: la cifra non l’ho mai rivelata a nessuno. Aggiunsi, però, visto che ero comproprietario della squadra: “Io sono disponibile a lavorare giorno e notte per costruire le reti, ma devo poter seguire il Monza in casa e in trasferta”. Berlusconi mi guardò stralunato».

     

     del lei?

    «Il lei ha un senso. Mi ricordo una risposta di Cesare Romiti quando gli chiedevano perché desse del lei all’Avvocato: “Il lei non toglie intimità, ma dà più autonomia”».

     

    Poi avete vinto tutto con il Milan...

    «Abbiamo vinto 29 trofei dei 48 totali del Milan, dal 1899. E adesso abbiamo vinto Serie C e B con il Monza».

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    Ora Berlusconi, dopo due anni di assenza tra Covid e problemi di salute, è tornato a Roma e annunciato una nuova discesa in campo. È come l’eterno ritorno di Nietzsche?

    «Berlusconi, come tutti i grandi fondatori della storia, ha un circuito mentale diverso da tutti gli altri. Ha intuizioni e idee fuori dal comune. Lui ha fatto questa cosa perché ha sentito che il centrodestra ha bisogno di Forza Italia. È contro la destra-destra. Il presidente è generoso e quando sente una necessità si sacrifica e fa quello che serve».

     

    Dovesse paragonare questa vostra avventura a un film, quale sarebbe?

    «Fuga per la vittoria, perché c’è tutto: politica, affetto, squadra. Ma anche Ogni maledetta domenica con Al Pacino».

    A San Siro lei continua a esultare in modo incontenibile. Ma ci dica la verità: perché avete venduto il Milan? Siete pentiti?

    «Questa è una domanda che va posta a Silvio Berlusconi. Io sono l’oggetto e non il soggetto. Io sono un uomo di sport e metto tutte le mie capacità al servizio di questo obiettivo. Ma le decisioni di comprare e vendere il Milan, come quella di acquistare il Monza, sono esclusivamente del presidente».

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    La domanda più difficile. Monza Milan: ultima giornata del prossimo campionato. Come a Sassuolo quest’anno: i rossoneri si giocano lo scudetto. Giuri, per chi tiferebbe?

    «Tiferei per la squadra che il quel momento avesse più bisogno di punti. Il Monza l’ho nel cuore da quando sono nato. Al Milan ho vissuto per 31 anni. È chiaro che sono due grandissimi amori».

     

    Come rubò al Parma Carlo Ancelotti? Cosa vide di così speciale nel suo ex giocatore poi diventato mister, che poi ha vinto 4 Champions League?

    «Pensi che sono appena stato a Siviglia per il matrimonio di suo figlio. Nel 2001 stava andando da Calisto Tanzi per firmare con il Parma. Al Milan decidiamo di cambiare allenatore: chiamo Ancelotti. Mi disse: “Ho dato la parola a Tanzi”. La mattina dopo andai a casa di Carlo. Fu la prima volta in vita mia in cui facemmo colazione con lambrusco, culatello, salame e parmigiano. E lo convincemmo».

     

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    Il colpo di mercato di cui va più orgoglioso?

    «Beh, dal Milan sono passati otto Palloni d’oro... Ma il giocatore più forte è di certo Marco Van Basten. Ariedo Braida capì che era un fenomeno. Andammo diverse volte ad Amsterdam a vederlo con Berlusconi: c’era anche suo padre Luigi. Ci accorgemmo che era un grandissimo. Mentre la cosa più simpatica fu Gullit. Agosto 1986, eravamo alle Bermuda.

     

    A un certo punto il presidente disse: “Stasera il Milan gioca a Barcellona un quadrangolare”. Prendemmo l’aereo e volammo là. Berlusconi, da uomo di spettacolo, notò subito questo gigante del Psv, con grande presenza scenica: con le trecce, di colore, faceva il difensore. Il presidente impazzì: “Dobbiamo prenderlo!”. Però nel 1986 non si potevano comprare giocatori stranieri. Un anno di corteggiamento e nel 1987 ci riuscimmo, dopo una lunghissima trattativa».

     

    Chi sarà l’erede di Berlusconi alla guida di Forza Italia?

    «Silvio Berlusconi non può avere eredi. Perché è unico. Ma non è un problema di oggi: gli eventuali eredi possono attendere».

