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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - IL CINEMA, IN QUESTI GIORNI ORRENDI, PERDE UNA DELLE SUE MASSIME LEGGENDE, MAX VON SYDOW, 91 ANNI, 13 FILM CON INGMAR BERGMAN, A COMINCIARE PROPRIO DA “IL SETTIMO SIGILLO”, DOVE È IL CAVALIERE CHE SFIDA A SCACCHI LA MORTE. NON POTEVAMO NON AMARLO E NON ESSERE SPAVENTATI E AFFASCINATI DALLA SUA CUPA E LUMINOSA PRESENZA. MAGARI HA SBAGLIATO QUALCHE FILM, MA NON HA CERTO MAI SBAGLIATO UN RUOLO – VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    MAX VON SYDOW MAX VON SYDOW

    Non giocherà più a scacchi con la Morte. E non arriverà più nelle nebbie della notte per liberarci dal demonio con la valigetta da esorcista di Padre Merrin. Il cinema, proprio in questi giorni orrendi, perde una delle sue massime leggende, Max von Sydow, 91 anni, 13 film con Ingmar Bergman, a cominciare proprio da “Il settimo sigillo”, dove è il cavaliere che sfida a scacchi la morte, ma anche il mago misterioso de “Il volto”, l’intellettuale impazzito de “L’ora del lupo”.

     

    Non potevamo non amarlo e non essere contemporaneamente spaventati e affascinati dalla sua cupa e luminosa presenza. E’ stato Gesù Cristo, nel kolossal americano “La più grade storia mai raccontata” di George Stevens, e il Diavolo, ha illuminato con la sua presenza “Dune” di David Lynch, “Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen, “I tre giorni del condor” di Sidney Pollack.

     

    Ha avuto una bella carriera in Italia, dove è stato diretto da Alberto Lattuada in “Cuore di cane”, da Francesco Rosi in “Cadaveri eccellenti”, Valerio Zurlini ne “Il deserto dei Tartari”, Mauro Bologni in “Gran bollito”, fino al Dario Argento di “Non ho paura”.  Solo vederlo, anche per pochi istanti, in “Minority Report” di Steven Spielberg, nel “Robin Hood” di Ridley Scott o nella recente sesta stagione di “Games of Throne”, dove era il corvo con tre occhi, ci riportava subito al grande cinema che aveva interpretato.

     

    Ma anche sentire la sua voce dava lo stesso effetto, al punto che Lars Von Trier lo volle come narratore di “Europa”. Altissimo, 1,93 m., con un volto come scolpito, già una presenza antica per non dire vecchio a soli trent’anni, si è imposto da subito nel cinema, ma sono stati i capolavori di Ingmar Bergman, ovviamente, a decretarne il successo internazionale e a stabilirne l’impatto sullo schermo.

     

    Il cinema americano e europeo non sempre sono stati in grado di sfruttarne a pieno il suo potere e le sue doti di attore, malgrado i grandi incontri con regista famosi, da John Huston a David Lynch, spesso preferendo relegarlo in avventurosi anche di rango, penso a “Conan il Barbaro”, ma non credo che fosse facilissimo dirigerlo con tutto quello di bergmaniano e di suo che si portava dietro. Il suo volto, la sua figura, il suo legame con Bergman sono stati per Max von Sydow sia la chiave del successo internazionale, ma anche un limite. Al punto che molto deve a Jan Troell che lo diresse assieme a Liv Ullman nel bellissimo “Karl e Kristina”, mostrandone un volto meno cupo. 

    MAX VON SYDOW MAX VON SYDOW

     

    Nato come Carl Adolf von Sydow a Lund, nel sud della Svezia, figlio di una baronessa tedesca, Maria Margareta Rappe, e di un professore di etnologia e di folklore, inizia giovanissimo a recitare a teatro, dove incontra Ingrid Thulin e Lars Ekborg. Alf Sjoberg lo porta al cinema prima in “Bara en Mor”, 1949, e poi nel 1951 in “la notte del piacere”. Ma è solo nel 1957, con “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman che esplode nel cinema da protagonista. Girerà poi capolavori come “Il posto delle fragole”,

     

