perfetti sconosciuti
Pedro Armocida per “il Giornale”
È raggiante Paolo Genovese. Non solo e non tanto perché il suo ultimo film Perfetti sconosciuti ha intrigato più di mezzo milione di spettatori da quando è uscito nello scorso fine settimana facendolo balzare immediatamente al primo posto del botteghino con 3,6 milioni di incassi ma soprattutto per la felice accoglienza tra la critica e il passaparola tra il pubblico.
D' altronde il soggetto del film, con i cellulari che improvvisamente diventano dispositivi di svelamento delle nostre vere vite, è particolarmente azzeccato.
«Tutto nasce da un fatto reale anche un po' banale - spiega il regista che quest' estate compirà 50 anni - quando ho visto sfasciarsi una coppia perché lei ha preso in mano il cellulare di lui.
Mi è sembrato un punto di partenza perfetto perché avevo voglia di fare un film sulla vita segreta delle persone, su ciò che nascondiamo. Ecco allora il nostro gioco in cui sette amici mettono sul tavolo le loro coscienze tecnologiche e tutti ascoltano e leggono i messaggi degli altri».
C' è un posto vuoto a tavola.
«E non a caso è apparecchiato. E' per lo spettatore che è l' ottavo partecipante».
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Poi ogni tanto si esce in terrazza e c' è l' eclisse di luna.
«Nel momento di massimo dramma la luna è nera, la luce viene risucchiata dal buio, in quel momento i personaggi stanno nel loro cono nero. Nascosti con i loro segreti».
Il film finisce sul ponte davanti a piazzale delle Belle Arti a Roma, dove si vedeva «La terrazza» di Scola.
«E' una citazione che purtroppo è diventata un triste omaggio. Scola è un punto di riferimento, anche per capirsi sul termine commedia. Perché c'è confusione, un distinguo va fatto tra commedia, dove si riflette, e film comico, dove si ride».
La sceneggiatura è scritta a dieci mani...
«Un po' come accadeva nella commedia all' italiana che ci piace e con cui siamo costretti a fare i conti. A quel tempo gli sceneggiatori cenavano anche insieme e c' era un grande scambio di idee. Per questo ho chiamato quattro amici per cercare di raccontare in maniera trasversale personaggi di classi, ceti e stereotipi diversi».
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Che però hanno in comune tanti segreti.
«E' però importante dire che nel film ciò che non conosciamo delle persone più care non è necessariamente negativo, non si parla solo di corna. A volte non abbiamo il coraggio di dire certe cose, anche solo ti voglio bene. Ecco, per esempio, la telefonata tra una figlia e il padre con la moglie che non sapeva di un rapporto così stretto tra i due».
Il cast del film, con Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak, è impressionante. Come li ha scelti?
«E' stato un processo curioso. Quando, alle riunioni di sceneggiatura, utilizzavamo i nomi di fantasia dei personaggi ci impicciavamo. Così abbiamo provato a immaginare un attore per ogni ruolo. Poi la fortuna è stata che tutti hanno accettato di fare il film».
Rispetto al suo fortunato esordio, 14 anni fa con Incantesimo napoletano in coppia con Luca Miniero (il regista di Benvenuti al Sud), oggi che cosa è cambiato?
«Ricordo allora una totale libertà di espressione. Facemmo un film per raccontare tutto ciò che volevamo senza pensare al pubblico, agli incassi. Necessariamente, quando vai avanti, iniziano i condizionamenti, le aspettative, le asticelle si alzano. Il pubblico è fondamentale, l' emozione di una sala piena è impagabile, però l' importante è non fare mai cose di cui non sei convinto solo perché pensi che piacciano agli spettatori».
Lei si è laureato in Economia e commercio e ha girato decine di spot. Come è arrivato al cinema?
«Se è per questo ho lavorato anche in una società finanziaria, ho fatto il reporter. Certo il mio percorso non è stato quello canonico passando dal Centro Sperimentale. Però con il senno di poi, visto che il mio lavoro è raccontare storie, posso dire che tutte quelle esperienze mi hanno aiutato».
Qual è la cosa più sorprendente della sua carriera?
«Immaturi. E' stato un film di successo, è entrato un po' nell' immaginario, insomma è un' opera che resterà nel tempo. Ebbene era il film che nessuno mi voleva far fare».
Dirigerebbe mai Checco Zalone così come ha fatto con Aldo, Giovanni e Giacomo?
«Non sarei adatto, lui e Gennaro Nunziante sono nati insieme, sono un monoblocco.
Checco è un personaggio dirompente, diverso da tutto e tutti».
C' è un attore e un' attrice con cui vorrebbe lavorare?
«Elio Germano e Jasmine Trinca, straordinari».
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