• Dagospia

    “LETTA HA TROVATO UNA STRATEGIA CHE RITENGO GENIALE: RESTARE IMMOBILE, NELLA CONVINZIONE CHE SARANNO GLI ALTRI A FARSI MALE” – IL PROFESSOR GIOVANNI ORSINA COMMENTA LO STATO COMATOSO DELLA POLITICA ITALIANA: “NESSUNO È IN SALUTE. E NON LO È AFFATTO IL CENTRODESTRA, DIVISO DA FRATTURE PROGRAMMATICHE REALI, IN PARTICOLARE PER QUEL CHE RIGUARDA LA POLITICA INTERNAZIONALE. E POI C'È UN GROSSO PROBLEMA DI LEADERSHIP E LEGITTIMAZIONE” – “IL MOVIMENTO CINQUE STELLE NON HA PIÙ UN'IDENTITÀ, DI FATTO NON ESISTE PIÙ…”


     
    Guarda la fotogallery

    Fabio Dragoni per “La Verità”

     

    giovanni orsina foto di bacco (2) giovanni orsina foto di bacco (2)

    Professore, indipendentemente da come sono finiti i ballottaggi delle amministrative, una domanda devo farla. Hanno perso tutti?

    «Qualcuno è uscito un po' meglio degli altri. Tutto sommato, hanno tenuto sia il Pd sia un'alleanza di centrodestra dentro la quale sta diventando sempre più forte Giorgia Meloni. In una situazione come questa, già tenere è un risultato rilevante. Dopodiché, è vero che la situazione politica è talmente sfrangiata, frammentata e disciolta che è veramente difficile capire chi possa approfittarsene».

     

    matteo salvini federico sboarina giorgia meloni luca zaia matteo salvini federico sboarina giorgia meloni luca zaia

    Gli studiosi di politica, come appunto lei, Professor Giovanni Orsina, dicono sempre che in politica non esiste il vuoto. E se ci fosse lo riempirebbe qualcuno. In questo caso il vuoto c'è?

    «In questo momento c'è un vuoto immenso. La destrutturazione del sistema politico è drammatica. Pensiamo alla crisi del Movimento 5 stelle: un partito che solo quattro anni fa ha preso il 32% dei voti e che sostanzialmente si è dissolto. E non si riesce neanche fino in fondo a capire dove siano finiti tutti quei voti.

     

    Lì si è aperta una voragine: i voti di protesta che non si collocano a destra e non guardano più al grillismo. Al centro, invece, più che un vuoto c'è un eccesso di pieno. L'area vale forse fra il 10 e il 15%, ma se la dividi fra cinque o sei partiti perde di rilevanza. Insomma: vuoto politico, caos, frammentazione, mancanza di entusiasmo e di forze che siano in grado di catalizzare l'interesse degli elettori. Il risultato ovvio di tutto questo è l'astensione».

     

    conte letta conte letta

    Se il centrodestra ha tenuto quindi è in salute?

    «No. Nessuno è in salute nella politica italiana odierna. E non lo è affatto il centrodestra. Innanzitutto, è diviso da alcune fratture programmatiche reali, in particolare per quel che riguarda la politica internazionale. Se si parla di Europa la divisione netta è fra Lega e Fratelli d'Italia da una parte e Forza Italia dall'altra. Se si parla di Atlantico e Nato, Fratelli d'Italia da una parte, la Lega più dall'altra e Forza Italia non si capisce bene dove. E poi c'è un grosso problema di leadership e legittimazione».

     

    Mi strappa la domanda che avevo in serbo ora. Ha senso lo schema di gioco classico del centro destra? Tutti uniti ma divisi. Chi prende un voto in più propone il premier. Quasi sempre il leader di quel partito.

    di maio conte di maio conte

    «Lo schema secondo cui chi prende un voto in più decide il premier è grossolano. Ma dipende anche dal nostro demenziale sistema elettorale: se hai un uninominale nel quale tutti devono convergere e un proporzionale nel quale tutti si devono dividere, non puoi che ottenere il caos. E questa osservazione vale anche per il cosiddetto Mattarellum. Non puoi dare alle forze politiche incentivi divergenti, la maionese impazzisce.

     

    Nel mondo ideale, una sorta di schema-Ulivo avrebbe senso anche per il centrodestra: un'alleanza che decide in anticipo chi sarà il premier. Nel mondo reale è un'ipotesi che non ha nessunissima possibilità di materializzarsi. Resta comunque il problema di un'alleanza il cui baricentro elettorale è molto spostato sulla destra. Piaccia o non piaccia, il tema della legittimazione a livello europeo in Italia ha un peso».

    luigi di maio giuseppe conte meme by carli luigi di maio giuseppe conte meme by carli

     

    Professore, esiste una spiegazione vagamente razionale dello psicodramma M5s? Di Maio lascia il movimento per rafforzare il governo ma senza che questo abbia di fatto tolto la fiducia a Draghi.

    «Si può spiegare razionalmente l'irrazionalità. La cosa in sé è del tutto priva di logica politica: in genere i partiti si spaccano perché su un tema politico cruciale si prendono delle decisioni divergenti.

     

    Penso alla scissione di Alfano. Alla fine del 2013 Berlusconi voleva togliere la fiducia al governo Letta. Alfano no. Che su una scelta di questo tipo il partito si spacchi, è comprensibile. Ma se il partito vota compatto, che senso ha che si divida? Dopodiché, questa follia può essere spiegata. Il M5s non ha più un "ubi consistam".

     

    Non ha più un'identità, di fatto non esiste più. Nasce come un grande collettore di insoddisfazione e, in positivo, si propone di incanalare la rabbia in un progetto di amministrazione del Paese grazie alla democrazia diretta.

