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    IL CINEMA DEI GIUSTI - "BLACKHAT" DEL MAESTRO MICHAEL MANN È UNO DEI PIÙ GRANDI FLOP DEGLI ULTIMI ANNI. MA È ANCHE UNO DEGLI ACTION MOVIE PIÙ INTERESSANTI DELLA STAGIONE, CON SCENE DALLO STILE PERFETTO CHE VALGONO DA SOLE IL BIGLIETTO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Blackhat di Michael Mann.

     

    Fermi tutti. Anche se in America e in quasi ogni altra parte del mondo è stato accolto nella più completa indifferenza e la Legendary Pictures ha perso qualcosa come 90 milioni di dollari, questo cyber-thriller, Blackhat, diretto da un maestro come Michael Mann, autore di Collateral e Heath, già definito uno dei più grandi flop degli ultimi anni, 70 milioni di dollari di budget e solo 7 di incasso in Usa, è uno degli action movie più interessanti della stagione. Facevamo bene a non fidarci troppo dei critici americani, anche se Manohla Dargis su “The New York Times”, lo aveva difeso con vigore. Non è facilissimo spiegare il perché di un insuccesso così vasto, anche perché il film è costruito per un pubblico internazionale, soprattutto asiatico.

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    E almeno lì, insomma, si sperava che andasse bene. Va detto che quando vedi un pirata informatico all’opera vedi solo un tizio davanti a un computer, e questo non è il massimo dell’interesse e dell’azione al cinema. Ma non basta lo stesso a spiegare un rifiuto così totale da parte del pubblico. Anche perché il protagonista è il superfusto australiano Chris Hemsworth, cioè il Thor dei film Marvel, che viene fatto uscire di prigione, dove scontava una pena di 15 anni per una megatruffa di carte di credito, proprio perché unico in grado di capire chi manovra un’azione di cyber-criminalità internazionale che potrebbe portare a disastri tipo 11 settembre.

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    Chi lo ha fatto uscire a tutti i costi è un suo vecchio amico di cyber-scherzi giovanili, Chen Dawai, interpretato dalla star cinese Leehonn Wang al suo primo film americano, ora tenente di polizia, che è stato mandato dai suoi superiori in America per capire, assieme alla poliziotta Carol Barrett, cioè Viola Davis, chi possa aver provocato un assalto informatico così pericoloso e perché.

     

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    Chen riuscirà a fare uscire dal gabbio il suo vecchio amico Nick Hathaway, cioè Chris Hemsworth, in camicia per tutto il film, neanche uno spazzolino e una valigetta, e inizieranno subito una specie di caccia al criminale internazionale che dall’America ci porterà rapidamente a Hong Kong, poi in Malesia e infine a Jacarta. Il modello è quello del thriller bondiano con un piccolo gruppo di eroi alla caccia di una misteriosa banda di cattivi e di un loro fantomatico capo che stanno provocando una serie di disastri in varie parti del mondo. Boom! Esplosioni a catena.

     

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    Apparentemente senza senso. Mettiamoci anche che la sorella di Chen, la bella Wei Tang, anche lei al suo primo film americano, e come Leehonn Wang scoperta da Ang Lee in Lussuria, si innamora subito del fusto Nick Hathaway. E mettiamoci che i cattivi, agli ordini di un pericoloso libanese interpretato da Ritchie Coster (non male), sono davvero senza pietà. I buoni, anche se vanno avanti nella loro ricerca, non fanno che perdere uomini per tutto il film. Un disastro.

     

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    Ci sono varie scene da antologie degne del nome e della fama del regista che non vi racconterò per non spoilerare troppo, ma che valgono da sole il biglietto. Michael Mann, che ha scritto il film assieme a un ex-montatore, Morgan Davis Foehl, ma solo questo è accreditato nei titoli, tiene insieme con grande ritmo un racconto davvero complesso. Inoltre supermontato, con bella musica di Atticus e Leopold Ross oltre che di Harry Gregson Williams, che pur accreditato nei titoli di testa non ha riconosciuto il suo lavoro a film finito.

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    Diciamo che è un thriller tecnicamente di grandissimo stile con riprese notturne paurose, oltre a essere anche il primo film di Mann girato interamente in digitale, e quasi totalmente in Asia. Per molti critici il problema maggiore è che c’è appunto troppo stile, troppa ricerca tecnica e poco interesse per la storia.

     

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    Magari non è neppure così accattivante puntare sul mercato asiatico con un film costruito su una complicata storia degli attacchi ai sistemi informatici. Mann sostiene di essersi ispirato alla storia della Stuxnet, un vero attacco che nel 2010 fece crollare un quinto della potenza nucleare iraniana. Aspettiamo il film a una rilettura critica, magari tra una decina d’anni. Comunque da vedere. In sala dal 12 marzo.  

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