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    IL CINEMA DEI GIUSTI - IL TERZO ''BRIDGET JONES'' NON HA HUGH GRANT, COLIN FIRTH NON È QUELLO DI PRIMA E LA ZELLWEGER È RITOCCATA. MA IL FILM È LO STESSO UNA DELIZIA, PIENO DI BATTUTE DIVERTENTI, TROVATE E GRANDI ATTORI INGLESI


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    Bridget Jones’s Diary di Sharon Maguire

     

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    Ok. René Zellweger non ha i 43 anni che dichiara nel film la sua Bridget Jones, ma 47 e si è fatta qualche ritocco, tutte le signore in sala se ne accorgono. Colin Firth a 56 anni non è più quello che era prima e il collo rugoso si nota un po’ troppo. E Patrick Dempsey al posto di Hugh Grant, dato per morto con tanto di funerale (ma senza salma) non è la stessa cosa.

     

    Detto questo, la terza avventura di Bridget Jones, Bridget Jones’s Baby, diretto da Sharon Maguire, la regista gallese del primo episodio, Bridget Jones’s Diary, 2001, con copione firmato da Helen Fielding, autrice della saga, Dan Mazer e Emma Thompson è lo stesso una delizia.

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    Pieno di battute divertenti, trovate, e grandi attori inglesi, come Jimmy Broadbent e Gemma Jones che fanno ancora una volta i genitori della zitella Bridget in dolce attesa di un bambino, anche se non sa chi dei suoi due uomini sia il padre, il vecchio e impettito inglese Mark Darcy, cioè Colin Firth, o l’americano miliardario Jack Kwant, Patrick Dempsey…

     

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    Sembra che abbiano salvato il tutto la regista, Sharon Maguire, amica da sempre di Helen Fielding, e soprattutto Emma Thompson, che ha riscritto alla perfezione una sceneggiatura pasticciata per le tante defezioni di attori e registi, riempiendola di battute, e ha poi anche interpretato con grande ironia il ruolo della ginecologa di Bridget. E’ grazie a loro che il film ha gran parte della freschezza del film originale, risalente ormai a 15 anni fa.

     

    E i risultati, almeno in Inghilterra, dove ha incassato 29 milioni di dollari dei 38 globali, si sono sentiti. Il problema è stato che per questa terza avventura erano previsti tutti e tre i protagonisti della saga, ma Hugh Grant non si ritrovava né con uno dei registi che erano stati chiamati all’impresa, Paul Feig, né con le sceneggiature che gli erano state proposte.

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    Alla fine, perso Hugh Grant, è stata chiamata Emma Thmpson per rimettere in sesto il copione, la Maguire per dirigere il film e Patrick Dempsey a chiudere il terzetto dei protagonisti. Anche se la mancanza di Hugh Grant non si spiega davvero mai, Bridget quarantenne che si muove in una tv londinese dominata ormai da trentenni trendy e hipster fa piuttosto ridere. E anche i suoi buffi tentativi sentimentali con i due maschi che, a distanza di pochi giorni, potrebbero averla messa incinta.

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    Il bel Mark Darcy, suo vecchio amore, che si sta separando dalla moglie Camilla, e il bell’americano Jack Kwant, che si è inventato con successo il logaritmo dell’amore che spiega se due persone possano funzionare o no insieme. Bridget rifiuta l’amniocentesi che potrebbe stabilire in base al dna del pupo chi dei maschi è il procreatore, e a entrambi racconta che saranno padri. Questo scatena la relazione a tre che è il cuore del film.

     

    I due maschi si contenderanno fino alla fine la ragazza e la paternità del bambino. Certo, qualche esagerazione c’è, ma tutto è costruito con ironia. Anche la campagna elettorale della mamma di Bridget a sostegno delle minoranze etniche, degli omosessuali e degli italiani, che sembrano qui più terzomondo che gli extracominutari nei nostri film. Già in sala.  

    BRIDGET JONES BRIDGET JONES

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