Marco Giusti per Dagospia
michele mercier, robert hossein l'indomabile angelica
“La sola cosa che lascerò”, diceva Robert Hossein, leggenda del cinema e del teatro francese, scomparso oggi a 93 anni appena compiuti per complicazioni polmonari da Covid, “è la cicatrice di Joffrey de Peyrac di Angelica, marchesa degli angeli. Qualche volta, forse, una giovane ragazza verrà a posare una rosa sulla mia tomba, per ricordo.”
Anche se il personaggio di Joffrey de Peyrac, l’amore dell’avventurosa Angelica di Michéle Mercier, è rimasto nei cuori del grande pubblico, ricordare Robert Hossein solo per quello, con 110 film all’attivo come attore, 24 regie, una serie di spettacoli teatrali monumentali e, soprattutto, una carriera che dalla fine degli anni ’40 a oggi non gli ha fatto mai perdere il successo del pubblico, è davvero un po’ riduttivo.
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Hossein, bello, duro, virile, è stato negli anni ’50 e ’60 protagonista del grande cinema popolare francese, dividendosi tra avventurosi e noir, mélo e perfino western, potendo vantare delle partner bellissime come la sua prima moglie Marina Vlady, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Lea Massari, Annie Girardot, Catherine Deneuve, Marie France Pisier e, ovviamente, Michéle Mercier. Con quel fisico, con quella faccia, non può che incarnare personaggi forti e molto maschili, buoni o cattivi che siano, non lasciando tanto spazio a altri partner dello stesso sesso.
Nato a Parigi nel 1927 come Abrahan Hosseinhoff, figlio del compositore e direttore d’orchestra André Hossein, di Samarcanda, e di madre ucraina di Kiev, entra molto presto nel Theatre Grand Guignol di Montmartre e alla fine degli anni ’40 inizia a lavorare nel cinema. Prima con piccoli ruoli, poi nel fondamentale noir “Rififi”, girato in Francia dall’esule americano Jules Dassin, dove lo troviamo a fianco di Jean Servais e Carl Mohner.
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Nello stesso anno dirige il suo primo film, “Gli assassini vanno all’inferno”, tratto da Fréderic Dard con Marina Vlady sua coprotagonista assieme a Serge Reggiani e Henri Vidal. Con Marina Vlady, bellissima, che sposerà nel 1955 e dalla quale divorzierà nel 1959 dopo la nascita di due figli, darà vita a una lunga serie di successi in gran parte anche diretti da lui, come “I peccatori guardano il cielo” di Georges Lampin, “La liberté surveilée”, Nella notte cadde il velo”, “I vampiri del sesso”, “La sentenza”, “La notte delle spie”, “le canaglie”, “La notte delle spie”. Importante, negli anni ’50, è anche l’incontro con Roger Vadim, che lo vorrà protagonista di “Un colpo da due miliardi” con Françoise Arnoul, de “Il riposo del guerriero”, grande successo con Brigitte Bardot, “Il vizio e la virtù” con Annie Girardot e Catherine Deneuve.
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Legherà molto non solo con Vadim, ma anche con Christian Marquand, in versione regista, col quale girerà “Il baro” nei primi anni ’60. Molto attivo nelle coproduzioni è il protagonista maschile in Italia del polpettone prodotto da Carlo Ponti per Sophia Loren “Madame Sans Gene”, girato da Christian Jacque nei vecchi stabilimenti della Pisorno, appunto tra Pisa e Livorno, appena rilevati da Ponti. Girerà anche, da regista e protagonista, un primissimo proto-western sudamericano, “Febbre di rivolta” con Giovanna Ralli e Mario Adorf.
Nel western tornerà anni dopo, in piena leonemania, con l’ottimo “Cimitero senza croci” con Michéle Mercier e l’amico fidato Serge Marquand, musicato dal padre André Hossein, dove lo stesso leone avrebbe dovuto interpretare un ruolo, il barista.
Sembra che Leone abbia girato la scena, ma poi convinse Hossein a toglierla perché non si era piaciuto. In cambio del favore, Hossein avrebbe dovuto girare un ruolo in “C’era una volta il West”. Negli anni ’60 è molto attivo nel cinema popolare europeo.
