Marco Molendini per il Messaggero
CHARLES AZNAVOUR
«Ho sempre avuto una grande stima di quell' armeno duro e bravissimo» racconta Gino Paoli, uno che non distribuisce facilmente apprezzamenti. Aveva così stima che a un certo punto, erano i primi Anni 60, e Gino aveva cominciato ad avere successo, decise di tradurre una delle canzoni di Charles Aznavour, una delle più belle di sempre, Il faut savoir. «Stavo scrivendo un pezzo che trattava lo stesso argomento, perché avevo avuto dei problemi sentimentali.
Poi ho sentito Il faut savoir e mi sono detto: c' è già, cosa scrivo? E mi sono messo a tradurla. È successa la stessa cosa con Avec le temps di Léo Ferré. E ho fatto altrettanto».
gino paoli
Il titolo è diventato letteralmente Devi sapere.
«Ma la traduzione letterale la può fare solo un idiota. Il lavoro giusto è quello di interpretare le emozioni, il senso, non le parole una a una».
Ad Aznavour piacque la sua versione?
«Non ne abbiamo mai parlato, ma so che se voleva una traduzione decente delle sue canzoni diceva che bisognava chiederla a me».
Voi cantautori della scuola genovese siete stati profondamente influenzati dagli chansonnier francesi. Anche da Aznavour, quindi.
CHARLES AZNAVOUR
«Certo, è stato un riferimento anche lui, perché faceva parte di quella linea musicale francese che ci interessava. Sono stati loro a pensare per primi che la canzone potesse essere una cosa seria. D' altra parte è nella tradizione: da François Villon in poi i poeti francesi hanno sempre scritto canzoni. Così quando la cultura transalpina è arrivata da noi, dopo la guerra, con Sartre, Simone de Beauvoir, Boris Vian abbiamo capito che là dovevamo rivolgerci se volevamo fare canzoni di qualità».
IL PESTO DI GINO PAOLI
Vi siete mai conosciuti?
«Sì, a Roma, dove era venuto perché in Italia vendeva come in Francia. Per questo spesso era qui per incidere dischi. Ci siamo trovati una sera a una festa. Ho visto quest' uomo piccolino, dall' apparenza insignificante ma che dai suoi occhi mostrava una personalità molto forte. Abbiamo parlato a lungo».
Di canzoni, ovviamente
CHARLES AZNAVOUR
«Lui diceva che in fondo le canzoni possono parlare solo di tre cose: amore, odio e morte. Io per la verità ho scritto sempre di due di quelle tre cose, del resto eros e thanatos rappresentano appieno i contrasti della vita».
Siete rimasti amici?
«Non ci siamo visti molto. Sarei voluto andare a salutarlo quando è venuto l' ultima volta, ma ero impegnato anche io con il lavoro. Ma ho sempre avuto grande simpatia e stima per questo armeno che prima era il pianista di Edith Piaf poi, per un lungo periodo, ha scritto canzoni per Gilbert Bécaud, qualcuna anche non firmandola, come purtroppo succede a chi non ha ancora successo.
Tanto è vero che, quando alla fine, riuscì a fare il suo primo album venne lanciato così: Aznavour finalmente canta Aznavour. Ma ho sempre ammirato anche il suo impegno verso gli armeni, il popolo vittima del primo vero genocidio».
Si è mai chiesto perché la generazione dei cantautori in Francia si sia esaurita?
«Non lo so. Effettivamente non c' è più nessuno. Ma è anche vero che da noi ormai si generalizza sulla definizione di cantautore, che viene data a cani e porci».
In che senso?
charles aznavour
«I cantautori sono quelli che scrivono musica e parole. Come Aznavour, appunto. O come da noi Lucio Dalla. Se uno canta le canzoni di altri non è un cantautore. Anche Charles Trenet che è il capostipite di tutti, scriveva tutto da solo. Era un grandissimo. È stato la causa del mio litigio con il Club Tenco che non ha voluto invitarlo perché in passato aveva avuto simpatia per il governo collaborazionista di Petain. Da allora non ci sono più andato».
gino paoli
Anche da noi la genia dei cantautori si sta esaurendo?
«Oggi è cambiato tutto. Ricordo che quando uscì La gatta all' inizio andò malissimo. Poi d' estate cominciò a suonare nei juke box e la gente, tornata dalle vacanze, cominciò a comprarla perché l' aveva sentita. Oggi non si sa più che cosa o chi decida il successo. Noi eravamo autentici, ci sentivamo dei James Dean e, quando lo abbiamo visto al cinema, abbiamo capito che ci rappresentava. Oggi succede il contrario: c' è qualcuno che decide che bisogna vestirsi di giallo e allora ci si veste di giallo. È l' opposto dello spirito di noi cantautori».
CHARLES AZNAVOUR AZNAVOUR AZNAVOUR AZNAVOUR AZNAVOUR