Capri-Revolution di Mario Martone
Marco Giusti per “Dagospia”
Arriva il film del Natale intelligente offerto dal cinema italiano, Capri-Revolution di Mario Martone. Da settimane trionfa sui manifesti la bella faccia della sua protagonista, Marianna Fontana, una delle gemelle di Indivisibili, che troveremo nel film di Martone come la guardiana di capre Lucia pronta a lasciare tutto per entrare nelle comunità artistiche di Capri di inizio secolo.
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Ma, prima di vedere il film, presentato lo scorso settembre a Venezia, magari il pubblico colto può leggersi il bel libro di Lea Vergine “Capri 1905-1940 frammenti postumi”, appena ripubblicato, dedicato proprio ai grandi artisti stranieri della Capri di inizio secolo e magari ristudiarsi il vecchio Joseph Beuys, soprattutto la sua opera “Capri-Batterie” del 1985 dove un limone accendeva una lampadina gialla.
Erano i tempi del gallerista Lucio Amelio e della sua Napoli artistica di Terrae Motus. Beuys sarebbe morto un anno dopo, nel 1986. Mario Martone, pensando a Beuys e alle sue idee su arte, scienza e natura, voleva intitolare il suo film sulla Capri di prima della Grande Guerra, Capri-Batterie. Qualcuno avrà pensato che un titolo alla Matrix, Capri-Revolution, fosse più internazionale e meno esclusivo.
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Meglio così. Anche se l’idea di Martone era proprio che l’opera di Beuys, citata esplicitamente nel film, bastasse per condensare anni e anni di storie e opere di artisti e scrittori stranieri vissuti allegramente a Capri facendone il mito anche totoista e foffolallista che ben conosciamo. Tutti questi personaggi celebri dell’isola, raccontati già nel libro di Lea Vergine, sono messi in scena nel film quasi teatralmente, con tanto di esibizioni di teatro-danza+eros come fossimo in una stagione del Mercadante trasportata nella Capri rivoluzionaria e pre-futurista degli anni dieci.
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E il tutto prende vita proprio mentre arrivano l’elettricità (batteria!) e, ahimé, la guerra, che faranno scoppiare le contraddizioni utopistiche-scientifiche del tempo in un massacro indistinto che porterà poi alla nascita del nazismo e del fascismo. Un progetto ambizioso, insomma. In Capri-Revolution, la pastorella Lucia, una strepitosa Marianna Fontana, con padre malato, mamma silenziosa, Donatella Finocchiaro, e due fratelli padroni, uno è Eduardo Scarpetta, ultimo discendente della famiglia Scarpetta, si ritrova attratta da una comune di artisti nordici che danzano nudi per i boschi e praticano l’amore libero.
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Ma, soprattutto, si ritrova divisa tra l’amore per il loro guru, Seybu, artista naturista e pacifista, l’olandese Reinout Scholten Van Aschat, e il giovane medico Carlo, ateo e guerrafondaio, interpretato da Antonio Folletto. Facile riconoscere nel personaggio di Seybu e del suo circolo una serie di artisti che soggiornarono a Capri, soprattutto il tedesco Karl Wilhelm Diefenbach fondatore delle comuni pacifiste e naturiste prima di Vienna e poi di Capri, dove morì nel 1913, che offre a Seybu anche l’aspetto da Cristo e a Martone il dipinto di Capri che apre il film ma anche la prima veduta del mare.
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Ma pensiamo anche al tedesco Otto Sohn-Rethel, a Benjamin Vautier, che sposò l’isolana Rosina Viva, alla rivoluzionaria e teatrante “dionisiaca” lettone Asja Lacis, amante di Walter Benjamin nella Capri del 1924. Mentre la pericolosità dell’isola e la presenza di medici dai metodi drastici come nel film (“ai diabetici si asporta subito il pancreas”) è ben narrata nel libro di Edwin Cerio, “Guida inutile di Capri”, 1921. Tutte buone letture, ovvio, che Martone conosce perfettamente. Ma cosa dire del film? Martone applica per Capri-Revolution la stessa messa in scena, molto teatrale, dei suoi due film precedenti, Noi credevamo e Il giovane favoloso, per farne un trittico autoriale sulla storia d’Italia per ragazzi istruiti. Riprende anche le musiche di Sascha Ring e Philipp Thimm, che funzionavano bene nel film su Leopardi e lo rendevano un eroe rock.
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E’ un cinema colto, intelligente, magari un po’ scolastico, ma d’alta classe, dove Martone riesce non solo a raccontare una serie di storie complesse e difficili da sceneggiare, ma si toglie la voglia anche di omaggiare maestri come Antonioni (L’avventura) e Rossellini (Il miracolo). Non ha a sua disposizione, purtroppo, la vera Capri dei primi del secolo scorso. E questo si sente. Si deve infatti limitare a qualche scena e a ricostruire parecchio nel Cilento. E è come se fosse tutto impastato da una luce autunnale che non sempre ci riporta alla Capri più facile.
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Ma con tutte le costruzioni e il mare pieno di yacht di miliardari russi e produttori cinematografici cafoni, non credo fosse facile mettere in scena la vera Capri dei tempi di Gorkj. Rimane comunque un ottimo film, assolutamente non facile, ambizioso, illuminato dalla recitazione di grande spontaneità di Marianna Fontana. Meno funziona il guru Seybu, ma il personaggio che fa muovere tutto è la ragazza che prende coscienza e deciderà di vivere la propria vita in completa libertà. Certo, avremmo voluto più presenti i russi rivoluzionari dell’isola. In sala il 20 dicembre.
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