Estratto dell’articolo di Antonio Polito per il “Corriere della Sera”
Meloni e Rampelli
La «Colle Oppio», come a Roma è nota la prima sezione del Msi in Italia, rappresenta per la destra post-fascista ciò che le catacombe rappresentano per i cristiani: il posto dove tutto è cominciato, il mito originario, il tempio venerabile. Ne racchiude in sé i luoghi sacri e i luoghi comuni.
In quella specie di grotta di 70 metri quadri, ricavata tra i ruderi delle antiche Terme di Traiano, trovarono rifugio i primi esuli istriani in fuga dal comunismo di Tito, accolti nel 1946 dai reduci della Repubblica Sociale che avrebbero poi fondato il Movimento Sociale Italiano. Base per scorribande o fortino da difendere dalle scorribande altrui, Colle Oppio ha vissuto da protagonista gli anni di piombo.
SEZIONE FDI COLLE OPPIO
[…] Nei turbolenti anni ‘70 è stata forse il confine tra il post-fascismo e il neo-fascismo, il luogo più estremo e radicale della destra missina che non è però mai passato dalla parte della destra eversiva. E anche un luogo di sperimentazione politica ardita, promossa dal gruppo dei Gabbiani guidato da Fabio Rampelli, nel quale Giorgia Meloni ha fatto il suo apprendistato.
[….] Se «io sono Giorgia» appare una leader non fabbricata in laboratorio, ma quasi un prodotto della Prima Repubblica nonostante la sua giovane età, è proprio per quella esperienza. In quel gruppo si riscoprirono Tolkien e la Terra di Mezzo, una dimensione di ascetismo pagano fatta di camminate in montagna e divieto di alcolici, ma anche di comunitarismo spinto al limite della setta: Francesco Lollobrigida e la moglie Arianna Meloni si conobbero lì, e lì si formò Giovambattista Fazzolari, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi, uno dei pochissimi di cui la premier si fidi . Per Rampelli quel luogo e quella storia continuano tutt’oggi a rappresentare lo zenit della sua vicenda politica.
joe biden giorgia meloni
Il movimento dei Gabbiani era anche un partito nel partito, una lobby interna, un gruppo di pressione, e comunque una scuola politica di indiscutibile efficacia, se ha prodotto una presidente del Consiglio. Rampelli si era fatto un cruccio dello sfratto deciso nel 2020 dall’allora sindaca Raggi, la quale adducendo motivi di morosità riuscì a togliere l’antro di Colle Oppio alla destra. Tanto ha detto e tanto ha fatto, alla fine ha convinto Gualtieri, il nuovo primo cittadino della Capitale, a restituire la storica sede alla destra (lo ha raccontato il Foglio ), ma con la promessa di trasformarla in un museo che celebri la vicenda degli esuli dall’Istria.
Si sa che Rampelli da tempo non è più la guida né spirituale né politica di Giorgia Meloni, si potrebbe anzi dire che l’allieva ha rinnegato il maestro, o almeno l’ha commissariato, visto che pochi mesi fa il partito romano di Fratelli d’Italia è stato decapitato per decisione della ex ragazza che vinse il congresso dei giovani missini alla guida della lista dei Figli d’Italia. Ma riprendendosi e riaprendo Colle Oppio, non è detto che Rampelli abbia fatto un favore alla sua leader.
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Da molti punti di vista questo luogo è diventato nel tempo anche un baluardo identitario, ricorda battaglie e ideali che oggi non vanno più di moda, e anzi possono essere imbarazzanti per una premier che pranza con Biden e cena con Macron. Non è un caso se proprio davanti alla sede di Colle Oppio nell’ottobre dello scorso anno apparve uno striscione nostalgico e polemico dipinto sul verso dei manifesti elettorali della Meloni: «Ritorna il vecchio sogno», c’era scritto nei tipici caratteri grafici neofascisti imitati dalle lettere runiche, e aveva a fianco il logo storico della sezione, con la C e la O attraversati da una saetta.
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Il rapporto con l’identità è infatti il punto più delicato della metamorfosi di Giorgia Meloni. Da un lato deve tenere annodato un qualche filo con la sua tradizione, per sfuggire all’accusa, da quelle parti infamante, di averne tradito gli ideali. Ma dall’altra deve disfarsene al più presto, o almeno farli dimenticare perché, come ha detto il senatore Mario Monti, «la ragione per cui è apprezzata in Italia e all’estero è perché è brava, inattesamente brava». Non certo perché viene da Colle Oppio e dalla sua «comunità di ribelli » .
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