Franco Vanni per repubblica.it - Estratti
giampietro manenti
Fissa l’appuntamento al tavolo di un McDonald’s, periferia nord di Milano. «Qui la mattina non c’è nessuno, si sta tranquilli». Si presenta con un quarto d’ora d’anticipo, tuta di acetato nero e verde dell’Asd Serenissima di Limbiate. «Alleno i ragazzi dell’età di mio figlio più piccolo, il terzo.
Ha 14 anni. La più grande lavora, quello di mezzo va all’università. Li ho avuti da tre donne diverse, sono stato un po’ sportivo, diciamo, con due di loro vado d’accordo». Campetti a parte, Giampietro Manenti non fa nulla. Se gli si pone la domanda di un tempo — «Scusi, ma lei che lavoro fa?» — risponde: «Avevo qualche soldo da parte, per il resto mi aiutano gli amici. Dopo quel che è successo a Parma, è cominciato il declino. Essere descritto come un delinquente ha creato diffidenza».
Manenti e il Parma a un euro
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In questi anni il presidente più improbabile della Serie A è diventato un fenomeno social, un meme. Nel 2015 acquistò il Parma per un euro – anche se ha sempre contestato quella cifra, “molto più bassa rispetto a quella reale” – bypassando i controlli di Figc e Lega. Tre settimane dopo fu arrestato in un’inchiesta della procura di Roma sul riciclaggio. Si presenta meglio di allora, e non ci voleva molto. Non fosse per i capelli più radi, a 53 anni sembra più giovane rispetto alle fugaci apparizioni che lo hanno reso famoso.
Una su tutte, un cult su Youtube: conferenza al Tardini, giornalisti che lo incalzano sulla consistenza dei suoi affari, lui che mastica la gomma, risponde male, svicola, snocciola le sigle del suo presunto impero, Mapi Ambiente, Mapi Energia, Mapi Channel, Mapi Group, con sede in una casa coloniale in Slovenia. Mapi, da Manenti Pietro. «Pesavo cento chili, venti più di oggi. Non dormivo la notte. Guidavo una Skoda nuova di pacca, ma dai giornali fu descritta come un catorcio. E dire che per il mio stile casual mi soprannominavano Marchionne.
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Come provocazione, indossai una vecchia giacca di mio nonno. Mi mancava un dente, li stavo sistemando», ricostruisce ora, con un sorriso ordinato. Mapi è andata in liquidazione a gennaio 2022, al capitale minimo mancava un euro. E secondo le cronache dei tempi dell’acquisto del Parma, la Skoda non poteva circolare: multe non pagate, blocco amministrativo. Ma Manenti precisa: “In realtà a essere fermata era una Citroen C3”.
Chi è Giampietro Manenti
Prese il Parma «da capofila di una serie di imprenditori». I giornali scrissero che, pressato dai creditori, provò a scappare in Slovenia. Lui ripete la sua verità di allora. «Ero a Monaco di Baviera da possibili investitori. La proprietà precedente del Parma aveva lasciato solo debiti e portato via anche i materassi e le lenzuola. Di me si è scritto di tutto, ma sono una persona a posto. Ho studiato Agraria, lavorato in Eni e in Isagro. Parlo inglese, spagnolo e polacco, grazie alla mia compagna. Ho lavorato anche in Russia e Ucraina come consulente nella chimica».
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Manenti e l’arresto per riciclaggio
E poi c’è il calcio. Manenti racconta di avere giocato da ragazzo «a livello semiprofessionistico», di aver provato a scalare il Brescia, il Bologna, e di essersi interessato al Genoa: «Avevo un piano per riqualificare lo stadio». Sì, ma con che soldi? «Facevo da tramite. Avevo la fiducia delle banche». Del Parma gli resta «una maglia autografata a mio figlio da Palladino, persona gentile». Fu arrestato per tentato riciclaggio con altre 21 persone. «Non so chi fossero, tranne un conoscente che voleva uno skybox per Parma-Juve. Lo portammo al Tardini per pagare con il pos 500 euro, ma non sapeva il codice della carta e lo allontanammo».
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Secondo i pm Manenti, in cerca di soldi, si sarebbe affidato a una banda di hacker e clonatori di carte, che avrebbero promesso 4,5 milioni per salvare il Parma, poi fallito. «Dell’inchiesta non ho più saputo nulla. Il mio avvocato, al tempo già anziano, non esercita più. Nel 2016 la corte federale della Figc mi ha assolto da tutte le accuse. Intanto, però, mi sono fatto sei mesi ai domiciliari e 18 giorni a San Vittore, esperienza che non auguro nemmeno ai cani. Sono stato condannato solo una volta per aver menato uno che voleva estorcermi denaro».
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