Marco Bonarrigo per il “Corriere della Sera”
Il secondo bouquet è arrivato un po' in ritardo, cinque giorni dopo il matrimonio.
gianmarco tamberi diamond league
Sabato scorso a Pesaro Chiara Bontempi aveva atteso il futuro marito all'altare con in mano un mazzetto di roselline bianche, ieri sulla Sechseläutenplatz di Zurigo Gianmarco Tamberi le si è inginocchiato davanti allungandole un fascio di ruspanti girasoli. I diamanti saranno anche per sempre, ma quello della Diamond League appena conquistata (valore 30 mila euro) Gimbo l'ha lasciato nella sua custodia, in attesa di una consegna più discreta.
Dopo la sbornia olimpica e quella recentissima del matrimonio, dopo una stagione di grandi gioie inframmezzate da problemi tecnici, guai fisici, crisi psicologiche e conflitti familiari profondi durante i quali tutto sembrava perduto, ieri Tamberi ha tirato fuori il salto più alto di tutta la stagione (2 metri e 34) in una gara capolavoro per ispirazione e tattica.
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La mezza barba c'era ancora, tutto il resto no. Gimbo si è presentato a Zurigo per la prima volta con la fede al dito, senza il padre-coach Marco a bordo pedana e - nel momento decisivo - senza chiedere gli applausi ritmati e la musica a palla che sembravano colonna sonora irrinunciabile del suo saltare.
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Nel momento decisivo ha ordinato alle tribune il silenzio assoluto con un sorriso e un gesto da direttore d'orchestra. Gimbo è così: quando pensi che sia finito o ferito, spompato (i 2 metri e 20 della settimana scorsa a Losanna, con le gambe molli) o demotivato, lui ti rimette in riga. E mentre i Nostri Eroi dell'Atletica sono da tempo in vacanza (Tortu al sole di Sardegna, Jacobs a preparare un'esibizione sulla spiaggia di Caorle) lui ha tenuto fede alle promesse e si è presentato alla finalissima della Diamond League, quest' anno apparecchiata in piazza tra giganteschi pesisti e filiformi fondisti keniani.
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Col papà-coach la rottura è definitiva, ma ai rimpiazzi («Ci penserò al ritorno dal viaggio, con serenità») Tamberi preferisce il telefonino di Massimo Sgreccia, amico del cuore e testimone di nozze, che filma ogni salto e glielo fa rivedere subito dopo. Allenatore di se stesso (come Barshim) con un consulente esterno per la biomeccanica: questo potrebbe essere il suo futuro, lontano da un padre tanto innamorato quanto ingombrante.
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Contro il fenomeno «fratello» Barshim, l'ucraino Protsenko e il talento immenso e irregolare dell'americano Harrison ieri sera servivano coraggio e fantasia. Gimbo ha esordito facile a 2 e metri e 21, schivato i 2,24, superato i 2,27 al secondo tentativo per poi esibirsi in un balzo da manuale a 2 e 30. Al suo fianco però, pur scomposto come sempre, baby Harrison sembrava una cavalletta.
Per batterlo è servita un'abbondante dose di geniale follia: falliti subito e male i 2 e 32, Gianmarco ha conservato gli altri due tentativi per i 2 metri e 34 che quest' anno non avevo mai superato: o dentro o fuori. Quando ha disegnato sull'asticella un arco perfetto senza nemmeno sfiorarla, Harrison ha sentito la sconfitta nelle gambe e nella testa. La piazza è esplosa, Gimbo ha conquistato la Diamond League per la seconda volta consecutiva, unico azzurro nella storia dell'atletica a riuscirci.
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«Non posso chiedere più nulla a questa stagione - racconta - in cui ho alternato momenti di grande sconforto a gioia immensa. L'atto finale mi toglie il fiato: ho vinto a Zurigo e ho vinto la Diamond League con la mia miglior misura dell'anno. Stanotte non dormirò, lo farò da domani cominciando a sognare l'unica vittoria che mi manca: il titolo mondiale all'aperto».
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