Marco Giusti per Dagospia
Festival di Berlino. Bau. Chi ama i cani non lo potrà perdere per nessun motivo. I gattari e cat-twittaroli è meglio che si astengano. Insomma questo delirante e abbaiante Isle of Dogs, cioè L’isola dei cani, diretto e sceneggiato da Wes Anderson, ritorno alla stop motion di Fantastic Mr Fox, che ha aperto Berlino con incredibile successo, già dal titolo, che se lo pronunciate rapidamente suona “I Love Dogs”, è una sorta di inno all’amore canino e a quanto l’umanità tutta debba al loro più fedele compagno. Aribau.
l isola dei cani
Lo so che avete la bacheca piena di gattini di facebook, ma qui siamo al cinema, come diceva una vecchia vignetta canina del New Yorker (“passi per i gatti su Facebook e Twitter, ma al cinema abbiamo sempre vinto noi”). Quindi i cani , di ogni razza e pelo, più o meno sporco e arruffato, sono i protagonisti di Isle of Dogs, presentato ieri anche a Roma in una divertente anteprima alla presenza di Wes Anderson, Jason Schwartzman e Roman Coppola, coautori con il regista e con Kunichi Nomura del soggetto, e di uno scatenato Bill Murray che ha incantato la platea di ragazzetti delle scuole di cinema con la sua dichiarazione d’amore per Roma (“A Roma nessuno dovrebbe lavorare”, infatti…) e per la sua traduttrice, Bruna, alla quale seguitava a scompigliare i capelli.
l isola dei cani
I cani del film parlano un inglese perfetto, doppiati da star come Bryan Cranston, Edward Norton, Liev Schrieber, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Greta Gerwig, Frances McDormand e ovviamente Bill Murray, mentre i giapponesi, umani, parlano in giapponese volutamente senza sottotitoli di alcun tipo. In pratica il pubblico, almeno nel mondo Occidentale, non deve capire esattamente quello che dicono gli umani, ma solo quello che dicono i cani. Siamo in un futuro distopico, si dice così, dove i cani della città di Megasaki, infettati da una serie di pericolosi virus, sono messi al bando e spediti su un’isola della spazzatura, sorta di Fukushima di oggi, e lì lasciati al loro triste destino.
Così ha voluto il cattivissimo sindaco Kobayashi, contro il parere di un ricercatore di buon cuore, che stava cercando di capire come salvare i cani dal virus. Per dare l’esempio, Kobayashi, amante dei gatti da più generazioni, invia sull’isola Spots, il cagnolino guardia del corpo del suo figlioccio, Atari. Qualche tempo dopo sull’isola della spazzatura, dove i cani si sono divisi in bande per contendersi gli avanzi degli avanzi del mondo civile, piomba su un aeroplano un piccolo pilota, che è appunto Atari, alla ricerca di Spots. Un gruppo di cani, il randagio Chief, e i più educati Boss, King, Rex, Duke, lo aiuteranno nella ricerca di Spots.
l isola dei cani
Intanto, a Megasaki, mentre si tenta di recuperare Atari, il pessimo Kobayashi trama per sterminare tutti i cani rimasti sull’isola, ma c’è un piccolo focolaio di rivolta. Ovvio che Atari, Chief e tutti cagnolini combattenti, decideranno per la rivoluzione contro gli umani gattari. Se la favola non è ben chiara a tutti, in un misto di ecologismo militante, col mondo salvato dai ragazzini, e di amore canino debordante, va detto che Wes Anderson la racconta con gran gusto e divertimento.
Da una parte gioca sulla costruzione spettacolare dei suoi eroi pelosi, che hanno non solo una grande animazione, sotto la direzione di Mark Waring, ma anche una serie di battute spettacolari recitate dalla compagnia di attori-amici del regista con gran passione. “Tutto quello che voglio”, dirà il Duke di Jeff Goldblum, “sono una dieta bilanciata, una pulizia regolare e il mio check-up fisico annuale”. Da un’altra gioca sull’omaggio continuo ai grandi capolavori del cinema giapponese, dai film di Akira Kurosawa alle animazioni di Hayao Miyazaki.
wes anderson, bill murray, jason schwartzman e roman coppola alla proiezione di l’isola dei cani a roma
Ma tutto il film è un continuo perdersi in flashback e incisi che rimandano al cinema giapponese, mentre come tipo di animazione Wes Anderson ha detto che ha pensato a ricostruire quelle americane a passo uno delle produzioni, soprattutto televisive, di Arthur Rankin Jr e Jules Bass, produttori di piccoli capolavori di culto come Rudolph the Red Nosed Reindeer, ma anche della serie tv Bushido. Quindi non la stop motion d’autore alla Jiri Trnka, ma quella più commerciale e zuccherosa della tv.
Tutto questo, va detto, funziona benissimo, perché il film, magari un po’ senza capo né coda, ci prende totalmente grazie ai suoi cagnolini e alle sue invenzioni, alle scenografie incredibili di Adam Stockhausen e Paul Harrod, alle musiche acchiapponissime di Alexandre Desplat e al suo chiaro messaggio contro l’oppressione delle minoranze. E’ interessante anche presentare l’ombra di Fukushima in un film di animazione. Qualcuno, però, lo ha già etichettato di razzismo. Nei riguardi, presumo, dei giapponesi. Mi pare eccessivo, davvero. Per i gattari, però, sarà un osso duro da digerire. Miao. Nelle sale italiane a primavera.
wes anderson, bill murray, jason schwartzman e roman coppola alla proiezione di l’isola dei cani