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    Perché non si è mai trovato un suo vero successore? Ci provò Angelino Alfano, ma finì male.

    «È appunto impossibile fare il suo erede».

     

    Durante la nuova discesa in campo, Berlusconi ha rievocato il pericolo del comunismo. Ma davvero lei crede che in Italia ci sia ancora questo rischio?

    «È un comunismo diverso, rappresentato dall’ideologia illiberale e di sinistra. Poi certo, non ci sono più Stalin e Berija. Quando conobbi Berlusconi mi parlava sempre di don Sturzo: lui è chiaramente un politico di centro. Senza di lui c’è solo la destra-destra».

    Ma il presidente qualche errore l’avrà pur fatto, no?

    «I suoi governi hanno fatto molto. Ma mediare tra due alleati così diversi come la Lega al Nord e Alleanza nazionale al Sud ha limitato molto l’azione riformatrice».

     

    C i racconti di quando fece arrabbiare il Cavaliere...

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    «Sicuramente (sorride, ndr ). Mi ricordo di quando Franco Tatò era amministratore delegato di Fininvest. Il gruppo era piuttosto indebitato e, prima della quotazione in Borsa, mise un grosso freno: tutti gli investimenti dovevano essere preventivamente approvati da lui. Mandò una lettera per dire: stop. Io quella sera comprai Marcel Desailly, 10 miliardi di lire, all’insaputa di tutti. Stetti nascosto per un po’ di giorni, perché avevo fatto l’operazione senza avvertire il presidente. Ma Boban si fece male e fu l’unico anno in cui vincemmo Campionato e Coppa dei Campioni».

     

    Berlusconi, però, fece di certo arrabbiare lei quando mise sua figlia a capo del Milan...

    «Mi dimisi. Potevo andare in Cina. Berlusconi mi chiamò la sera ad Arcore e io gli dissi che un Milan a due teste era ingestibile. “Troverò una soluzione”, mediò. Era il giorno in cui Alfano lasciò Forza Italia. E Silvio mi disse: “Oggi se ne è andato Angelino, non puoi andartene anche tu”. Io risposi: “Obbedisco”, come un novello Garibaldi».

    berlusconi e galliani in tribuna a pisa berlusconi e galliani in tribuna a pisa

     

    Milano come è amministrata?

    «Non rispondo, perché sono amico personale del sindaco Beppe Sala».

    Le avevano proposto anche di candidarsi a sindaco. Perché ha rifiutato?

    «È vero. Non l’ho fatto, perché io ho nel cuore il calcio. Mi porta via troppo tempo. E il sindaco di Milano è un impegno totale, giorno e notte».

     

    Gli esperti di calciomercato l’hanno ribattezzata il “Condor” per la sua visione e l’abilità nella scelta. Che politico ingaggerebbe da un altro partito?

    «Io voglio molto bene a Pier Ferdinando Casini. Ma anche qui è il sentimento».

    Alla fine le mancava solo il Parlamento. Ed è andato pure lì, in Senato.

    «Berlusconi me lo proponeva dal 1994. Io ho sempre declinato. Nel 2018 era la prima estate senza calcio dopo decenni e quindi accettai. Ma non mi ricandiderò: Silvio ancora non lo sa, ma lo leggerà oggi da questa intervista».

     

    Ha rischiato seriamente la vita per il Covid.

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    «Ho avuto tanta paura. Non ero vaccinato, perché ancora non c’erano dosi a tappeto. Ho avuto la polmonite bilaterale. Mi ha salvato il professor Alberto Zangrillo, che non mi ha intubato. Avevo fino a 10 litri di ossigeno. Mi è passata tutta la vita davanti. Undici giorni in terapia intensiva. Uno spartiacque: non sono più l’Adriano di prima. Mi arrabbio molto meno. Sono cambiate le mie priorità, sono più sereno».

     

    Cosa c’è dopo la vita terrena?

    «Spero che ci sia l’aldilà. Io ho fede. Sono magari poco osservante: non ho sempre rispettato tutti e 10 i Comandamenti».

    Già, ha tre mogli...

    «Credo che qualcuno ci giudicherà nell’aldilà. Ho fatto molti errori, ma credo di essere buono d’animo».

    Cosa farà da grande?

    «Questa sfida con il Monza, per citare un altro film, è The Last dance».

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