Marco Giusti per Dagospia
Il contagio di Matteo Botrugno Daniele Coluccini
Venezia. Giornate degli Autori. Arriva Il contagio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini. Quarticciolo? Presente! Ottima l’idea di portare sullo schermo un libro di culto, sia gaio che romano-postpasoliniano, come Il contagio di Walter Siti. Ottimo anche che i produttori siano i giovani della Kimera film che ci hanno dato Non essere cattivo di Claudio Caligari e Et in terra pax di Matteo Botrugno e Daniel Coluccini.
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Sono proprio gli stessi Botrugno e Coluccini che firmano a quattro mani questa versione cinematografica de Il contagio, riscrivendola assieme a Nuccio Siano che qualche anno fa ne fece una versione teatrale e che si ritrovino nel film alcuni dei loro attori, come Maurizio Tesei, qui coprotagonista come il malavitoso Mauro, amico del culturista Marcello interpretato da Vinicio Marchioni, che si divide tra la moglie Chiara, Anna Foglietta, e l’intellettuale Walter, Vincenzo Salemme.
Diciamo che del romanzo di Siti, ambientato in un condominio fatiscente del Laurentino 38, dove, sotto gli occhi dello scrittore Walter, fiorivano tutta una serie di personaggi e personaggini romani con le loro situazioni più o meno estreme, Botrugno- Coluccini-Siano sviluppano principalmente le storie dei due amici.
Quella cioè di Mauro, sposato con Simona, Giulia Bevilacqua, e scagnozzo di un violento boss, che finirà per far carriera in una sorta di suburra da Mafia Capitale. E quella di Marcello, bello e fragile, preda della coca e della propria vanità, pronto a martirizzare la povera moglie, una grande Anna Foglietta, e a sfruttare l’innamoratissimo Walter.
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Tutto il resto, anche per problemi di tempi, rimane un po’ sullo sfondo, come la storia del tifoso romanista Bruno, che sogna di accoltellare i laziali non dopo la partita per vendetta, che sarebbe una infamità, ma solo in quanto laziali. O quella del socio di scorribande di Marcello, con madre siciliana che non zitta mai. Gli autori spostano il condominio dal Laurentino 38 al Quarticciolo, ma, forse intimoriti dalla presenza di Salemme, lo rendono non il personaggio mollo e passivo del romanzo, dominato dalla bellezza di Marcello, ma una sorta di Pasolini narrante.
Salemme è bravissimo nel costruirsi il suo Walter fuori da ogni macchiettismo gay, ma così viene meno gran parte della forza del romanzo, che poggiava proprio sulla dipendenza, sul contagio, sulla malattia dei personaggi in cerca d’amore. E di coca. Se la coca è ben presente per tutto il film e, come l’eroina per i personaggi dei film di Caligari, tutti ambientati a Ostia, ne domina le azioni, aver annacquato la componente gaia del romanzo non funziona poi benissimo per lo sviluppo del racconto.
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E Marchioni, troppo adulto, non ha quella grazia pasoliniana del bello e dannato del Marcello di Siti che è un po’ l’anima del Contagio. E, purtroppo, non trova grande alchimia col Walter di Salemme, troppo esterno al racconto. Il Mauro di Tesei, più coatto e bovino, funziona decisamente meglio, anche se nella seconda parte del film, quella ambientata tre anni dopo a Prati, dove il rampante piccolo boss si è trasferito, si perde la bella costruzione del condominio del Quarticciolo.
Esattamente come nel ben più ricco Fortunata di Sergio Castellitto o nel ben più realistico Il più grande sogno di Michele Vannucci, questo genere di cinema romano post-pasoliniano e ora post-caligariano funziona di più all’interno di una precisa ricostruzione geografica del territorio.
Botrugno e Coluccini hanno pagine felici, la grande scena tra Foglietta e Salemme, che permette a lei un numero da attrice di valore, tutti i dialoghi all’interno del condominio, che funziona benissimo come macchina narrativa teatrale, ma perdono un po’ della forza del romanzo di Siti. Anche se, azzardo, aveva più valore quando venne scritto e non oggi. In qualche modo è già un romanzo storico di un preciso momento delle borgate romane dominate dalla coca e dal potere delle bande mafiose colluse con la politica locale.
WALTER SITI
E, comunque, lo scivolamento verso i modelli di Suburra, con Mauro pippatissimo che si tromba la rossa nordica preparatrice di eventi, Carmen Giardina, e i boss che se la vedono con gli assessori, sembra far parte già di un altro genere. Castellitto, regista magari meno de core, ma certo più accorto, con Fortunata ha puntato tutto sulle triangolazioni sentimentali dei personaggi, stravolgendo il modello di Bellissima, e su un’unica ambientazione-ghetto romana. Detto questo, Il contagio di Botrugno e Coluccini rimane un film assolutamente da vedere per chi segue il cinema italiano più vitale e di ricerca.