    “Alle soglie della vita”, “Il volto”, che è forse il mio preferito, “La fontana della vergine”, “Come in uno specchio”, “Luci d’inverno”. Grandi titoli della nostra infanzia cinematografica in bianco e nero passata tra cineclub e film d’autore in tv. Hollywood lo chiama per interpretare Gesù nel notevole, anche se un po’ pastrocchione “La più grande storia mai raccontata” di George Stevens. Critica pessima, ma lui se la cava, anche se da biondo devono farlo scuro. Contemporaneamente gira in Messico il mezzo western “La taglia” di Serge Bourguignon con Yvette Mimieux e Efrem Zimbalist jr. Sono film di grandi mezzi il successivo “Hawaii” di George Roy Hill con Julie Andrews e Richard Harris, dove ha il ruolo antipatico di un prete che vuole canonizzare gli allegri hawaiani, e l’euro-spy “Quiller Memorandum” con George Segal e Alec Guinness.

    Max von Sydow Max von Sydow

     

    Nel 1971 gira l’ultimo film con Bergman, “L’adultera”, per poi rompere clamorosamente col suo maestro, mai spiegato il perché, ma gira pure il notevole “Karl e Kristina” con Jan Troell, che lo rilancia a Hollywood. Peccato che proprio assieme a Jan Troell si lasci invischiare nel disastro del remake di “Uragano”, vecchio disaster movie di John Ford, che non sanno gestire. E’ invece un killer vendicatore che esce dal manicomio in mutande armata di accetta nel nord della Danimarca in “L’assassino arriva sempre alle 10” girato da Laslo Benedek, film che avevo adorato, e che aprirà a una serie di apparizioni più spaventose, che culmineranno nel ruolo di Padre Merrin nel capolavoro di William Friedkin “L’esorcista”, 1973.

     

    Lì Max von Sydow sembra un vecchio esorcista anche se ha solo 44 anni. Sidney Pollack ne fa il terribile killer Joubert in “I tre giorni del Condor” con Robert Redford. Grazie a Padre Merrin e a Joubert, per la prima volta Max von Sydow si ritroverà in situazioni non bergmaniane. Negli anni ’70 girerà molti film in Italia, cominciando con “Cuore di cane” di Alberto Lattuada tratto dal romanzo di Bulgakov. Il ruolo più estroso sarà quello di una delle vecchie uccise da Shelley Winters in “Gran bollito” di Mauro Bolognini, ma è notevole anche in “Il deserto dei tartari”.

     

    Negli anni ’80 inizierà la fase più fumettistica. Lo troveremo così nel deludente “Flash Gordon” di Mike Hodges prodotto da Dino De Laurentiis, in “Dune” di David Lynch, in “Conan il barbaro” di Richard Fleischer, ma anche come cattivo nel suo unico 007, “Mai dire mai”. Sembra però che fosse stato la prima scelta di Terence Young per il ruolo del Dr No, il primo cattivo della lunga serie dei film di James Bond. Ma negli anni ’80 fa davvero di tutti, forse anche troppo, anche se Woody Allen lo omaggerà di un bel ruolo bergmaniano in “Hannah e le sue sorelle”, 1986, e con “Pelle alla conquista del mondo”, 1987, di Billie August avrà la sua seconda nomination agli Oscar. Dirige lui stesso un film, “Katinka storia romantica di un amore impossibile”.

     

    marco giusti foto di bacco marco giusti foto di bacco

    Negli anni ’90 continuiamo a trovarlo ovunque. In Svezia gira un nuovo film di Billie August, “De goda viljan”, scritto da Bergman, dove interpreta addirittura il nonno del maestro, con Nanni Loy gira in Italia “A che punto è la notte”, dove recita con Marcello Mastroianni, Lars von Trier lo chiama come narratore per “Europa”, con Roberto Faenza lo vediamo a fianco di Keith Carradine in “Mio caro dottor Grasler”. Non la smetterà di girare, anche in piccoli ruoli, fino a oggi.

     

    Lo abbiamo visto da poco nel buon film di sottomarini di Thomas Vinteberg “Kursk” nel ruolo di Vladimir Petrenko. Viveva da anni a Parigi assieme alla sua seconda moglie, Catheribe Brelet, che gli aveva dato due figli. Altri due figli aveva avuto con la prima moglie, l’attrice svedese Christina Olin, sposata nel 1951. Magari ha sbagliato qualche film, ma non ha certo mai sbagliato un ruolo. 

     

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