Emiliano Guanella per “la Stampa”
Haiti
Nell'inferno di Haiti centinaia di ragazzi vivono barricati da settimane nella scuola più prestigiosa della città, stretti nel mezzo di una guerra fra gang che ha causato più di trecento morti in pochi giorni. Il Saint-Louis de Gonzague è un liceo cattolico più prestigioso della disastrata nazione dei Caraibi, sui suoi banchi hanno studiato l'ex presidente Michel Martelly, lo scrittore Jacques Roumain ma anche il "Baby Doc" Jean-Claude Chevalier, il leader autoritario in carica dalla morte del padre nel 1971 fino alla cacciata per mano americana a fine anni Ottanta.
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Oggi i docenti rimasti in classe cercano di tranquillizzare gli studenti, ma cibo e acqua scarseggiano e nessuno sa fino a quando si potrà andare avanti. «La situazione - ha spiegato alla Bbc suor Rosemiline - è tragica, non ha senso lasciarli andare a casa, ma abbiamo difficoltà a sfamarli». Si cerca di distrarli, ma l'eco degli spari e il film degli scontri visti con i propri occhi non dà pace. Per molti di loro l'uniforme della scuola è stato un lasciapassare prezioso; a vederli così vestiti i cecchini appostati sulle case li hanno lasciati passare, altrimenti avrebbero potuto ucciderli pensando si trattasse di baby soldati delle organizzazioni rivali.
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L'epicentro degli scontri è a Cité Soleil, uno dei sobborghi più grandi di Port au Prince. L'ultima battaglia campale tra la potente coalizione di bande G9 e gli "emergenti" criminali della G-Pèp è di due settimane fa; secondo Rete nazionale per i diritti umani (Rndhh) e l'ufficio locale delle Nazioni Unite i morti sarebbero stati 300, sono quasi mille dall'inizio dell'anno. La polizia nazionale, corrotta e mal pagata, non entra nemmeno nelle zone di conflitto; gli agenti sanno che verrebbero spazzati da delinquenti che conoscono il territorio a memoria.
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La morte, del resto, è alla portata di tutti; un colpo di mitragliatrice può trafiggerti mentre sei in strada e quando si sente sparare meglio star lontani dalle finestre perché i proiettili perduti, così come in alcune favelas di Rio, possono ucciderti anche dentro casa. L'Onu ha bandito la vendita di armi sull'isola, ma è come raccogliere il mare con un cucchiaio, visto che di armi, munizioni e voglia di sparare Haiti è piena come non mai. Il Paese più povero delle Americhe è sotto pressione da tempo, ma nell'ultimo anno la situazione è degenerata tra violenza armata, caos istituzionale e crisi economica.
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La notte tra il 6 ed il 7 luglio del 2021 il presidente in carica Jovenel Moïse fu trucidato in casa da un commando di sicari locali e colombiani. Gli assassini sono stati arrestati ma le indagini per risalire ai mandanti sono bloccate nei meandri di una giustizia tra le più corrotte al mondo. L'attuale primo ministro Ariel Henry ha inaugurato recentemente un mausoleo per Moïse ma i famigliari del defunto, tra cui l'ex moglie miracolosamente scampata al blitz, hanno snobbato la cerimonia perché lo considerano fra i responsabili dell'omicidio.
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Nell'ultimo anno la situazione economica è precipitata, l'inflazione è passata dal 12% al 28%, il prezzo del pane è raddoppiato, la metà degli undici milioni di haitiani vive in uno stato di completa insicurezza alimentare.
La guerra per il controllo di Cité Soleil ha peggiorato tutto, perché lì si trova il principale porto per le navi cisterna che portano il carburante sull'isola. La benzina scarseggia e quel che poco che c'è viene venduta al mercato nero, al triplo del prezzo normale. Per comprare armi, munizioni e carburante le bande armate si sono specializzate sui sequestri estorsivi, rapimenti effettuati alla luce del giorno e senza particolare "pianificazione" si ferma un autobus e si catturano tutti i passeggeri, anche se spesso si tratta di persone provenienti da famiglie che non hanno soldi per pagare il riscatto.
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I bersagli privilegiati sono gli stranieri, siano essi cooperanti, religiosi, volontari; le gang sanno che qualcuno per loro pagherà. I diplomatici e il personale delle organizzazioni internazionali si muovono scortati da security formata in contesti di guerriglia urbana, ma in questo scenario diventa sempre più difficile pianificare un aiuto umanitario su larga scala. Chi può, scappa. Via terra, verso la Repubblica Domenicana o per mare su imbarcazioni precarie che naufragano al largo di Cuba o delle Bahamas o vengono spedite indietro dalla guardia costiera americana.
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C'è chi sbarca sulla costa caraibica colombiana per attraversare a piedi la fitta e pericolosa foresta del Dairen verso Panama; molti si perdono e muoiono assettati e senza cibo, altri vengono intercettati dalle bande di narcotrafficanti che li lasciano senza nulla. Non c'è molta speranza, ormai, per chi vive ad Haiti.
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Port Au Prince, la capitale più pericolosa al mondo, è un calderone a cielo aperto dove anche muoversi diventa una scommessa con la morte. I ragazzi del Saint-Louise de Gonzague sanno che il loro futuro è appeso ad un filo e per questo afferrano a quel poco che hanno, proteggendosi nella loro scuola-rifugio mentre tutto crolla intorno a loro.
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