Marco Giusti per Dagospia
a hidden life terrence malick
173 minuti. Più che un film è stato un sequestro di persona questo nuovo, magari anche interessante, ma estenuantissimo nuovo film di Terrence Malick, A Hidden Life, dedicato alla vita di Franz Jägerstätter, fattore Alto Atesino che si rifiutò di piegarsi al nazismo. Malick ne fa una sorta di martire, costruendogli un’aurea cristologica di tutto rispetto. Franz, interpretato dal bravissimo August Diehl, già maggiore tedesco in Inglourious Basterds nonché genero del regista, non accetta di dichiarare la propria fedeltà a ciò che lui ritiene sia il male, cioè il nazismo.
In ogni istante della sua vita, potrebbe tornare indietro, fingere, come hanno fatto milioni di tedeschi, ma per lui non è possibile. E accetta un percorso di martirio che, come gli dicono i suoi aguzzini, da Mathias Schoenarts a Bruno Ganz, è del tutto inutile, perché nessuno ne verrà a conoscenza e non cambierà certo le sorti della guerra. Ma per Franz e per la sua adorata moglie, Valerie Pachner, bravissima, che lo sostiene in ogni istante della sua vita, opporsi a una bugia così sostanziale, l’accettazione del male come normalità, è tutto.
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Eppure né Franz né sua moglie sono intellettuali, ma semplici montanari, agricoltori in continuo rapporto con la natura e con Dio. Malick punta a una ricostruzione mistica della storia, ovviamente esagerando come gli abbiamo fatto veder fare in questi ultimi anni. Non c’è inquadratura che non abbia una luce naturale tra le montagne o dietro le nuvole, non c’è nessuna semplicità diciamo rosselliniana di ripresa. E’ tutto così preciso e grondante da farti venire il mal di testa dopo dieci minuti, salvo soccombere come ha fatto un grosso critico dietro di me che russava ferocemente, o fartelo piacere.
Riconosco che A Hidden Life, rispetto agli ultimi Malick, almeno ha una storia da seguire, ma ha pure una messa in scena così ripetitiva che non riesci a non annoiarti. Specialmente nella lunghissima zona centrale, dove Franz capisce che non deve accettare il nazismo. Quando se lo prendono e se lo portano via, il film almeno ha una svolta e l’apparizione di Bruno Granz è salutata dai vecchi critici con un’ovazione. Ma il film non riesce a costruire, come in Hunger di Steve McQueen, una cristologia moderna che faccia esplodere il film. In fondo, un po’ come accadde nel non riuscitissimo ma superiore Silenzio di Martin Scorsese, non ti importa molto di quel che accadrà.
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Anche perché sei estenuato dalle riprese sui campi, i falcetti, le mucche, l’asino, le montagne. Tutte riprese benissimo da Jörg Widmer… Ma tre ore di montagne e di campanacci, ma come si fa? Alla fine i critici rimasti svegli applaudono sì, ma non per grande convinzioni, quasi come liberazione dall’incubo. Magari vincerà anche qualche premio, ma A Hidden Life ci ha veramente stremato.
terrence malick