Gigi Garanzini per la Stampa
roberto mancini
Era quella di Firenze la partita da vincere a tutti i costi, non quella di Basilea. Ma fallita la prima, occorreva rimediare con la seconda: e l'Italia non c'è riuscita. Fatti salvi tutti i primati di imbattibilità, che resteranno nella storia, l'attualità langue: e racconta di un cammino che si complica. Un po' l'Italia non è più quella delle notti magiche: né individualmente, né collettivamente. Un po' lo stellone che aveva illuminato l'Europeo, manifestandosi a ripetizione nei momenti difficili, sembra aver abbandonato gli azzurri.
Anche contro la Svizzera, come già con la Bulgaria, la vittoria ai punti sarebbe stata netta: ma nel calcio conta metterla dentro, e l'Italia in 190 minuti e passa ci è andata vicina, vicinissima almeno una dozzina di volte. Ma ci è riuscita una volta sola. E se ai limiti in campo internazionale, riconosciuti, del suo centravanti, si aggiunge un errore clamoroso del suo alfiere, Jorginho, c'è di che cominciare a preoccuparsi.
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Che la grande estate azzurra sia alle spalle si è capito intorno al quarto d'ora. Stesso avversario di giugno, la Svizzera, stessa combinazione in velocità ispirata da Locatelli e rifinita da Berardi per lo stesso Locatelli: allora la perfezione dell'assist e la velocità stratosferica dell'inserimento, che ci rimandò tutti quanti direttamente a Tardelli; stavolta la palla un po' lunga, e lo scatto del centrocampista un po' meno irresistibile.
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Una suggestione. Certo. Ma da lì a poco la controprova: quel magnifico allungo di Locatelli di sinistro, in caduta, a premiare lo scatto di Berardi a un metro dalla linea di centrocampo, completamente solo. Macchè, l'esterno del Sassuolo ha esalato un piattone prevedibile sull'uscita del portiere. E lì, in tutta franchezza, le perplessità che avevano accolto l'annuncio della formazione, con Berardi in campo e Chiesa in panchina, hanno preso corpo.
Giustamente. Ma anche ingiustamente, se è vero che oltre a quelle due l'Italia ha creato almeno altre tre palle gol nel solo primo tempo Due, facciamo una e mezza, le ha mancate Insigne, imbeccato nella prima occasione da un altro, splendido assist di Locatelli. A fronte di un solo colpo di testa svizzero, pericoloso e appena fuori nel finale. Per dire che la superiorità azzurra è stata netta, sin dall'avvio.
Pur con qualche sbavatura nella costruzione da dietro, con Bonucci in particolare stranamente scentrato. Ma non si può nemmeno dimenticare che per motivi assortiti gli svizzeri hanno dovuto rinunciare al loro, ragguardevole centrocampo titolare. Splendido, poco prima dell'intervallo, il siparietto tra Mancini e Immobile: un centravanti a ripetizione dal commissario tecnico, in corso d'opera. Ci vuol altro. Un rigore per esempio.
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Un doppio regalo di Rodriguez, che prima rinvia corto e male e poi, per rimediare, abbatte Berardi abboccando a una finta che chiunque giochi nel nostro campionato, come per il piacere della tifoseria granata accade a Rodriguez, dovrebbe aver mandato a memoria. Il guaio è che nemmeno Jorginho è più quello: sicchè al saltello preparatorio segue un comodo passaggio al portiere. Inevitabile accusare il colpo.
E smarrirsi un altro po'. Difatti gli azzurri per un una lunga fase non cavano un ragno dal buco: e c'è ancora Sommer quando il solito Locatelli imbecca alla perfezione Insigne. Cambi? Sì, due al prezzo di uno intorno all'ora di gioco: Chiesa e Zaniolo per Berardi e Immobile. Se è lecito eccepire sulle scelte di un Ct fresco campione d'Europa, e non è affatto detto che lo sia, due solisti in un sol colpo, in un momento oggettivamente non facile, sembrano tanti. Anzi troppi. Così, anche così la Svizzera si è portata a casa il pari che cercava.
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