Marco Giusti per Dagospia
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Lo so che stasera affogherete l’ansia da zona giallo-rossa-arancione vedendo tutti “Romulus” di Matteo Rovere, almeno quelli che hanno Sky, una serie bomba sull’antica Roma, quella cioè prima di Totti e di Virginia Raggi, per farci capire. Serie già cultissima, dove protoromani e protolaziali si menano allegramente con bastoni, pietroni, coltellacci per il possesso del territorio.
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Avviso che nelle prime puntate c’è una megascopata che piacerà al pubblico meno colto, quello che avrà sicuramente da ridire, invece, sul protolatino che parlano gli attori.
Ma dovrete aspettare fino alla quarta-quinta puntata per l’entrata in scena della donna-lupo di Silvia Calderoni, bombissima e già star stracult della serie e del nuovo cinema italiano d’avventura.
SILVIA CALDERONI
Contemporaneamente la trovate pure come protagonista della sit-com Gucci firmata da Gus Van Sant e Alessandro Michele. Un po’ sfilata, un po’ serie tv, diciamo. Se non vi va “Romulus”, ma ve lo consiglio, Cine 34, finita la serie Emanuelle si lancia in una seratone bocaccesca con ben tre decameroneidi.
Si inizia con “Quando le donne si chiamavano Madonne” di Aldo Grimaldi, alle 21, con Edwige Fenech e Don Backy. Ambientato nella Prato del 1395, seguiamo il processo a Donna Giulia, Edwige, rea di aver tradito il marito Romildo, Peter Berling, pigro, grasso e per di più impotente con il baldo Mercuzio, Don Backy. In tribunale, cercando di evitare il rogo, Giulia spiegherà la sua posizione, quanto è bella lei e quanto è brutto e inutile il marito. Il giudice le offre un’ultima sessione d’amore con Mercuzio. E i due lo fanno per 101 volte di seguito.
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E’ un decameroneide di classe un po’ più alta del solito, diretto da Aldo Grimaldi, specializzato in musicarelli, ma prodotto e scritto dal padre Gianni Grimaldi e da Fulvio Lucisano.
La Fenech in superspolvero. Don Backy ha quasi solo scene a letto con lei, come ben si ricorda lo stesso cantante. “Io ero l’amante di Edwige Fenech, Mercuzio.
C’era la scena che io e lei facciamo l’amore 101, 102 volte di seguito per dimostrare quanto ero attivo sessualmente”.
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Questo sotto lo sguardo di Vittorio Caprioli e altri. “Quella donna l’ha di ferro!”, dice uno. “Sì, ma lui d’acciaio!”, dice Caprioli. Mario Carotenuto si sforza di parlare in toscano, mentre sua moglie, Francesca Benedetti, lo tradisce con Carletto Sposito.
Segue il forse più di culto “Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno” di Bitto Albertini, 22, 55, dove il podestà di Montelupone, per salvare il paese dai debiti, ha deciso di trasformare il castello cittadino in un lupanare. Decameroneide record della stagione’72-’73 con 900 milioni d’incasso.
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Il protagonista, Antonio Cantafora, mi ricordava che al tempo avevano anche fatto gli slip, a via Condotti con la scritta di Metti lo diavolo ne lo tuo inferno. “Abbiamo girato il film al Castello di Balsorano, in tre settimane. Io facevo Mastro Ricciardo, un pittore, e faceva coppia con Mimmo Baldi, un attore che veniva dal varietà. Assieme facevamo secche tutte le mogli dei possidenti. Le donne del film erano eccezionali, stupende, il set era veramente allegro”. Bitto Albertini ha raccontato, su “Nocturno”, una storia fantastica: “Come al solito avevamo accontentato la censura, tagliando qualche scena un po’ osée, ma poi successe una tragedia.
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Un giorno fui mandato a chiamare dalla casa di sviluppo e stampa: per sbaglio, una copia integrale era uscita, mi pare, a Viterbo. Partii per quella città ed arrivai al cinema, dove lo spettacolo era già cominciato. Andai dal direttore dicendogli: ‘Sono qui per tagliare la copia, altrimenti passiamo dei guai’. Lui mi guardò e disse: ‘Lei non taglia un bel niente, perché qui è pieno di aviatori che tornano in caserma e raccontano ai loro commilitoni le scene; se arrivano gli altri spettatori e non lo vedono, succede un casino’. Il direttore del cinema chiamò il prefetto, che assistette ad una proiezione del film e poi mi fece anche i complimenti.
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Così una copia in Italia circolò integrale”. Per Marcello Garofalo “è probabilmente il più squallido e miserabile tra i decamerotici. C’è anche la soggettiva (finta) di un grosso sedere maschile che fa la cacca”. Il terzo titolo della serata è il rarissimo “Giochi proibiti dell’Aretino Pietro”, 1972 di Piero Regnoli, che passerà alle 00, 35.
In quel di Gubbio quattro ragazze raccontano a un giudice le loro storie piccanti tutte giocate sulla scarsa fedeltà ai mariti. Tutte e quattro sono accusate di scandalo pubblico e infedeltà. Debutto di Piero Regnoli alla regia. Dopo averne scritti tanti, di decameroni e di altro. Per Tony Kendall, “in “Cine 70”, Regnoli “era la gentilezza in persona, un gentiluomo, di un’educazione straordinaria, non gridava mai, sempre accomodante, sempre lì a scrivere. (..) o lì faccio Frate Luce e quando si prega tutti insieme in mezzo a noi, c’è un frate nero, che ogni tanto, non si sa perché, va via, poi ritorna e va via un altro, finché la moglie del sindaco non rimane incinta, il sindaco fa una festa e sto bambino nasce nero.
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C’era Orchidea De Santis, c’era Femi Benussi e tante altre, una più bella dell’altra…”. A furia di scrivere novelle, però, qualche sbaglio si fa. Perfino Gareth Jones, su “Monthly Film Bulletin” nota che il terzo episodio, “Il miracolo”, è identico, come storia a un episodio del precedente Gli altri racconti di Canterbury di Mino Guerrini.
“Anche tutto il resto è un po’ una ripetizione, ma alla fine come il film va avanti, sembra, meglio del solito: bei costumi, bei colori, belle locations umbre e le donne sono ancora più belle quando sono svestite”. Davide Pulici, su “Nocturno”, notava che il film, rarissimo, ne esiste solo una versione spagnola su vhs, era più lungo di quello che ha visto, forse una copia preparata per inserimenti di sequenze hard per la versione francese.
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Per un pubblico più serio, segnalo che su Rai Tre, Fuori Orario propone alle’1, 15 la prima tv di un bellissimo film tedesco già presentato alla Berlinale e in molti altri festival. “Heimatt è uno spazio nel tempo” di Thomas Heise, viaggio nella memoria storica della Germania dell’Est attraverso i ricordi di una intera famiglia, quella appunto del regista. Dopo tanti decameroni, mi sembra l’occasione per vedere finalmente qualcosa di diverso.
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