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    ''CARLO AMELIO, TROPPO FACILE FARE COMING OUT A 80 ANNI!" - LA GRANDE NATALIA ASPESI SPETTINA IL PARRUCCHINO DEL REGISTA CHE PORTA A VENEZIA IL FILM SUL PROCESSO AD ALDO BRAIBANTI, REO NEL 1968 DI PLAGIO OMOSEX - AMELIO LA BUTTA SUL PIANTO ANTICO: "IO SONO NATO NEL CENTRO DELLA SILA. MIO NONNO ERA EMIGRATO IN ARGENTINA LASCIANDO MIA NONNA INCINTA E NON TORNÒ MAI PIÙ. ANCHE MIO PADRE SE NE ERA ANDATO E FUI IO, DA ADULTO, 15 ANNI DOPO, AD ANDARLO A RIPRENDERE... DICIAMO CHE GIA' ALLORA IL TRASTULLO DEL PISELLO NON È STATA MAI LA MIA PRIORITÀ" (SI' VABBE', HA AVUTO MEZZO SECOLO DAVANTI) - VIDEO


     
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    Natalia Aspesi per “Il Venerdì – la Repubblica”

     

     

    gianni amelio gianni amelio

    Ho chiesto a una coppia di trentenni serenamente omosessuali e a un paio di loro coetanei serenamente etero, se sapessero chi era Aldo Braibanti e tutti, serenamente, mi hanno risposto di no. È vero, la sua è una storia nera italiana di più di cinquant' anni fa, estranea a quel '68 in cui i giovani erano certi di cambiare il mondo, e forse avrebbero potuto farlo, di prendersi il potere, e invece furono sconfitti, di liberarsi da ogni oppressione compresa quella sessuale, oggi con qualche risultato.

     

    Forse anche chi aveva vent' anni allora, i nonni di oggi, ne seppero poco, e in ogni caso in tanti se ne sono dimenticati. Ma non Gianni Amelio, che ha 77 anni ed è nonno appassionato di tre ragazze, due gemelle adolescenti e una di 19 anni che vive con lui.

     

    aldo braibanti aldo braibanti

    «Avevo 23 anni, ero arrivato a Roma da un paio d'anni deciso a uscire dalla mia nullità, avevo grandi sogni, e avevo fatto i primi passi nel mondo del cinema, come aiuto di Vittorio De Seta per Un uomo a metà. Il processo contro Aldo Braibanti, che allora aveva 46 anni, era iniziato in Corte d'Assise a Roma il 12 giugno 1968, e io ebbi il coraggio di assistere, in mezzo al pubblico, a una sola udienza.

     

    Natalia Aspesi Natalia Aspesi

    Fuori c'era la grande confusione delle manifestazioni studentesche, interessate ad altro. Lo vedevo solo di spalle, perché era rivolto verso i giudici, così fragile, così forte, deciso a non difendersi, a non rispondere alle domande provocatorie. E mi batteva il cuore. L'atmosfera era allucinante, colpevolizzante, la ritrovai poi al processo del Circeo, contro quei giovani fascisti stupratori, torturatori, assassini. Ero inquieto, immaginavo cosa avrei potuto provare se fossi stato al suo posto, se come tanti, allora, quasi tutti, non avessi continuato a negarmi».

    luigi lo cascio nei panni di braibanti luigi lo cascio nei panni di braibanti

     

    Quel ricordo crudele, quel senso di colpa, il destino umiliante e l'orgoglio dell'imputato, la ferocia stupida di quell'Italia di potere, solo adesso sono diventati un suo film, che sarà tra i cinque italiani in concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia e in sala dall'8 settembre.

     

    «Se sono arrivato oggi a questa storia così italiana è stato per un percorso naturale che mi ha sempre spinto, anche attingendo al passato, a parlare dell'aria che sentivo attorno. Ed è proprio dall'aria che respiriamo oggi che è nata in me l'esigenza di riproporre la figura di Braibanti, rispettando quello che lui dice in una scena: "Non voglio essere considerato un martire. Né mostro né martire"».

     

    il signore delle formiche il signore delle formiche

    Titolo quasi fantasy, Il signore delle formiche, perché Braibanti era un appassionato mirmecologo, le nutriva, le studiava, le teneva con sé dentro una teca di vetro, e gli studenti che lo amavano cercavano per lui nei prati le regine ancora alate.

