ghali
Carmine Saviano per “la Repubblica”
Se sentite che Ghali si è fatto la barca non pensate a yatch, champagne, vacanze esotiche. Anzi: Ghali ha comprato una barca per donarla a Mediterranea. Si tratta di una "rescue boat", una nave da salvataggio, che consentirà alla Mare Jonio di ottenere le nuove certificazioni per continuare le proprie operazioni di soccorso in mare. «Lo faccio per dare un aiuto concreto e veloce, soprattutto in questi mesi estivi quando riprenderanno i viaggi in mare verso l'Italia», dice il rapper che sul tema, negli anni, non ha evitato scontri diretti con il leader della Lega, Matteo Salvini .
Ghali, le emozioni che l'hanno spinta a prendere questa decisione?
«Non saprei da dove partire. Da quando sono piccolo ne sento parlare in casa, ho parenti che hanno attraversato il Mediterraneo. Conoscenti che da quel viaggio non sono più tornati. Uno dei miei migliori amici è eritreo e grazie a lui ho scoperto tutto quello che succede prima dell'imbarco. Il viaggio in mare è solo una parte».
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Lei è di seconda generazione. Ne ha sempre parlato nelle sue canzoni.
«Ne ho sempre parlato nella mia vita. Dai temi a scuola ai freestyle per strada, fino alle prime rime che ho composto, alle prime cose postate su MySpace. Quella dimensione è stata sempre parte importante della mia scrittura».
Perché ha scelto Mediterranea?
«Li ho scoperti due anni fa. Di Mediterranea si parla sempre troppo poco e quando lo si fa spesso si dicono sciocchezze».
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La nave si chiama Bayna, come una sua canzone.
«È il titolo della prima traccia di Sensazione Ultra , il mio ultimo disco. Significa "è chiara, è evidente"».
In quella canzone lei dice: "Tu sogni l'America, io sogno la nuova Italia". Come si immagina questa nuova Italia?
«Non lo so cosa va migliorato nello specifico. Ci vuole più tolleranza, più apertura mentale».
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Si riferisce alla politica.
«Sarebbe bello che le persone che ci governano facessero un giro per le strade, che incontrassero i ragazzi. Non è neanche così difficile, ci vuole poco. Lo dico ai nostri potenti: guardate che basterebbe osservare».
Osservare che ci sono culture che convivono, in equilibrio.
«Per me è stato naturale mettere insieme gli insegnamenti dei miei genitori con la mia vita e la mia musica».
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La definiscono un simbolo per chi arriva in Italia. Le è mai andata stretta questa etichetta?
«L'essere un simbolo lo ha deciso la gente. Ho solo raccontato la mia storia e so che ci sono tanti ragazzi che vivono negli stessi luoghi e nelle stesse condizioni in cui vivo io, nel mezzo di due culture, senza sapere di preciso cosa e dove sia la propria casa. E hanno a che fare con persone che in Italia ti dicono "vattene" e che in Tunisia ti dicono la stessa cosa. L'intolleranza è ovunque».
Ha messo in conto che si alzerà qualcuno per dire: "Ecco Ghali che si fa pubblicità".
«Non ci ho pensato. Quando fai beneficenza è egoistico pensare a cosa gli altri diranno di te. Aiuto le persone, del resto chissenefrega. E poi mi piacerebbe una cosa».
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Prego
«Che vedendo me un ragazzino immagini, un giorno, di poter salire su un palco a raccontare la propria storia e solo grazie a questo dare una mano a chi ne ha bisogno».
Lei se lo immaginava che un giorno avrebbe aiutato chi ne ha bisogno?
«È il disegno che ho in testa sin da piccolino. E poi parto da un genere, il rap, che è fondato sulla rivalsa. E allora non c'è niente di più rap che partire scrivendo rime nei giardinetti sotto casa e arrivare a stare dalla parte dei più deboli».
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