Marco Giusti per Dagospia
Cannes – Parasite
tarantino pitt
Evocativo, concettualmente sbalorditivo, eccessivamente feticista dei piedi, ineludibilmente terrificante e inaspettatamente commovente, irregolare, ingombrante nella sua struttura e non privo di zone piatte, ma anche lettera d'amore disarmante e tipicamente sovversiva alla sua ispirazione.
I critici internazionali, tutti, a parte i nostri, sono impazziti di fronte al nuovo capolavoro di Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood, e alle sue tre ore di elegia sulla Hollywood che se ne andò in quel lontano agosto 1969 quando la Manson family massacrò la povera Sharon Tate e i suoi amici.
trailer once upon a time in hollywood 3
Non è un film perfetto, ma quando mai, Pulp Fiction a parte, lo sono i suoi film?, ha realmente delle zone un po’ inutili o troppo lunghe, è pieno di eccessi e di manie da supernerd, dalla passione per i piedi delle donne alle osservazioni da cinefilo sui nostri western, ma vi entra dentro profondamente e è uno dei rarissimi film totalmente sinceri e aperti nel suo voler affrontare il cuore del problema. Che è la morte del cinema che abbiamo amato. Ieri sera pensavo che non potesse vincere granché perché troppo pazzo per piacere a tutti i giurati, oggi penso che dovrebbe vincere tutto perché è uno dei rari film che ho amato e si offre senza difesa e senza preconcetti al nostro sguardo.
trailer once upon a time in hollywood 1
margot robbie nel ruolo di sharon tate in once upon a time in hollywood poster ufficiale
Piuttosto bello anche Parasite di Bong Joon-ho, il regista di The Host, Snowpiercer, Okja, una sorta di guerra di classe in quel di Seoul, una commedia ultradark che non arriva all’horror ma allo splatter pesante sì. Si vive in una società dove da una parte ci sono i super-ricchi che abitano in case stupende e da un’altra famiglie miserabili che vivono da parassiti nei sottoscala.
I due mondi si incontrano solo quando i ricchi assumono come camerieri, autisti, i poveri. Ma il divario e l’odio fra loro è ormai davvero grande per una coesistenza pacifica. L’inizio, con la famiglia di Ki-taek, interpretato da Son Kang-ho, e di sua moglie Chung Sook, interpretata da Chang Hyae-jun, che si ritrova in una fetido sottoscala senza wi-fi e cercano in ogni modo di capire come possono rubare la connessione dalla famiglia più ricca del piano di sopra è magistrale.
parasite bong joon ho
Notevoli sono anche i piccoli trucchi della famiglia di Ki per sopravvivere, fra documenti falsi, cartoni di pizza da asporto mal costruiti. Quando il figlio di Ki, Choi Woo-shik, viene assunto come istitutore di una ragazza nella ricca villa disegnata da un architetto di grido di un potente amministratore delegato, le cose cambiano.
Anche perché non si piazza solo il ragazzo, ma presto il padre prende il posto dell’autista, la madre quello della tata e la sorella diventa psicoterapeuta del figlio dei ricconi che pensa di essere un guerriero indiano. Come in Us di Jordan Peele e come in Shoplifters di Kore-eda ci sono problemi di identità, di sdoppiamenti, di vite rubate che ha creato il capitalismo.
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E c’è, ovviamente, il momento dello scoppio di tutta questa violenza repressa e di vite non vissute con la propria faccia. I figli di Ki si fanno chiamare Kevin e Sophie, fingono dei modelli che non sono i loro. Ma anche i ricchi supersnob dei quartieri alti sembrano vivere un’altra vita. Un po’ come gli zombi di Jim Jarmusch in cerca di una connessione wi-fi anche da morti e dello Chardonnay, la guerra di classe parte dalla perdita di identità sia personale che di famiglia. Come in Us non c’è moralismo, ma solo descrizione accurata, con una struttura da horror e un linguaggio da black comedy, nello scivolamento sempre più pericoloso della famiglia povera nel succhiare vita e modelli dalla famiglia ricca, che al tempo stesso è già implosa dentro perdita di identità personali, vedi il bambino che si è costruito il teepee indiano in giardino. Film di sicuro impatto popolare che farà grandi incassi tra qualche giorno in Asia è proprio il tipo di commedia che noi italiano non capiamo e non sappiamo fare.
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