Niccolò Zancan per “la Stampa”
giulia schiff
È una ragazza di 23 anni. È un soldato in forza all'esercito ucraino. Si chiama Giulia Jasmin Schiff, nome in codice «Kida». Partita da Mira, in Veneto, è finita a combattere in prima linea: «Anche oltre la prima linea, quando sono stata in missione con la squadra dell'intelligence».
Lo aveva annunciato il 25 febbraio su Facebook, al secondo giorno dell'invasione russa: «Non vedo in Europa la reazione che meriterebbe lo scempio che l'Ucraina sta subendo da parte di Putin. Non ci sono giustificazioni per non reagire. Bisogna soccorrere un Paese che non si può difendere da solo».
Giulia Jasmine Schiff 1
Lei è partita. Si è arruolata nelle Forze Speciali della Legione Internazionale di Kiev dal fronte di Mykolaiv. Ha rischiato di morire due volte. Ha sparato, è sopravvissuta. E dopo sette mesi sul campo di battaglia, è tornata in Italia per alcuni giorni. «Sono qui anche nella speranza di aprirvi gli occhi. L'Italia dovrebbe essere più unita al popolo ucraino. Serve più empatia.
In questo momento tanti soldati e tanti civili stanno morendo per difendere noi, per difendere l'Europa. Non si può fare troppa filosofia sulla pelle degli altri». Indossa la mimetica con il suo nome sulla mostrina. Partecipa alla manifestazione organizzata dall'Associazione Cristiana degli Ucraini in Italia, in piazza Madonna di Loreto a Roma. Ed è lì che racconta questi sette mesi che l'hanno cambiata per sempre.
Vista dal fronte, come sta andando la guerra?
Giulia Schiff
«Secondo me, adesso Putin sta iniziando a chiedere l'intervento della diplomazia perché noi siamo sulla base d'attacco. Siamo alla controffensiva. Stiamo liberando territori. Ma purtroppo la realtà della guerra è molto diversa da come viene raccontata. La situazione è molto più grave».
A cosa si riferisce?
«All'agonia di ogni singola persona che muore, al dolore perpetuo delle famiglie delle vittime, alla distruzione».
Usate armi italiane?
«In sette mesi io non ne ho vista nemmeno una. Magari non le ho incrociate, per qualche circostanza fortuita. All'inizio mi hanno detto che erano arrivate delle vecchie mitragliatrici, ma erano così vecchie da assomigliare quasi a dei reparti archeologici».
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Cosa risponde a chi in Italia sostiene che, in ogni caso, bisognerebbe arrivare al più presto a una tregua?
«Sono persone che parlano da troppo lontano. Loro non vedono la gente appena liberata. Io l'incontrata, conosco la sofferenza che sta passando, è qualcosa che da lontano non si riesce nemmeno a immaginare. Sono persone trattate come bestie. Sono persone umiliate, affamate, deportate. L'Ucraina non vuole abbandonare queste persone».
Giulia Jasmine Schiff
Cosa servirebbe per arrivare almeno a un cessate il fuoco?
«Gli ucraini vogliono essere come noi. Non vogliono restare soli. Non vogliono fare da cuscinetto. Bisogna rispettare i Paesi che si ribellano alle dittature. Quella è casa loro. Non si gioca con il culo degli altri».
Lei sognava di arruolarsi nell'Aeronautica Italiana. L'ha dovuta abbandonare dopo aver denunciato un episodio di nonnismo. Andare a combattere in Ucraina è stata anche una scelta di rivalsa?
«No, non è così. Sono in pace con il mio passato e quello lo considero un capitolo chiuso. Sono grata alla vita per avermi dato la possibilità di fare questa nuova esperienza, che mi ha portato una grande crescita umana e professionale. Nell'esercito ucraino ho trovato una famiglia. Sono persone inclusive, piene di rispetto. Ho ricevuto molti complimenti per la mia attitudine militare. Il comandante del team mi chiama affettuosamente "piccolo mostro"».
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A proposito di famiglia. Cosa dicono i suoi genitori?
«Hanno una mentalità molto aperta. Sono cittadini del mondo. Alla fine anche mia madre, suo malgrado, ha capito la mia scelta».
È vero che al fronte ha trovato l'amore?
«Sì, un soldato partito da Israele per le mie stesse ragioni. Stiamo insieme, combattiamo insieme, ci guardiamo le spalle. Ma dopo l'ultima missione lui è in convalescenza, non posso dire di più».
Quando tornerà in Ucraina?
«Domani. Voglio continuare a combattere. Adesso la situazione sul terreno è estremamente delicata. Io mi occupo di ricognizioni. Mi unirò alla controffensiva a Kupjans' k».
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Ha messo in conto la morte?
«Penso di essermi abituata all'idea. Credo al destino. Potrei morire sempre. Anche adesso strozzata da uno spaghetto».
Cosa pensano gli ucraini degli italiani?
«Sono innamorati persi di noi. Quando dico da dove vengo, mi cantano Celentano. Sono pazzi delle nostre città. E sanno bene che, poco o tanto che sia, l'Italia li sta aiutando. Lo apprezzano e sono riconoscenti. Loro sono molto meno critici di me».
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Giulia Jasmine Schiff