     

    Ma era soprattutto un intellettuale rispettato, un Maestro amato e temuto, un poeta, artista plastico e figurativo, drammaturgo e regista teatrale con un suo laboratorio a Castell'Arquato, nel piacentino. Figlio del medico condotto di Fiorenzuola d'Arda, aveva avuto una giovinezza di impegno politico, antifascista sotto il fascismo, arrestato e torturato dalla terribile banda Carità, partigiano, e nel dopoguerra per un certo tempo impegnato col Pci. E omosessuale. Ho visto al Teatro Parenti lo spettacolo ideato da Massimiliano Palmese sul processo, poi in parte incluso nel bel documentario Il caso Braibanti, 2020, di Carmen Giardina e dello stesso Palmese.

     

    il signore delle formiche4 il signore delle formiche4

    La sua immagine è quella di un uomo rimasto ragazzo, troppo magro, una gran testa di capelli neri, occhiali da vista enormi con grossa montatura nera: molto somigliante a Pasolini, di cui era coetaneo. Amelio gli ha dato la faccia ancora giovane di Luigi Lo Cascio e del suo personaggio il vestire trasandato e l'inflessione emiliana.

     

    Dice: «Il crimine di Braibanti era l'omosessualità, anche se per la nostra legge il reato di omosessualità non era previsto nemmeno allora, quando ancora vigeva il codice Rocco, perché secondo Mussolini il maschio italiano non poteva essere che virile.

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    Eppure il Pubblico ministero chiese per lui 14 anni di reclusione, precisando che era un anno in meno della pena per l'omicidio premeditato, "perché comunque di un omicidio si è trattato, quello della coscienza di un ragazzo innocente"».

     

     

    Il "ragazzo innocente" era Giovanni Sanfratello, un giovane di 23 anni che, questa l'accusa formale, Braibanti aveva "plagiato". Alla fine la Corte ridusse gli anni di carcere a nove, e dopo qualche tempo a due "per meriti partigiani".

     

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    Racconta ancora Amelio: «Per girare il film in quello stesso Palazzo di Giustizia di Roma dovevo mostrare la sceneggiatura e quindi ho limitato le parole infamanti e vergognose dell'accusa. Ma mi restano vaghi ricordi di invettive come "Voi donne siete fortunate, perché se non siete consenzienti con le vostre fauci potete stritolarglielo"; o anche "L'accusato si vantava di essere stato con un negro, una razza che ve la raccomando"».

     

    Allora non esisteva ancora il coming out, la ribellione scoppiò un paio d'anni dopo. E lei non fu certo tra i primi, dichiarò la sua omossessualità nel 2014. Un mio amico gay con consorte, una coppia felice, mentre raccontavo loro del nostro incontro, mi ha urlato: «Troppo facile fare coming out a 80 anni!»...

     

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    «A parte che non è vero, ognuno ha la sua storia. Io sono nato in Calabria, a San Pietro Magisano, nel centro della Sila. Mio nonno era emigrato in Argentina lasciando mia nonna incinta e non tornò mai più, forse si era fatto un'altra famiglia.

     

    Anche mio padre se ne era andato e fui io, da adulto, 15 anni dopo, ad andarlo a riprendere. Il nostro era un paese di vedove bianche, anche la mia famiglia era di sole donne e solo le donne hanno contato per me.

     

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    Io ero il loro riscatto. Per farmi uscire dal paese e studiare hanno affrontato qualunque sacrificio. Mia madre mi mandò a Catanzaro dalla nonna perché frequentassi le medie. Mia nonna mi spinse al liceo, mia zia all'università a Firenze: lei era cresciuta in orfanotrofio e, quasi analfabeta, era riuscita a diplomarsi infermiera e a diventare caposala operatoria.

     

    Diciamo che già da allora il trastullo del pisello non era la mia priorità: prima dovevo sfamarmi, e non sempre era facile, poi dovevo studiare, dovevo farcela, per me, per le mie donne. E per il mio sogno, che era quello di diventare maestro, di insegnare. Anche se ben presto capii che così come ero non me lo avrebbero mai permesso».

     

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    Nel gruppo creativo attorno a Braibanti c'erano i giovani Agostino e Giovanni Sanfratello, che appartenevano a una famiglia del piacentino tradizionalista, ultraclericale e di estrema destra. E forse Agostino non accettò la preferenza di Braibanti verso il fratello o immaginò che quel legame fosse una diavoleria.

     

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    La famiglia perse la testa, doveva salvare il suo ragazzo dall'inferno del peccato mortale, e maestro e allievo furono costretti ad andarsene insieme a Roma, a dividere la stessa stanza in una pensioncina. Era l'ottobre del 1964, Giovanni era maggiorenne (allora lo si era a 21 anni) quando una notte quattro maschi Sanfratello piombarono in quel rifugio dove il letto era uno solo, matrimoniale, e riuscirono con la forza a rapire Giovanni che fu rinchiuso contro la sua volontà in una casa di cura per malattie mentali.

     

    Meglio pazzo che frocio?

     

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    «Nel film ci sono anche momenti della mia vita davvero crudeli. Quando avevo 16 anni un insegnante mi disse: "Se sei omosessuale o ti curi o ti ammazzi!". In quegli anni i giovani contestavano anche la famiglia, il suo potere senza scampo. Quella di Giovanni si dimostrò esemplare nella sua furia distruttiva: per "curarlo" consentirono che gli praticassero 40 elettroshock e ottennero di tenerlo prigioniero in casa».

     

    Dal paio di clip e dal trailer del film a disposizione di noi curiosi, ho visto la bella, fiduciosa, faccia dell'innocente Giovanni che si contorce nell'orrore degli elettroshock.

    giovanni sanfratello giovanni sanfratello

     

    Una faccia sconosciuta, chi è l'attore?

    «Per i due fratelli non ho voluto attori, ma ho cercato le facce giuste, di quegli anni e di quei luoghi, girando per bar, con gli avventori che portavano ancora la mascherina. Giovanni è Leonardo Maltese, Agostino è Davide Vecchi. Li vedrà, hanno una carriera assicurata».

     

    Nei giornali d'epoca la loro madre, seduta in tribunale, massiccia, col cappello da gran signora calato sugli occhi e sulle ginocchia, la borsa stretta tra le mani, è già una immagine da film.

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    «Vedrà la mia! È Anna Caterina Antonacci, il soprano che mi ha conquistato per il suo fisico forte e il modo di interpretare Verdi, perché è la musica di Verdi, così melò, carica di amore, a percorrere tutto il film. Anche lei non ha mai fatto cinema».

     

    Elio Germano, nelle poche immagini viste, ha sempre il cappello in testa (mi ricorda Italo Pietra quando era direttore del Giorno) e sotto il braccio la mazzetta dei giornali.

    Figura davvero anni 60 del rude cronista: nel film lavora all'Unità e rappresenta quella parte della stampa di allora che non titolava "Il demonio in Corte d'Assise".

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    «Però il giornale comunista era anche molto prudente, la cronaca del processo non finiva in prima pagina, altri erano gli interessi della classe operaia...».

     

    Con Braibanti stavano i Radicali, che poi nel 1981 riuscirono a far cancellare il reato di plagio, in parte i socialisti, e gli intellettuali: Moravia, Elsa Morante, la Maraini, Piergiorgio Bellocchio e Pasolini, Maria Monti, Carmelo Bene...

    «Ma erano ingenui, certi che Braibanti sarebbe stato assolto perché l'accusa di plagio era assurda. Non tenevano in conto che quella vecchia Italia era già furiosa per la contestazione, e aveva l'ossessione di difendere la famiglia come massimo potere».

     

    aldo braibanti aldo braibanti

    Lei, come dicevamo, scelse il coming out nel 2014, e non so perché lo fece con me (in un'intervista a Repubblica il 28 gennaio 2014, ndr) parlando del documentario in cui raccolse le storie di persone che erano state giovani quando l'omosessualità era clandestina: titolo bellissimo dalla poesia di Sandro Penna, Felice chi è diverso.

    «Ripeto, avevo altre priorità. La mia omosessualità, che non metto in discussione, non è mai stata il motore principale della mia vita. Questo film su Braibanti l'ho fatto con onestà e partecipazione sincera, ma non perché volessi tirare in ballo, come fosse una mia autobiografia traslata, i miei gusti sessuali o quelli di Aldo. Se c'è un elemento che mi ha colpito della sua esistenza, è stato l'accanimento su una persona indifesa, la carcerazione, la prepotenza dell'ingiustizia. Senza dimenticare la spinta dei sentimenti che hanno caratterizzato la sua storia, la tensione morale, la tenacia con cui ha affrontato le avversità senza farsi piegare. E il suo studio sulle formiche non è già una metafora bellissima di quanto lui tenesse all'umanità? Quanto al mio silenzio, non volevo essere "un gay che fa il regista".

    GIOVANNI SANFRATELLO COMPAGNO DI ALDO BRAIBANTI GIOVANNI SANFRATELLO COMPAGNO DI ALDO BRAIBANTI

     

     

    Ero e sono un regista, e mi riconosco solo come tale, perché il sesso, per quanto importante, non è il mio tutto. E poi senta, non mi piacciono le etichette: la parola gay mi fa pensare quando si chiamavano "donnine allegre" le puttanelle. Ancor meno "non binario": ma se la ricorda Binario, la canzone di Claudio Villa, "...triste e solitario / tu che portasti via col treno dell'amore, la giovinezza mia". Allora mi pare più simpatico "culatòn", come era scritto in lettere nere, giganti, sulla casa materna di Braibanti a Fiorenzuola...».

     

    gianni amelio gianni amelio

    Nel 2008, intervistato da Andrea Pini, il poeta si era espresso più o meno nello stesso modo e già preoccupato per il clima: «Il mio mestiere di vivere è stato ed è la poesia, e non posso dimenticare i miei interessi verso i gravi e attuali problemi ecologici. E voglio subito togliere di mezzo un possibile equivoco: io credo nella libertà sessuale e per questo penso sia giusto abolire ogni forma di etichetta».

     

    Pini, da quell'incontro, così lo descrive nel suo bel libro Quando eravamo froci (2011, Il Saggiatore): "Un meraviglioso signore dolce e gentile ma dal carattere assai fermo. È agile nei movimenti per la sua età, veste in modo semplice, non è molto alto di statura, una testa di capelli bianchi. Viveva col cane Lado in una vecchia casa popolare del ghetto di Roma sostenuto dalla legge Bacchelli".

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    Il direttore della fotografia di Il signore delle formiche è Luan Amelio Ukai, che è già stato premiato per altri film e che è suo figlio adottivo.

    «L'ho conosciuto quando giravo Lamerica in Albania, il ragazzo aveva 17 anni, ci aiutava in tutto sul set, e emanava la gioia di scoprire una vita magica. Diventai amico di suo padre, pieno di malanni dovuti al carcere per motivi politici. Mi disse: "Fa che diventi figlio tuo". Mi spaventai, non ero preparato.

    gianni amelio gianni amelio

     

    Ma poi mi convinsi. Gli trovai un piccolo alloggio vicino a casa mia a Roma e cominciai le pratiche di adozione. Dopo tre mesi incontrò una ragazza polacca e vivono insieme da 27 anni con tre figlie splendide. Il mese prossimo si sposeranno. Sono fiero di lui, del suo talento e del suo doppio cognome...».

     

    Aldo e Giovanni si sono incontrati ancora dopo quella tragedia?

    «Nella realtà no, l'ultima volta è stato in tribunale mentre il ragazzo stroncato dalle cure non cadde mai nelle domande-trappola, difese sempre sia la sua libera scelta d'amore che l'innocenza del compagno. Ma i film consentono immaginazione».

     

    E lei, ha più visto Braibanti dopo il processo?

     

    «L'ho incontrato spesso negli anni 70 per strada, ma non ci siamo mai palesati. Una volta mi sono infilato nella cantina dove lui dirigeva un gruppo di attori, tra i quali c'era un mio amico. Ero sulle spine, oggi benedico quella intrusione perché mi ha permesso di raccontarlo "al lavoro" in una scena del mio film: brusco, duro, sgarbato, feroce, ai limiti di una arroganza che mi ha turbato. Era tutto tranne che simpatico».

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    Da tempo ormai film e fiction raccontano allegrissime storie gay anche con scene di sesso che se le vede Pillon si sente male: lei le ha osate nel suo film?

     

    «C'è un nudo frontale in campo lungo e tanti abbracci che sono ormai abituali. Nient' altro. In tutti i miei film non c'è un bacio. Il sesso sullo schermo è difficile da rappresentare. Meglio che stia fuori campo».

     

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    Il signore delle formiche esce nelle sale negli ultimi giorni di una orribile campagna elettorale, in cui si confondono l'Italia che è approdata a FdI e Lega e quella che ha disperso la sua forza in mille rivoli, tutti di poca e inconciliabile sinistra: secondo lei quale schieramento potrebbe esserne avvantaggiato?

    «Non credo che un film abbia questo potere, soprattutto oggi. Piuttosto penso che sarà il film ad essere avvantaggiato da questo clima furibondo».

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