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    "GIORGIO FALETTI? VOLEVA CAMBIARE NOME… " - A 'DOMENICA IN' PARLA LA VEDOVA ROBERTA BELLESINI: "SONO STATA LA SUA PRIMA EDITRICE, RICORDO QUANDO DOVEVA PUBBLICARE IL SUO LIBRO IN AMERICA. VOLEVA CHIAMARSI..." –SANREMO, IL SUCCESSO LETTERARIO, IL RUOLO IN NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI E LA PROPOSTA DI MATRIMONIO IN OSPEDALE. E LEI? "GLI DISSI: RICHIEDIMELO QUANDO SEI FUORI, ORA SEI SOTTO FARMACI, NON VORREI CHE MI ACCUSASSI DI CIRCONVENZIONE DINCAPACE"


     
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    Da  tv.fanpage.it

     

    faletti bellesini faletti bellesini

    Ricordi, momenti della carriera televisiva e gli anni del successo letterario. La moglie di Giorgio Faletti Roberta Bellesini è stata ospite di Mara Venier a Domenica In per ricordare il marito, scomparso nel 2014. "Di lui mi aveva colpito il suo entusiasmo. Stava chiudendo un album e ci teneva a trasmettermi quel suo sogno".

     

    "Ci siamo conosciuti nella maniera più italiana possibile  – racconta Roberta Bellesini, rievocando i momenti del primo incontro con Faletti – ovvero un ritrovo a casa di amici per una partita di calcio, era la finale degli Europei del 2000, che non andò benissimo. Ne nacque un'amicizia, poi diventata altro". Roberto Bellesini racconta Faletti come una persona dalla grande vitalità, che non era stata affatto scalfita dallo scorrere del tempo: "C'era un'importante differenza d'età tra noi, ma di testa era sicuramente più giovane di me".

    venier faletti venier faletti

     

    Un personaggio camaleontico Faletti, che da comico diventò cantante, col grande successo di "Signor tenente" a Sanremo: "Credo che all'inizio in realtà non si fosse reso conto di quello che aveva scritto – dice la Bellesini – Il testo era certamente forte e l'idea di associare queste parole a una musica minimale era sicuramente innovativa. A fargli capire il valore di questa cosa fu il suo manager, che sentendola gli disse che era un pezzo meraviglioso. A Sanremo si rese poi effettivamente conto della potenza di quel pezzo". 

     

    Il successo letterario improvviso

     

    Poi, all'improvviso, il successo letterario travolgente, nato dallo sviluppo di una passione che aveva avuto sempre

     

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    Lui a un certo punto era un po' scomparso. Pensava di aver esaurito la sua carriera televisiva e credeva di aver dato tutto quello che poteva. Visto che lui era un grande lettore, appassionato di thriller, iniziò a scrivere. Disse "voglio scrivere un libro che vorrei leggere". Partì scrivendo alcuni racconti e l'editore gli consigliò di pensare a qualcosa di più strutturato. Così nacque "Io uccido", un successo anche per lui inaspettato, visto che lui stesso inizialmente si reputava poco credibile, vista la carriera precedente di comico.

     

    Inizialmente Faletti si preoccupò anche del possibile pregiudizio rispetto al suo passato: "Pensò addirittura a uno pseudonimo come George Bed-Maker, la traduzione maccheronica in inglese del suo cognome". 

     

    Il ruolo in Notte Prima degli Esami

    Tra i modi attraverso i quali Faletti è riuscito a lasciare un ricordo di sé, la fortunata operazione cinematografica di "Notte prima degli esami", in cui lui interpretava il professore Carogna, che finiva per stringere un rapporto di amicizia con il protagonista interpretato da Vaporidis:

     

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    Quando gli proposero la sceneggiatura si legò subito al personaggio. Fu molto stimolato dall'idea di lavorare con attori giovani, alcuni dei quali praticamente esordienti. E quella frase, "l'importante non è quello che trovi alla fine della corsa, ma quello che provi mentre corri", è proprio una frase sua, che lui propose al regista Fausto Brizzi durante le riprese. Questa, secondo me, è una frase che dovremmo prendere tutti come riferimento.

     

     

     

     

    GIORGIO FALETTI, LA MOGLIE ROBERTA BELLESINI: «QUELLE GARE DI BATTUTE CON LUI. ERA UN GENIO MA NON LO SAPEVA»

     

    Candida Morvillo per www.corriere.it

     

     

    Quando la vedova di Giorgio Faletti, Roberta Bellesini, ha trovato quel racconto dimenticato e scritto da suo marito una decina d’anni fa, è stata afferrata dall’ansia: «Ho avuto la tachicardia per tre giorni, come sempre quando metto le mani sul lavoro di Giorgio. È stato il regista e amico Dario Piana a ricordarmi che avevano ipotizzato un corto per Expo 2015, ispirato a una storia arrivata solo a degli abbonati online».

