Marco Giusti per Dagospia
il primo giorno della mia vita 44
In una Roma notturna, piovosa, bellissima e fotografata benissimo, uno strano personaggio, Toni Servillo, recupera sulla sua vecchia Volvo targata Roma, quattro aspiranti suicidi. Una poliziotta rimasta sola da quando la giovane figlia è morta, Margherita Buy, un’atleta paraplegica destinata a arrivare seconda, Sara Serraiocco, un bambino grasso youtuber sfruttato dal padre, Gabriele Cristini, un motivatore in crisi, Valerio Mastandrea. Li porta in un vecchio albergo del centro, il logoro Hotel Columbia (esisterà?). E da lì, in una settimana, cercherà di far cambiare loro idea riguardo alla morte. Ci riuscirà?
E’ questa la storia del nuovo film diretto da Paolo Genovese, “Il primo giorno della mia vita”, tratto dal suo omonimo romanzo del 2018, e scritto assieme a gran parte del suo storico gruppo di autori responsabili di “Perfetti sconosciuti”, cioè Paolo Costella, Rolando Ravella, Isabella Aguilar.
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Costruito come una commedia drammatica che alterna punte oltremodo dark a situazioni più tranquille, pur toccando lo scivoloso terreno del dopo-la-morte, offre a Genovese, come già fece con “The Place” qualche anno fa, il modo di lavorare su una serie di attori conosciuti e molto amati dal pubblico mettendoli di fronte a una situazione di sfida continua con se stessi e con un personaggio-giudice che può cambiare il corso della loro vita. Presente-passato-futuro fanno parte di un unico flusso che possono vedere con attenzione. In maniera laica, senza moralismi o tentazioni cattoliche. Magari non tutto funziona nella costruzione della storia e nel cercare sempre di mantenerla ai massimi livelli di colpi di scena, ma Genovese è abile nel dare a Servillo, Buy, Mastandrea, Serraiocco, ma anche ai molti altri attori che li circondano, da Vittoria Puccini a Antonio Gerardi, da Lino Guanciale a Elena Lietti, da Giorgio Tirabassi a Thomas Trabacchi, sempre la luce migliore, la battuta azzeccata.
IL PRIMO GIORNO DELLA MIA VITA
Al punto che i personaggi funzionano quasi più per la loro messa in scena, all’interno di inquadrature riuscite e di un’ambientazione, per una volta in un film italiano, non pulciara né casuale, dove l’albergo decadente dei morti-non-morti è davvero costruito con affetto e intelligenza, dove il ristorante sul mare è perfetto e così lo è il vecchio cinema in disfacimento.
Servillo e i suoi aspiranti suicidi si muovono all’interno di questi ambienti con grazia e eleganza. Non sempre, ripeto, la storia e i dialoghi riescono a colpirci, ma il lavoro di regia e di recitazione è sempre di grande riuscita. E è un piacere vedere Servillo, pur in un ruolo di Freud-Caronte-Angelo, cioè eccessivo, al contrario proprio così normale e sotto tono. Dopo averci dato Scarpetta e Pirandello nell’arco di poco più di un anno. Quello che non sappiamo è dove questo tipo di cinema, di commedia-drammatica con meccanismi forti, che ritroviamo però anche in tanti film internazionali, da “The Menu” a “Glass Onion”, possa spingere Genovese e il suo team, se cioè fuori dalla commedia o meno per puntare più al mystery esoterico-esistenziale. Per fortuna, laico. In sala da giovedì prossimo.
paolo genovese foto di bacco