Federico Rampini per “la Repubblica”
GARY JOHNSON
Gary Johnson e Jill Stein: attenti a quei due. Potrebbero decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Almeno sulla carta, vorrebbero andarci loro, alla Casa Bianca. Johnson è candidato ufficiale del Partito Libertario, la Stein ha avuto la nomination presidenziale dai Verdi.
I media si occupano poco di loro perché il sistema americano è bipolare, chi non corre per il partito democratico o repubblicano ha chances pressoché nulle di vincere. Non ci riuscì neppure Ted Roosevelt, che era stato presidente da repubblicano, quando ruppe col suo partito e si candidò da indipendente. E’ la ragione per cui l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg ha rinunciato a lanciarsi come “terza opzione” quest’anno.
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Ma le candidature “di disturbo” diventano improvvisamente importanti quando i due big sono testa a testa. Proprio come succede oggi: il vantaggio di Hillary Clinton - che ieri è tornata a far campagna elettorale dopo la pausa per la polmonite e le conseguenti polemiche e ha detto alla stampa di sentirsi bene - si assottiglia di giorno in giorno, gli ultimi sondaggi le danno un margine esiguo su Trump. In una gara così incerta Johnson e la Stein possono diventare i veri arbitri. E’ già successo.
Nel 1992, il miliardario texano dell’informatica Ross Perot gareggiò come indipendente, alle urne conquistò il 19%, e portando via soprattutto voti repubblicani fu fatale per George Bush padre. Senza Perot, Bill Clinton non sarebbe diventato presidente. Otto anni dopo, il candidato dei Verdi Ralph Nader non ebbe bisogno di replicare un successo così eclatante: gli bastò il 2,7%. Se quei voti ambientalisti fossero andati ad Al Gore, non ci sarebbe stata una presidenza Bush Junior (e forse neppure l’invasione dell’Iraq).
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Con Hillary e Donald sempre più vicini nei sondaggi (l’ultimo del New York Times/Cbs News li dà 46 a 44 che è una differenza inferiore al margine di errore statistico), Johnson e Stein che ruolo possono avere?
Il candidato dei Libertarian nella media dei sondaggi raccoglie l’8,3%, i più generosi gli assegnano addirittura il 13%. Se riuscisse a raggiungere il 15% conquisterebbe il diritto a partecipare ai dibattiti televisivi con la Clinton e Trump, il che gli darebbe una spinta di notorietà. La candidata dei Green nella media dei sondaggi si ferma al 2,7% che è esattamente il risultato di Nader nel 2000: non irrilevante, come si è visto. Ma a chi portano via voti, quei due?
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Johnson, che a 63 anni è il ragazzino in una campagna di “pantere grigie”, ha una biografia poco banale. Fece fortuna da imprenditore edile, poi divenne uno dei grandi produttori di marijuana nel Nevada con l’azienda Cannabis Sativa. Grande sportivo, pratica il triathlon e ha scalato l’Everest. E’ stato governatore del New Mexico, come repubblicano, dal 1995 al 2003.
JILL STEIN
Promette forti riduzioni d’imposte, uno Stato ultra-leggero, stop agli interventi militari all’estero, smantellamento dell’apparato anti-terrorismo costruito da Bush col Patriot Act, e ovviamente la liberalizzazione della marijuana in tutti gli Stati Uniti. Ha fatto una gaffe di politica estera pochi giorni fa: intervistato da Msnbc su come affronterebbe la tragedia umanitaria di Aleppo, ha chiesto «cos’è Aleppo?». I media lo hanno sbeffeggiato, ma Trump probabilmente ne sa meno di lui.
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Johnson si ricollega al movimento anti-Stato e anti-tasse del Tea Party. Quindi dovrebbe piacere ad alcune frange di repubblicani “fiscalmente ortodossi”, quelli che inorridiscono quando Trump promette maxi- investimenti pubblici. Ma un’analisi pubblicata da Harry Enten sul sito FiveThirtyEight rivela un altro elettorato sensibile al fascino di Johnson: i Millennial. Gli stessi che plebiscitarono Barack Obama, oggi sono molto freddi verso Hillary. L’ideologia libertaria (marijuana inclusa) attrae una parte dei giovani che fino a pochi mesi fa si erano entusiasmati per Bernie Sanders: anche se il suo socialismo era tutt’altra cosa, il senatore del Vermont ha sempre attaccato l’establishment, mentre la Clinton ne fa parte.
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La Stein, 66 anni, è un medico con laurea ad Harvard, università dove ha anche insegnato. Da una vita è impegnata in battaglie ambientaliste. Osa dichiararsi agnostica, un’aberrazione per i costumi della politica americana. Ha già partecipato a due campagne, senza successo: candidata del Green Party per l’elezione del governatore del Massachusetts nel 2010, e per l’elezione presidenziale nel 2012. Quell’anno, in cui Obama vinse il suo secondo mandato, lei ebbe un misero 0,36%. I Millennial, per l’appunto, su Obama non ebbero dubbi.
JILL STEIN 2
Oggi che un vento di panico comincia a serpeggiare tra le file dei democratici, si moltiplicano gli appelli al “voto utile”. Ma Nader non fece mai autocritica per quel che accadde nel 2000. Il candidato dei Verdi di allora si è sempre difeso sostenendo che Gore e Bush erano equivalenti, esponenti dello stesso sistema corrotto.