     

    Il film mai nato

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    Il film non era nato, Giorgio Faletti se n’era andato per un tumore il 4 luglio 2014, a 63 anni. Ora, La ricetta della mamma è in libreria, per La nave di Teseo. Il corto, prodotto da Roberta, protagonisti Giulio Berruti e Andrea Bosca, sarà all’Asti Film Festival il 15 dicembre. È la storia di un sicario che s’introduce in casa di un uomo per uccidere un testimone di giustizia dalla finestra.

     

    Non ha calcolato, però, l’attrazione per la buona cucina... «C’è dentro tutta l’ironia di Giorgio», spiega Roberta. Gli è stata accanto 14 anni, da quando lui era ancora «solo» il comico di Vito Catozzo e il cantautore-rivelazione di«Signor tenente». Presto, sarebbe diventato un giallista di clamoroso successo: «Io uccido» ha venduto in Italia 5 milioni di copie ed è tradotto in 32 lingue. Lei c’era il giorno in cui il libro uscì e a lui venne l’ictus.

     

     

    Come leggeste la coincidenza?

    «Giorgio diceva che, essendo un comico, la sua vita poteva solo essere comica. Svegliandosi dal coma, sentiva i rumori delle macchine a cui era attaccato e riuscì a far ridere i dottori. Disse: ma dove mi avete ricoverato? A Las Vegas? Era un uomo allegro. La sera, voleva sempre amici a cena. Facevamo gare di battute. Grazie a lui, avevo affinato le mie doti».

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    Sta ridendo o piangendo?

    «Tutte e due. Era bravissimo a trovare neologismi. Come “stritolizzare”, per quando ci stropicciavamo la pelle accarezzandoci. E ogni suono era divertente al di là del significato, per le sue buffe facce da adolescente. Lo coglievo, a volte, a mangiare qualcosa che non doveva e sgranava quei suoi occhioni azzurri che ti schiantavano. Io, davanti a quegli occhi, ero indifesa».

     

    In ospedale, riuscì pure a farle la proposta di matrimonio.

    «I medici avevano chiesto a me l’autorizzazione a un trattamento sperimentale per salvarlo. Mi ero assunta il rischio. Si è ripreso e mi ha chiesto di sposarlo».

     

    E lei?

    «Gli dissi: fai così, richiedimelo quando sei fuori, ora sei sotto farmaci, non vorrei che mi accusassi di circonvenzione d’incapace».

     

    Lui diceva: ogni cosa che faccio è dedicata a Roberta.

    «E io: quanto hai da farti perdonare per dire così?».

     

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    Suo marito ha scritto canzoni, ha vinto premi da attore. Era consapevole dei suoi talenti?

    «Soffriva sempre di ansia da prestazione, temeva di non essere apprezzato. Non si rendeva conto di essere un genio. Ha scritto “Io uccido” in tre mesi. “Signor tenente” in mezz’ora».

     

    Cosa racconta di Faletti «La ricetta della mamma»?

    «Quattro cose: la passione per la provincia, essendo cresciuto alla periferia di Asti, dove tutti si conoscevano; l’ironia; la passione per il thriller, nata da bambino nella soffitta dove il nonno rigattiere accumulava scatoloni di noir americani che lui divorava».

     

    La quarta?

    «La passione per la buona cucina, attinta appunto dalla mamma. Ai fornelli, era bravissimo. Con Jeffery Deaver, volevano scrivere un libro di ricette».

     

    L’autore de «Il collezionista di ossa» l’aveva definito «larger than life»: una leggenda...

    «Giorgio lo lesse e quasi gli veniva un infarto. Non avrebbe mai immaginato di diventare amico del suo idolo».

     

    Come visse i sei mesi di malattia?

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    «Con ottimismo. E l’ultimo mese, diceva: vabbé, a un altro sarebbero servite tre vite per avere le mie soddisfazioni».

     

    Che cosa temeva della morte?

    «Che si dimenticassero del suo lavoro. Perciò, in maniera quasi ossessiva, porto avanti i suoi progetti, anche se tocco le sue cose e ho sempre dentro un dolore. A maggio, porterò in teatro a New York il suo “L’ultimo giorno di sole”. Due anni fa, ho prodotto un suo album. Costringermi ad ascoltare la sua voce è ancora devastante».

     

    Cosa riesce a confortarla?

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    «Dirmi che da lui ho ricevuto talmente tanto che vale la pena pagare questo conto».

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