    GIOVANNI ORSINA GIOVANNI ORSINA

     

    Oggi, dopo quattro anni di governo, non può più pretendere di rappresentare la protesta, mentre l'esperimento di democrazia diretta è miseramente fallito - come era logico aspettarsi. Il fallimento del progetto ha aperto la via alle derive più assurde, come, appunto, quella di una scissione priva di sostanza politica».

     

    Ne discende che il Pd sta cinicamente aspettando quindi che il Movimento 5 stelle si spenga da solo, di morte naturale. Così non deve scegliere fra Conte e Calenda.

    «Appena eletto segretario, Letta ha provato ad agitarsi un po' con proposte tipo il voto ai sedicenni. Dopodiché ha trovato una strategia che ritengo geniale: non fare assolutamente niente. Restare immobile, nella convinzione (fondata) che tanto saranno gli altri a farsi male da sé».

    matteo salvini giorgia meloni federico sboarina matteo salvini giorgia meloni federico sboarina

     

    Il famoso semaforo di cui parlava Prodi interpretato da Guzzanti.

    «Esattamente. Non dimentichiamoci che Letta è succeduto a Zingaretti che un anno e mezzo fa - non due secoli - diceva che del suo partito si vergognava. La strategia di Letta ha funzionato a meraviglia. Si pensi alla rielezione di Sergio Mattarella: gli è caduta in grembo.

     

    Con l'avvicinarsi delle elezioni, tuttavia, qualcosa il Pd dovrà pur fare. Soprattutto se alla fine il centrodestra si presenta unito. Alla fine, bisognerà pur capire questo "campo largo" Letta con chi lo fa. Rischia di dover imbarcare una miriade di micropartiti o quasi».

    Emmanuel Macron Marine Le Pen Emmanuel Macron Marine Le Pen

     

    L'astensione è a livelli record. Ma l'elettore piddino, a differenza di quello di destra, non si astiene mai. Va sempre a votare. Concorda?

    «Assolutamente sì. L'elettorato del partito democratico è fatto di votanti soddisfatti, benestanti, che vivono nei centri urbani e hanno un reddito stabile. È un elettorato tecnicamente "conservatore" perché l'ordine delle cose gli va bene così com' è.

     

    Gli scontenti invece, quelli che vorrebbero cambiare le cose, stanno più a destra. Ma il cambiamento è complicatissimo da ottenere. E quindi quegli elettori sono più propensi ad astenersi. Poi, più in generale, da sempre gli elettori di sinistra sono più militanti di quelli di destra».

     

    jean luc melenchon emmanuel macron jean luc melenchon emmanuel macron

    Professore, si aspettava la debacle di Macron a poche settimane dalla rielezione? E che spiegazione si dà, se del caso?

    «Non mi ha sorpreso. Macron è stato rieletto presidente con un ampio margine, ma al primo turno aveva comunque preso il 27% dei consensi: poco più di un quarto dei voti validi, e con un'astensione altissima.

     

    E poi da tempo la Le Pen ha intrapreso con successo la via della "dediabolisation", della rilegittimazione. Consideri poi che si votava in tanti collegi, non in un unico collegio nazionale, e al ballottaggio c'erano tante possibili combinazioni: Le Pen contro Macron, Mélenchon contro Macron, Le Pen contro Mélenchon. La strategia del fronte repubblicano contro un nemico comune non poteva più funzionare».

     

    giuseppe conte enrico letta giuseppe conte enrico letta

    Una volta lei, professore, ha detto: «Davo per scontato che la pandemia finisse. Tutto non sarebbe tornato come prima. Ma quasi. Con la guerra no». Che succede alla politica italiana con la guerra?

    «La pandemia è stata un trauma profondo. Nessuno lo nega. Inaspettata per molti. Non eravamo abituati a tutto ciò. Ma ho sempre avuto la ragionevole convinzione che saremmo tornati prima o poi alla normalità. Non ho mai creduto a chi riteneva che tutto sarebbe cambiato.

     

    salvini meloni salvini meloni

    Per non parlare di chi diceva che ne saremmo usciti migliori. Ma figuriamoci. Strascichi importanti ma gestibili. Credo invece che la guerra porti con sé una svolta veramente storica. L'invasione della Russia è un vero "game changer".

     

    Dovremo abituarci ad un mondo nel quale le relazioni internazionali saranno molto più dure. Ci saranno molte più pressioni sugli stati nazionali. Presto per prefigurare in quale direzione. Ma temo che così sarà».

     

    Rimaniamo in campo internazionale. Parliamo di America. A novembre ci saranno le cosiddette elezioni di midterm. Si rinnova la Camera e un terzo del Senato come ogni due anni. È probabile che vinceranno i repubblicani. Che succederà poi?

    «Guerra a parte, cerco sempre di evitare i catastrofismi. E i fatti sembrano darmi ragione: abbiamo digerito quattro anni di Trump; e dopo Brexit, mi sembra che la Gran Bretagna sia ancora lì.

    PUTIN BIDEN PUTIN BIDEN

     

    Certo, le elezioni di midterm non si presentano per niente facili per Biden, il cui gradimento rimane basso. Ma in Usa, basta vedere la sentenza della Corte Suprema, esiste una dialettica fra destra e sinistra. Qualche volta vince l'una, qualche volta l'altra. Se ogni volta vediamo e viviamo la possibile vittoria di una parte come l'anticamera dell'Apocalisse, non credo che stiamo facendo il bene della democrazia».

    GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI VLADIMIR PUTIN JOE BIDEN - ILLUSTRAZIONE TPI VLADIMIR PUTIN JOE BIDEN - ILLUSTRAZIONE TPI GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI emmanuel macron voto per le elezioni legislative emmanuel macron voto per le elezioni legislative matteo salvini giorgia meloni matteo salvini giorgia meloni

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport