ANTONIO GIULIANO per Avvenire
Gasp, che crollo. Le favole cominciano e finiscono anche nel calcio, e il lieto fine non è affatto scontato, come sanno pure i bambini. Però così è davvero brutto.
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L'ultimo tonfo casalingo dell'Atalanta in campionato contro il Verona sta suscitando scenari inimmaginabili fino solo a tre mesi fa. La squadra che ha incantato il calcio italiano e non solo arranca all'ottavo posto in classifica (con una gara da recuperare) e rischia seriamente di non partecipare a nessuna competizione europea il prossimo anno.
La delusione per il mancato raggiungimento delle semifinali di Europa League e il nuovo assetto societario con l'ingresso di azionisti statunitensi fanno aumentare gli interrogativi sul futuro. Mai come adesso è in discussione anche la panchina: da quando è iniziata la sua epopea, nel lontano 2016, perfino il vero artefice del miracolo bergamasco, il tecnico Gian Piero Gasperini non è più sicuro di restare.
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«A fine stagione tireremo le somme » ha tagliato corto il mister dopo l'ultima sconfitta, la terza consecutiva in Serie A, un record negativo mai raggiunto durante la sua gestione. Le statistiche sono impietose e certificano il momento più difficile per l'allenatore piemontese da quando guida i nerazzurri. E dire che fino a fine dicembre la squadra era ancora accreditata per la conquista dello scudetto, mai così vicina alla vetta (a soli 4 punti) dopo 16 giornate. Il girone di ritorno però si è rivelato infernale: tant' è che da gennaio l'Atalanta è al 14° posto.
Nel 2022 una media da retrocessione, appena due punti in più della Salernitana (ultima con due gare da recuperare). Era dalla stagione 2015/2016, quando in panca c'era Edy Reja, che la "Dea" non rimediava sei sconfitte in un girone di ritorno in Serie A. Numeri sconcertanti soprattutto in casa, dove sono maturate più sconfitte (6) che vittorie (4). Ce n'è abbastanza per far suonare il campanello d'allarme: «Siamo in una caduta morale - ammette Gasperini - dobbiamo pensare a chiudere nel modo più dignitoso possibile la stagione. Lo dobbiamo alla nostra gente».
gian piero gasperini
Un'annata storta ci può stare, tanto più che gli infortuni soprattutto in attacco hanno pesato non poco. Però se pur si tratta della fine di un ciclo, non si possono chiudere sei anni forse inimitabili in questo modo. Non lo meritano i tifosi che che hanno continuato a incitare la squadra anche al termine della partita persa contro il Lipsia, costata l'eliminazione dall'Europa. "Gasp" lo sa e vuole essere riconoscente fino in fondo anche a chi ha creduto in lui, la famiglia Percassi, l'altro pilastro del modello atalantino. «A Bergamo sono riuscito a riscattare la brutta esperienza con l'Inter. Lì mi ero un po' bruciato ad alti livelli».
Un ambiente che gli ha permesso di ritrovare anche la sua vocazione dopo le prime esperienze (Crotone e Genoa) e i tanti anni alle giovanili della Juventus: «All'inizio non pensavo di fare l'allenatore. Volevo continuare a fare calcio ma ero felice di allenare le giovanili per trasmettere la mia esperienza. Non era mia intenzione però quello di aver a che fare con i professionisti. È un qualcosa che è maturato con gli anni. La mia ambizione era educativa, legata alla mia passione per il calcio, ma era anche un modo per mettere alla prova me stesso.
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Era il piacere di stare con dei ragazzi, di stare in campo». A Bergamo è riuscito finalmente a concretizzare il suo credo calcistico "olandese" svelando la sua fonte d'ispirazione: «Sacchi è stato un vero rivoluzionario. Tanti poi lo hanno imitato, anche nel modo peggiore. Molte squadre hanno vinto molto ma non hanno lasciato niente, non ti ricordi una sola partita. Invece di quel Milan ricordi delle prestazioni e delle emozioni fantastiche».
Cultore di un gioco armonico ma anche molto atletico: «Durante l'allenamento, i miei giocatori devono lottare e sudare; quelli che non sono abituati a lavorare sodo mi spaventano. Ma dal sacrificio nascono le vittorie. Se non corri in allenamento, non corri durante le partite. Poi, ovviamente, è importante divertirsi anche in allenamento perché da ciò deriva lo stile di gioco e la qualità». Una filosofia in cui viene prima il gruppo. Non per nulla, come ha confessato al Guardian, nello spogliatoio ha messo la foto di un branco di lupi, dove l'ultimo è il capo, pronto a proteggere l'intero gruppo. «Il messaggio è che un leader non si limita a rimanere in prima linea; si prende cura della squadra e questo è quello che voglio dai miei giocatori».
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Così sono nati i successi strepitosi della sua Atalanta: dal 2019 al 2021 tre volte di fila ha chiuso al terzo posto in Serie A (piazzamento mai raggiunto dagli orobici) per tre storiche qualificazioni consecutive alla Champions League. In mezzo tante vittorie incredibili (ad Anfield contro il Liverpool 2-0 due anni fa) a suon di gol (addirittura 98 al termine del campionato 2019-2020). Senza contare le decine di calciatori lanciati dal vivaio molti dei quali hanno espresso il loro maggior potenziale solo in nerazzurro. Un'orchestra perfetta o quasi che oggi sembra aver smarrito il suo spartito. E con l'Europa che si allontana per la prima volta Gasperini sembra rassegnato: «Non abbiamo più l'esigenza di dover vincere a tutti i costi».
gasperini percassi
La società lo ritiene «intoccabile» anche adesso che l'azionista di maggioranza è il businessman americano Stephen Pagliuca. Comproprietario dei Boston Celtics in Nba, ha messo nel mirino anche il Chelsea, ma assicura che non snobberà i bergamaschi. Nel clima di incertezza il primo nodo da sciogliere sarà proprio la panchina. Le voci di mercato ipotizzano già i probabili successori (Juric in testa). Oggi però appare davvero impensabile un'Atalanta senza Gasp. Lui però glissa sul futuro, segno che forse qualcosa è cambiato.
gasperini