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1 - BANLIEUE, NUOVI ATTACCHI CONTRO I POLIZIOTTI E ORA SI TEME IL RAMADAN
Matteo Ghisalberti per “la Verità”
Una nuova miccia è stata accesa nelle banlieue francesi dopo un incidente che ha coinvolto un pirata della strada su due ruote e una pattuglia della polizia in borghese. Sabato sera a Villeneuve-la-Garenne - comune alle porte di Parigi al confine con il dipartimento della Seine-Saint-Denis - un pregiudicato trentenne, con un passivo di quattordici condanne per vari reati, ha compiuto una sorta di rodeo tra le vie cittadine senza casco a bordo di una moto da cross non omologata.
Una pattuglia della polizia ha cercato di fermare il centauro fuorilegge ma questi non ha rispettato l' ordine ed è andato a sbattere contro la portiera del veicolo, rischiando di ferire un poliziotto. La corsa del pirata della strada si è conclusa contro un palo e con il ferimento del motociclista.
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Come indicato dalla polizia in un comunicato ufficiale, gli agenti hanno assistito immediatamente l' individuo perché «presentava una ferita emorragica e una frattura aperta del femore», poi lo hanno affidato alle cure del personale di soccorso che lo ha portato in un ospedale vicino.
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L' incidente ha suscitato le ire di «una cinquantina di individui» che, spiega ancora la nota della polizia, hanno raggiunto il luogo dell' incidente e hanno preso di mira gli agenti con «lanci di oggetti». La situazione si è tranquillizzata verso mezzanotte. Tuttavia nuovi disordini sono stati registrati nella notte tra domenica e lunedì. Sempre a Villeneuve-la-Garenne, alcuni facinorosi hanno lanciato dei fuochi d' artificio contro i poliziotti che hanno dovuto ricorrere all' uso dei gas lacrimogeni.
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Nelle cittadine vicine di Nanterre, Gennevilliers e Rueil-Malmaison, sono state incendiate delle auto e dei cassonetti della spazzatura. L' avvocato del motociclista, Stéphane Gas, ha annunciato che il proprio cliente ha presentato una denuncia contro ignoti e che si è rivolto all' Igpn, l' organo di controllo interno della polizia francese. Due inchieste sono state invece aperte dalle forze dell' ordine. La prima, nei confronti del trentenne per aver fatto un «rodeo» e aver messo in pericolo la vita di altre persone. La seconda nei confronti degli individui presenti dopo l' incidente accusati di: oltraggio, minacce e insulti verso le forze dell' ordine.
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I disordini di Villeneuve-La-Garenne sono solo gli ultimi di una serie di episodi che hanno coinvolto le forze dell' ordine nelle banlieue francesi dopo l' inizio del confinamento. Già prima della pandemia, nei quartieri difficili delle città transalpine vigeva la legge delle bande degli spacciatori e degli islamisti. Ora la situazione si è fatta ancora più difficile perché il virus nato in Cina ha bloccato anche i business criminali. Gli spacciatori hanno sempre meno clienti e dato che nemmeno loro possono spostarsi la pax sociale inizia a scricchiolare.
A questo si aggiungono delle provocazioni da parte di alcune moschee denunciate, in una lettera aperta al ministro dell' Interno, da Marine Le Pen. A pochi giorni dall' inizio del ramadan, a Lione, Montpellier e in altre città sono riecheggiati gli appelli alla preghiera musulmana. Il ministro dell' interno Christophe Castaner ha minimizzato. D' altra parte, qualche settimana fa il suo segretario di Stato, Laurent Nunez, aveva detto ai prefetti che «il rispetto in certi quartieri delle chiusure dei negozi e del divieto di assembramenti, non è una priorità».
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2 - GILLES KEPEL: GLI ISLAMISTI CAVALCHERANNO LE PROTESTE PER IL DISASTRO ECONOMICO
Francesca Paci per “la Stampa”
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Nello spicchio di mondo che Gilles Kepel osserva, scendendo a fare la spesa per cucinare poi per la famiglia, c' è l' orizzonte parigino bloccato come ovunque dal Covid e c' è il futuro prossimo: quello in cui, dice il celebre islamologo francese, torneremo a preoccuparci del terrorismo di ieri. Con qualche differenza, perché, sia o meno la peste del nuovo Millennio, il virus ha terremotato anche la mezzaluna a Sud del Mediterraneo e l' Europa deve prepararsi alle scosse tellluriche in arrivo.
