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E' morto all'età di 97 anni Peter Brook, il maestro del teatro contemporaneo. Solo un anno fa era stato rappresentato nel nostro Paese un suo lavoro: a Solomeo, in Umbria, era infatti stata proposta la sua opera tratta dalla "Tempesta" di Shakespeare". Oltre che direttore di vari teatri, dalla London's Royal Opera House alla Royal Shakespeare Company, il genio britannico è stato anche attore teatrale e ha diretto diversi film.
Lo spirito del teatro secondo Brook - "Lo spirito, questa materia immateriale impossibile da giustificare e da mostrare, è l'unica giustificazione per l'evento teatrale". Così parlava Brook, una delle più grandi figure della scena teatrale interazionale, nato il 21 marzo 1925. Tra le pietre miliari della sua vita il "Marat-Sade" di Weiss rappresentato a metà anni Sessanta e il colossale "Mahabarata", spettacolo realizzato per Avignone nel 1985, divenuto poi anche film e recentemente graphic novel.
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"Io non sono un maestro" - "La corda tesa è l'immagine che meglio rappresenta la mia idea di teatro - dichiarava -. Non voglio insegnare nulla, non sono un maestro, non ho teorie". Per lui l'importante è sempre stata l'impressione, era far scattare la fantasia, che più è libera più è essenziale e forte il suo punto di partenza.
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Brook si è sempre impegnato per riuscire a far scomparire in scena ogni artificio, per far sì che il diaframma tra la vita e l'arte venisse superato, praticamente annullando il concetto di finzione davanti alla rivelazione di una verità esistenziale profonda. Così con lui il teatro diventava esperienza intima collettiva di vita, perché "quando un gruppo di persone è riunito per un evento molto intenso, che deve esprimere tutto ciò che in poesia un grande autore può dare, lo spirito diventa tangibile come è tangibile che quest'impressione non si può avere in solitudine e il suo senso per tutti è che la vita può essere vissuta".
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Enfant prodige: prima regia a 18 anni - Il teatro è entrato nella vita di Brook fin da ragazzo: il maestro firmò infatti la sua prima regia a 18 anni e quindi si fece notare come interprete delle opere di Shakespeare, tanto da diventare, prima, direttore del London's Royal Opera House, e, nel 1962, della Royal Shakespeare Company, dove affiancò ai classici una serie di opere moderne e lavori sperimentali ispirati in particolare al "teatro della crudeltà" di Artaud, come un celeberrimo "Marat-Sade" di Peter Weiss e "Us", lavoro che faceva riferimento alla violenza della guerra in Vietnam e si concludeva "scandalosamente" con un segno forte, bruciando viva una farfalla.
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L'esperienza in Francia - Nel 1970 si trasferì in Francia dove fondò, a Parigi, il Centre international de creation theatrale: sotto l'influenza di Grotowski e del Living Theatre di J. Besk sono state sperimentate le possibili applicazioni teatrali di un linguaggio non significante, improvvisato e massimamente gestualizzato.
I viaggi e il "Mahabarata" - Viaggiò a lungo in Africa, improvvisando spettacoli nei posti più sperduti. Poi tornò a Parigi dove aprì Les Bouffes du Nord e cominciò a pensare e lavorare, anche con un lungo soggiorno in India, al "Mahabarata", che diventa uno spettacolo poetico e rigoroso di nove ore, allestito in una cava di pietra, poema indù di 70mila versi sull'origine del mondo e la sua confusione e incertezza, restituendone, in una babele di lingue e razze, la verità profonda senza perderne il senso di favola.
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Il giro del mondo dell'innovatore - Da allora Brook non smise più di girare il mondo con i suoi spettacoli, da quelli ironici, giocosi e malinconici legati al suo mal d'Africa come "Sizwe Banzi est mort" di Fougard o "The suit", riduzione scenica di un romanzo del sudafricano Chan Themba, a un'invenzione sorprendente come la sua "Carmen", realizzata nel 1986 su una base di terra, trasformando i teatri in arene, con gli spettatori solo sulle balconate o in palcoscenico, cercando lo spirito autentico del personaggio di Mérimé e riducendo l'opera di Bizet quasi a un lavoro da camera, con 15 strumentisti.
Del resto il suo "Flauto magico" mozartiano, vagheggiato per anni e arrivato quasi come un testamento nel 2011 al Piccolo di Milano, si avvaleva di un solo pianoforte, fiaba simbolica, lieve e profonda, che resta ormai un po' come la summa esemplare delle teorie e del teatro di Brook, del suo "spazio scenico vuoto" in cui l'intuizione porta a distillare il senso dell'opera attraverso il corpo e la voce degli attori di tutte le culture. Un lavoro portato avanti fino all'ultimo come la sua sesta volta appena nel novembre 2021 a Solomeo, in Umbria, con la "Tempesta" rivista alla sua maniera, con una regia invisibile e assieme accuratissima nei particolari, in coppia con Marie-Hélène Estienne.
Peter Brook: Giovanna Mezzogiorno, un maestro, grande dolore
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(ANSA) – "Non ci sono parole per descrivere il dolore, lo sgomento e il senso di abbandono , di perdita immensa , non solo per noi che siamo stati i suoi attori ma per l'intera umanità. È stato il mio maestro, il mio secondo padre , gli devo tutto''. Lo dice Giovanna Mezzogiorno nel giorno della morte di Peter Brook. ''Spero che il suo viaggio sia felice. La sua vita è stata esemplare e quello che ha regalato a milioni di persone rimarrà punto di riferimento, esempio di rigore e genialità senza pari."
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