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Lo troviamo negli spy della serie OS117 diretto da André Hunebelle, nel ricco “Marco Polo” di Denys de la Patéllier, che lo vorrà a fianco di Jean Gabin e Michéle Mercier in un grande successo come “Matrimonio alla francese”/”Le tonnere de Dieu”. Ma è la serie “Angélique marquise des anges”, diretta da Bernard Borderie, tratta dai romanzi di Anne e Serge Golon, che gli darà il successo internazionale.
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Popolarissimo, lo troviamo così in altri film in costume del tempo, come il divertente “Madamagelle de Maupin” di Mauro Bolognini con Catherine Spaak e Tomas Milian, mentre girerà con la sua partner Michéle Mercier film come “L’amante infedele” di Christian Jacque. Non mancano i noir e i film da duri, come “Pattuglia anti-gang” di Bernard Borderie con Raymond Pellegrin e Pierre Clementi, “Calibro 38” di Charles Gerard. Diventato un’icona popolare, riceve però le critiche migliori per il film più intellettuale che gira in quel periodo, “La musica”, scritto e diretto da Marguerite Duras con la divina Delphine Seyrig.
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La Duras lo strapazza, chiamandolo Don Juan da bazar, ma alla fine funziona benissimo. Gira di tutto alla fine degli anni ’60, dalla sua personale e curiosa versione di Rasputin, ribattezzato in Italia “Addio Lara” con Gert Frobe come monaco pazzo, Peter McEnery e Geraldine Chaplin, all’erotico “Lamiel” di Jean Aurel con Anna Karina e Pierre Clementi, da “Il ladro di crimini” di Nadine Trintignant a “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, grande successo del tempo in Italia, dove è uno dei due patrioti che verranno giustiziati dal potere papale, dal western comico-fumettistico di “All’ovest di Sacramento” di Jean Girault al ricco “Gli scassinatori” di Henri Verneuil con Jean-Paul Belmondo e Omar Sharif. Nel 1971 viene chiamato a dirigere il teatro pubblico di Reims.
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E’ una sfida, che però vince, portando a Reims grandi spettacoli e grandi star come Isabelle Adjani in “La casa di Bernarda Alba”, Isabelle Huppert, Anémone. La sua idea è quella di “un teatro come non lo vedete che al cinema”. Ammalato di gigantismo produttivo, anche quando lascia Reims nel 1976, non demorde con i grandi spettacoli teatrali. Nel 1980 va al Théâtre Mogador, dove mette in scena Sartre e Dostojevski. Ma porta a teatro perfino Jean-Paul Belmondo prima nel “Kean” da Dumas nel 1987 e poi in una grande versione di “Cyrano de Bergerac” di Rostand nel 1990.
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Si vanta di “essere nato povero col cervello da ricco” per giustificare le sue spese eccessive. mette in scena un “Je m’appelais Marie-Antoinette” al Palais des sports nel 1993. Ormai ottantenne, dopo una svolta cattolica, mette addirittura in scena grandi spettacoli di fede come “N’ayez pas peur ! Jean Paul II”, nel 2007 e “Une femme nommée Marie”, una sola rappresentazione messa in scena davanti a 25 mila spettatori e 1500 malati a Lourdes.
Anche se si muove meglio nel teatro dai grandi numeri, non ha mai lasciato il cinema. Nel 1982 ha girato una riuscita e premiata versione di “Les miserables” con Lino Ventura. Con l’amico Vadim lo troviamo in “Un corpo da possedere” con la bellissima Gwen Welles. Da noi gira l’horror di Sergio Stivaletti messo in piedi da Dario Argento per Lucio Fulci “La maschera di cera”, con Alberto Bevilacqua lo vediamo nel tardo giallo-erotico “Giallo Parma”, alquanto risibile, purtroppo. Dopo il matrimonio con Marina Vlady, che gli aveva dato due figli, si è risposato altre due volte, con Caroline Eliacheff nel 1962, un figlio, e con Candice Patou, sposata nel 1976, un altro figlio, che lo accompagnerà fino alla fine.
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