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Ci siamo barricati contro il terrorismo per scoprirci vulnerabili di fronte al nemico invisibile. Quando ci sentiremo più sicuri rispetto al virus dovremo tornare a guardarci dagli attentati?
«Siamo ancora totalmente concentrati sul Covid ed è normale, anche se bisogna ammettere che, trattandosi di un fenomeno nuovo, non abbiamo reagito proprio razionalmente.
All' inizio anche la minaccia jihadista era stata sottovalutata in Europa, si parlava d' islamizzazione della radicalità e di emarginazione dei giovani, finché i governi hanno realizzato che era vero il contrario e si sono rimboccati le maniche: abbiamo distrutto l' Isis con i bombardamenti e avviato una nuova politica nelle nostre carceri. La sfida contro il terrorismo è vinta. Per ora».
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Teme l' agitazione sociale che accompagna, ad esempio, il lockdown in Tunisia e che potrebbe esplodere nella sponda Sud-Est del Mediterraneo dovunque la scelta sia tra morire di Covid oppure di fame?
«La congiuntura tra il virus e il crollo del prezzo del greggio investirà frontalmente l' Ue in generale e i Paesi affacciati sul Mediterraneo in particolare. Temo che il terrorismo rinasca dalle ceneri dei perdenti, anche in Europa. A conti fatti le classi medio-alte possono convivere con la quarantena, ma per le periferie del mondo, i sobborghi poveri, i migranti, per l' economia reale è una sciagura. A Tripoli, in Libano, si vive del guadagno quotidiano e non uscire significa non mangiare. Poi c' è il petrolio: da un lato la domanda cinese è crollata, dall' altro l' oro nero ha perso tre quarti del suo valore. A meno di 30 euro al barile, da 70 che erano a gennaio, i Paesi del Sud-Est del Mediterraneo non potranno più pagare sovvenzioni e stabilità sociale».
crollo del prezzo del petrolio
Pensa a nuove guerre?
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«È possibile, chi uscirà più forte da questa situazione ne approfitterà. In Iran la situazione è pesantissima: ci sono le sanzioni americane, c' è una forte presenza economica cinese e ci sono le autorità sciite che, nonostante il pericolo del contagio, hanno deciso di non vietare i pellegrinaggi esponendo la popolazione al massimo del rischio. Dalla debolezza dell' Iran potrebbe arrivare un attacco violento da parte dei vicini, Teheran potrebbe rilanciare il terrorismo di Stato. E la Siria? È una bomba a orologeria, con Putin che ha mandato respiratori alle zone sotto il controllo di Assad mentre quelle ribelli sono a zero. Ci sarà verosimilmente una nuova spinta di profughi verso la Turchia dove Erdogan, dopo aver purgato il partito, governa con la famiglia. La regione è pericolosissima».
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Crede che, come temono alcune intelligence, il jihad possa servirsi del virus?
«Per i terroristi il Covid è interessante, qualcuno crede di potersene servire per contagiare l' Occidente, ma non mi pare un fenomeno rilevante al momento. La vera arma da temere a breve è il malcontento sociale, nel Golfo, in Medio Oriente, in Libia, in Algeria: il crollo del petrolio è un terremoto».
La prima cosa che faremo quando potremo uscire sarà indossare l' elmetto?
«Ci sono due segni interessanti in controtendenza Da una parte la globalizzazione made in Cina è messa in discussione e, sebbene non si possa reimpiantare l' industria in Italia o in Francia, vedremo una rilocalizzazione nel Sud del Mediterraneo. Sta già accadendo.
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Mentre Pechino usava la produzione di mascherine per tenerci in ostaggio, alcuni Paesi come il Marocco si sono messi a produrre per esportare in Europa. È una grossa chance.
Sull' altro fronte c' è la religione: i Paesi sunniti hanno vietato la preghiera del venerdì e il pellegrinaggio alla Mecca per paura del contagio, è la prima volta. Cosa ne sarà della legittimità dei chierici, ostili alla chiusura? Come manterranno il loro potere senza la moschea? La situazione è fluida».
Regolarizzare i migranti «alla portoghese», come ipotizza di fare l' Italia, può disinnescare il potenziale disagio sociale post-Covid?
«Dipende. La massima vocazione dei migranti è regolarizzarsi, insediarsi, lavorare. Il rischio del cavallo di Troia c' è, l' abbiamo visto con il jihad in Francia, Belgio e Germania: ma il problema non è economico, è politico».-