Rinaldo Frignani per corriere.it
gianmarco pozzi
Fratture delle costole e di una clavicola. Una profonda lesione alla testa, un edema polmonare. Una raffica di colpi, forse inferti anche con un oggetto, che non hanno lasciato scampo a Gianmarco Pozzi, prima di essere gettato nell’intercapedine fra due abitazioni a ridosso di un vigneto a Santa Maria, a Ponza. Ci sono anche segni di asfissia, come se sia stato soffocato.
«Non si può più credere all’ipotesi di una caduta accidentale», sottolinea sicuro Fabrizio Gallo, l’avvocato della famiglia di Gimmy, il campione di kick boxing dello Statuario trovato morto il 9 agosto scorso sull’isola dove da tre anni lavorava come addetto alla sicurezza della discoteca «Blue Moon». In questi giorni la procura di Cassino, che allora aprì un fascicolo per omicidio, ha intensificato le indagini: nuovi interrogatori e accertamenti sul posto, affidati ai carabinieri della compagnia di Formia.
IL LUOGO IN CUI E STATO TROVATO IL CADAVERE DI GIANMARCO POZZI
La svolta sarebbe finalmente vicina dopo che Martina Pozzi, sorella della vittima, ha preteso che fosse fatta piena luce sulla misteriosa morte del 28enne. E decisiva potrebbe essere proprio questa settimana la super perizia chiesta dall’avvocato Gallo che sulla base delle oltre 200 fotografie del corpo di Gimmy e dei luoghi, oltre che della relazione del medico legale dell’ospedale Santa Scolastica di Cassino che ha effettuato all’epoca solo l’esame esterno sul cadavere (poi subito riconsegnato ai familiari e cremato) senza disporre l’autopsia, potrebbe portare alla conclusione che il ragazzo sia stato assassinato in maniera brutale.
gianmarco pozzi
Perché? Da chi? «Il cerchio è abbastanza stretto - rivela ancora l’avvocato Gallo -, e qualcosa si sta muovendo nel senso giusto. Era ora. Non possiamo escludere che l’omicidio di Gimmy sia avvenuto per profondi screzi in ambito lavorativo». E allora ecco che si ritorna a quell’ultima notte in servizio al Blue Moon, uno dei locali più frequentati dell’isola, nonostante la pandemia - poi chiuso dalle forze dell’ordine -, ai suoi tre coinquilini, che lavoravano con lui, due dei quali conosciuti da tempo in palestra a Roma, uno dei quali ha sostenuto fin dall’inizio che Gimmy era sotto effetto di droghe e aveva le allucinazioni. Motivo per cui fuggendo in boxer e a piedi nudi dalla loro casa a Santa Maria sarebbe finito poi in quell’intercapedine profonda quasi tre metri, rompendosi il collo. Per la famiglia del 28enne sono solo bugie.
In realtà secondo i parenti, il giovane fuggiva da qualcuno che dopo averlo raggiunto lo ha massacrato, trascinato sui rovi e gettato lì sotto: si ipotizza che l’arma del delitto possa essere un’ancora da vite, usata appunto nei vigneti. Forse il killer l’ha trovata sul posto. Pian piano i tasselli cominciano ad andare al loro posto. «Quelle lesioni sono incompatibili con la caduta, non capiamo come sia stato possibile non capirlo fin dall’inizio: peraltro al cadavere non è stata presa la temperatura, e quindi non è possibile capire con certezza l’ora della morte», dice ancora Gallo, che proprio la settimana scorsa si è confrontato con il pm Beatrice Siravo per fare il punto sulle indagini.
gianmarco pozzi
Fra le persone ascoltate adesso c’è l’equipaggio dell’ambulanza del 118 giunta sul posto alle 11 dopo la chiamata di alcuni residenti. Sembra un postino e una donna che avevano udito un tonfo. «Ad arrivare hanno impiegato sei minuti, hanno sempre detto che quel cadavere era scuro, come se il decesso risalisse a qualche ora prima. C’è un evidente incongruenza, senza contare che ci sarebbe una richiesta di soccorso già alle 9. Di chi?», si chiede Gallo, che ha chiesto e ottenuto perizie sul Dna presente su quattro mozziconi di sigaretta e uno scontrino di farmacia per l’acquisto di mannite (sostanza da taglio). «È datato 31 luglio, è stato trovato con il resto nei boxer di Gimmy: pensiamo sia un depistaggio». Uno dei tanti, insieme con la sparizione degli indumenti di Pozzi e le minacce ricevute dai suoi parenti.
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